2018-06-04
Le idee dei tedeschi sono come würstel e crauti: buone, ma solo a casa loro
Il governo della Germania, supportato da media ed economisti, addita il nostro Paese e offre ricette. Tipo in Grecia? No, grazie.Che fare? Per l'economia, intendo. Cominciamo a chiarirci sugli allarmi che suscita l'Italia per il balletto del governo. Accenti diversi, tutti minacciosi. L'Ue, col commissario al Bilancio, Gunther Oettinger (tedesco, classe 1953), auspica che l'impennata dello spread ci serva di lezione per il voto antisistema dato a Lega e M5s. L'Ocse, da Parigi, ci ammonisce profetizzando un calo a breve del Pil. La solita Trimurti del rating minaccia di declassarci. Questi tre soloni sono i più indigesti. Non solo, per i danni che possono fare, ma perché la loro autorevolezza è impalpabile. Cosa sono infatti, Standard & Poor's, Moody's e Fitch? Gruppi privati, proprietà di multinazionali, cui si assegna il monopolio del giudizio sulla salute economica degli Stati. Un sì o no può segnare per anni il destino di una nazione. Personalmente, non capisco come questa convenzione del mercato possa essere accettata dalla comunità mondiale. Il punto è, però, che la Trimurti detta tuttora legge nonostante la Waterloo di 10 anni fa quando promosse le banche Usa che stavano per saltare. Innescando, con quella imprevidenza, probabilmente dolosa, la peggiore crisi economica del mondo moderno. L'Italia, che costoro hanno ricominciato a tampinare, è il solo grande Paese europeo che ha che sempre onorato gli impegni. L'unico che abbia, in tutta la sua storia, restituito a scadenza i prestiti contratti. L'Italia non è mai andata in bancarotta. Né mai sono finiti gambe all'aria gli statarelli di prima dell'unità. Sono invece inciampati nei default, o nei truccacci per non pagare, la virtuosa Germania - tre volte nel secolo scorso, 1932, 1939, 1948 (appena 5 anni prima che Doktor Oettinger venisse al mondo) -; il glorioso Regno Unito, l'ultima volta nel 1932; la Francia con Bonaparte; la Spagna nel 1939, all'uscita dalla guerra civile; la Russia nel 1998 dopo il crollo dell'Urss. Ho ricordato i dati perché gli italiani diano il giusto peso, cioè nullo, a quanti da Berlino ci dipingono come inaffidabili. Mentre scrivevo, si è aggiunto Professor Hans Werner Sinn, fino a poco fa stimato direttore di un istituto economico di Monaco (Ifo). Costui ci attribuisce l'intenzione, nientemeno, di minacciare l'Ue al motto: «Fuori i soldi o usciamo». Ossia, di scroccare danari all'Ue. Avete mai sentito una cosa simile da uno solo dei nostri politici? Non ne abbiamo di così cialtroni, professor Sinn, e smettetela di impancarvi perché adesso vi va bene. L'Italia, nell'euro, ristagna. Da quando ha sottoscritto Maastricht, nel 1992, il Paese non cresce più. Nei primi tre decenni del dopoguerra, dal 1951 al 1980, lo sviluppo annuo superò il 6%. Dal 1980, fino a Maastricht, fu del 3%. Entrati nell'eurozona, la crescita si è arrestata. Da un quarto di secolo, siamo «in via di sottosviluppo». Di qui le fibrillazioni, come il braccio di ferro tra volontà popolare e Quirinale. Una parte della politica - vincitrice delle elezioni - vorrebbe reagire al declino lento e fatale che dura da 27 anni. Non è una quisquilia. Con la moneta unica non si possono fare svalutazioni competitive. Con il patto di stabilità ci sono i parametri da rispettare: deficit-prodotto interno lordo; rientro dal debito pubblico. Di allentarli, non se ne parla. Frau Angela Merkel da quell'orecchio non ci sente e ne è offeso anche il timpano di Sergio Mattarella, per interposto professor Paolo Savona. La politica ha dunque le mani legate. Infatti, se stimolasse l'economia con la spesa pubblica - strade, ecc. - non potrebbe che aumentare le tasse già stellari. Dio ne guardi. Restano le riforme. Lo ripete il premier uscente, Paolo Gentiloni. Io non ho mai capito quali. Quando le evoca, nelle interviste o in Parlamento, nessuno lo interrompe per chiederglielo. Sono perciò un mantra. Probabilmente - non vedo altro - si intendono 10 simil Fornero da cambiare i connotati, facendoli neri, a sanità, pensioni, stipendi pubblici. L'altro versante politico, Pd e forse Silvio Berlusconi, è per l'ortodossia europea. L'idea è che l'Ue sa quel che fa. Non ho un'opinione. Mi viene solo in mente, per valutare capacità e saggezza delle ricette tedesche, il caso greco. Dal 2010, la Grecia è sotto baby sitting. I greci vivono eterodiretti per il nono anno, modellati nelle loro vite da istanze superiori - i famosi omini con zainetto e trolley - che rappresentano la quintessenza della odierna scienza economica. Hanno ricevuto centinaia di miliardi in cambio di porti, aeroporti, autostrade, ceduti in genere a società tedesche. Hanno così ripagato i debiti contratti in passato con le banche franco-berlinesi e sono tornati all'onore del mondo. Ma loro come stanno.? A inizio cura, nel 2010, il debito pubblico greco era al 148% del Pil, il quale era di 220 miliardi. La disoccupazione stava al 12,5%, i poveri al 27%. La successiva terapia li ha portati in rianimazione. Oggi, il debito è al 183 %. Il Pil è ridotto a 187 miliardi. La disoccupazione sta al 26%, i poveri sono il 34,6%. Il Fmi, che appoggia questa politica, prevede che tra 30 anni il rosso salirà al 260% del Pil. Le ricette tedesche sono come i würstel e crauti. A Berlino vanno benissimo. Al caldo del Pireo sono indigeste. Così, pensando a Roma, torno all'interrogativo iniziale: che fare?