La Casa Bianca sceglie l'azienda di Giuseppe Bono per una mega commessa da 5,5 miliardi e lancia le Fremm tricolore come miglior sistema per i Paesi filo americani. Contro l'assalto cinese all'Ue, Donald Trump ci indica la retta via.
La Casa Bianca sceglie l'azienda di Giuseppe Bono per una mega commessa da 5,5 miliardi e lancia le Fremm tricolore come miglior sistema per i Paesi filo americani. Contro l'assalto cinese all'Ue, Donald Trump ci indica la retta via.Non è stato per niente un caso. Lo scorso novembre, il vicepresidente Usa, Mike Pence, è andato a far visita ai cantieri di Marinette, nel Wisconsin. Fino al 2008 il sito era di proprietà della Manitowoc company, una mega holding specializzata anche nei frigoriferi e simbolo della crisi della Rust Belt. Giuseppe Bono, capo di Fincantieri, decise di prendere tutta l'infrastruttura per 120 milioni di dollari. Era una svendita come fu Chrysler per Sergio Marchionne. Saggia decisione, anche quella di Fincantieri, visto che ha consentito prima l'avvio di un progetto congiunto con Lockheed Martin sulle navi leggere per la Marina Usa e adesso il colpo del decennio. La visita di Pence a Marinette era chiaramente l'endorsement per il nostro colosso della cantieristica che ieri ha vinto l'appalto per le fregate Usa. Si tratta di una commessa dal valore di quasi 800 milioni di dollari, che aumenteranno sino a 5,5 miliardi quando verrà accettato il diritto di opzione per nove ulteriori fregate Ffg, in pratica una customizzazione delle Fremm in uso all'Italia e prodotte dai cantieri genovesi. Se Fincantieri non avesse avuto la possibilità di produrre sul suolo americano, la commessa non sarebbe mai stata affidata a una società tricolore, il che però non esclude positive ricadute anche sull'occupazione da questa parte dell'Atlantico. Infatti lo schema è abbastanza consolidato: prima gli Usa scelgono un mezzo di combattimento e poi arrivano altri Paesi satelliti (dal punto di vista tecnologico) come Israele o l'Arabia Saudita. E qui entrerebbe in campo direttamente i cantieri italiani, con manodopera tutta tricolore. Nel caso di questo appalto, va poi detto che nei prossimi anni la Casa Bianca potrebbe decidere di raddoppiare la commessa, portando le Fgg a 20, e l'Arabia Saudita che già ha commissionato quattro Fremm a Fincantieri potrebbe alzare la richiesta. Inoltre, c'è pendente la partita dell'Egitto, dove con difficoltà Bono ha scansato la concorrenza francese. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi pende dalla parte italiana (anche se la vicenda Regeni è usata pure da alcune forze politiche a Roma per rimescolare le carte a favore di Parigi) ma manca l'ok definitivo. Forse il timbro della Casa Bianca sulle Fremm potrà aiutarci. E fin qui c'è il bacino Mediterraneo. Ma il turbo che Donald Trump ha deciso di imprimere alla nostra industria è duplice. Come ha fatto notare anche Repubblica.it, spesso critica verso le posizioni della Casa Bianca: «Il successo negli States sarà inoltre il biglietto da visita per introdurre questi prodotti in altri mercati», si legge. «Il governo Usa assegna le esportazioni belliche attraverso accordi tra nazioni e quindi si indirizzano sui mezzi già in servizio con le forze armate americane». Questo significa un vantaggio straordinario per la filiale statunitense di Fincantieri soprattutto nei Paesi asiatici, dove la crescita della potenza cinese ha aperto la corsa a rinforzare le flotte. Sebbene per l'elettronica della Difesa, il pacchetto delle 10 fregate Ffg preveda già il ruolo di Lockheed Martin, non si può escludere per le future commesse una partecipazione attiva anche del gruppo Leonardo, che con Fincantieri condivide anche una società dedicata al combact management, Orizzonte sistemi navali. A fare da cerniera, c'è pure il ruolo di Giuseppe Giordo, chiamato lo scorso novembre a guidare la divisione Navi Militari, manager già di Finmeccanica e soprattutto uomo di garanzia per il Pentagono nei rapporti tra Est e Ovest. È infatti nel board della Sami, Saudi Arabian military industry, una sorta di porta d'ingresso militare alla Mecca che valuta i mega investimenti degli sceicchi. Un tassello da non sottovalutare nello scontro che la Casa Bianca ha intenzione di gestire con la Cina. Dare a Fincantieri la mega commessa delle fregate e fare entrare il gruppo italiano nel grande circuito del mare significa dire che l'Italia dovrà essere nel prossimo decennio membro attivo non solo della Nato ma anche del circuito atlantico. Significa anche far capire al governo che che se l'Europa sarà terra di spartizione tra Washington e Pechino, Roma deve stare con il dollaro e non con lo yuan. Lo stesso messaggio arriva anche a Bruxelles e Parigi, i quali dovranno comprendere che non esiste la Difesa comune europea senza il sì degli Usa. Speriamo sia così e che anche di questo in futuro andrà dato atto a Giuseppe Bono.
Intervista con Barbara Agosti, chef di Eggs, la regina delle uova che prepara in ogni modo con immensa creatività
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Il Quirinale aveva definito «ridicola» la rivelazione sul piano anti-Meloni del dirigente. Peccato che egli stesso abbia confessato che era vera, sminuendo: «Solo chiacchiere tra amici...». Lui è libero di tifare chi vuole: non a fianco del presidente della Repubblica.
Qualche scafato cronista, indispettito per aver preso quello che in gergo giornalistico chiamiamo «buco», ieri ha provato a metterci una pezza e a screditare lo scoop della Verità sul consigliere chiacchierone e maneggione di Sergio Mattarella. Purtroppo per lui, dietro le nostre rivelazioni non c’è nessun anonimo: se abbiamo rivelato che Francesco Saverio Garofani vagheggiava un «provvidenziale scossone» per far cadere Giorgia Meloni, e la costituzione di una grande lista civica che la possa battere alle prossime elezioni, è perché delle sue parole abbiamo certezza.
Annalisa Cuzzocrea (Ansa)
Sulle prime pagine di ieri teneva banco la tesi della bufala. Smentita dall’interessato. E c’è chi, come il «Giornale», si vanta di aver avuto l’informazione e averla cestinata.
Il premio Furbitzer per il giornalista più sagace del Paese va senza dubbio a Massimiliano Scafi del Giornale. Da vecchio cronista qual è, infatti, lui ci ha tenuto subito a far sapere che quella «storia», cioè la notizia delle esternazioni del consigliere del Quirinale Francesco Saverio Garofani, lui ce l’aveva. Eccome. Gli era arrivata in redazione il giorno prima, nientemeno, e con un testo firmato Mario Rossi, nota formula usata dai più sagaci 007 del mondo quando vogliono nascondersi. C’era tutto. Proprio tutto.
Elon Musk e Francesco Saverio Garofani (in foto piccola) Ansa
Da responsabile dei temi per la Difesa, l’ex parlamentare dem avrebbe avuto un peso determinante nel far sfumare l’accordo tra il governo e l’azienda di Elon Musk.
Inizio 2025. Elon Musk - i suoi rapporti con Trump erano ancora in fase idillio - veniva considerato una sorta di alieno che si aggirava minaccioso nel cielo della politica italiana. C’era in ballo un accordo da 1,5 miliardi per dotare il governo di servizi di telecomunicazione iper-sicuri. Contratto quinquennale che avrebbe assicurato attraverso SpaceX e quindi Starlink un sistema criptato di massimo livello per le reti telefoniche e internet dell’esecutivo, ma l’intesa riguardava anche le comunicazioni militari e i collegamenti satellitari per le emergenze.







