2022-05-13
Le forniture calano, il prezzo si impenna. Stop al gas in Polonia e blocchi in Ucraina
Berlino protesta: «La Russia utilizza l’energia come un’arma» Verso l’Italia flussi altalenanti, ma vanno aumentate le scorte.La proposta finita sul tavolo di Biden e Draghi, ma non è detto che porti effetti positivi.Lo speciale contiene due articoliIeri Gazprom ha reso noto che smetterà di utilizzare il gasdotto Yamal che passa attraverso la Bielorussia, per poi diramarsi verso Polonia, Germania e Ucraina. Il motivo della chiusura dei rubinetti è principalmente dovuto alla crisi dei rapporti con le ex controllate di Gazprom, poi nazionalizzate, che hanno sede in Paesi in disaccordo con il conflitto russo ucraino. Nella lista, tra queste c’è anche Gazprom Germania. Non appena la notizia si è diffusa, il prezzo del gas è schizzato a 115 euro per megawattora sulla Borsa di Amsterdam, quella di riferimento per gli scambi europei. In tutto questo, la preoccupazione è che Mosca possa chiudere i tubi anche verso la Finlandia in seguito alla richiesta di Helsinki di aderire alla Nato il prima possibile. Va detto, però, che l’interruzione delle forniture avrebbe di certo un impatto negativo, ma non devastante perché in Finlandia si fa da tempo uso di energie rinnovabili e soprattutto nucleare. Dal caso suo, l’Unione europea ha deciso che verrà introdotto un tetto al prezzo dell’energia solo in casi estremi, cioè quando si verifica una interruzione nell’erogazione di metano in arrivo da Mosca. In realtà, in caso di stop alle forniture, il governo italiano aveva a più riprese chiesto l’imposizione di un tetto al prezzo del metano, ma senza successo. Da Bruxelles, invece, è stato deciso che, in caso di mancata fornitura, i Paesi europei debbano procedere con un «razionamento coordinato» sulla base del principio di solidarietà. A dirlo è la Commissione europea all’interno della bozza del piano RePowerEu che sarà presentato il prossimo mercoledì 18 maggio. Per principio di solidarietà, spiega l’esecutivo di Bruxelles, si intende «una riduzione della domanda di gas negli Stati membri meno colpiti a vantaggio di quelli più colpiti». Ad ogni modo, la Commissione ha fatto sapere che, secondo le sue stime, i prezzi dell’energia rimarranno elevati per il resto del 2022 e, anche se in misura minore, fino al 2024-2025.Ieri, intanto, il ministro dell’Energia tedesco Robert Habeck ha accusato la Russia di usare l’energia «come un’arma» in seguito alle sanzioni imposte da Mosca a oltre 30 compagnie energetiche occidentali e la riduzione programmata dei flussi di gas verso l’Europa. «La situazione sta peggiorando perché l’energia è ora utilizzata come arma in diversi modi», ha detto ieri in una conferenza stampa Habeck a Berlino. «Perdiamo 10 milioni di metri cubici di gas, ma sono compensabili», ha affermato. «Non portiamo il piano di emergenza sul gas al livello di allarme, ma la situazione può peggiorare e manteniamo alta l’attenzione», ha sottolineato. «Risparmiare, risparmiare, risparmiare. Questa è la priorità assoluta del momento. I depositi devono essere pieni entro l’inverno, altrimenti saremo in una situazione di forte ricattabilità», ha concluso.Intanto da Bruxelles, nonostante le improvvise aperture di Mario Draghi e altri leader, fanno sapere che il pagamento del gas in rubli viola le sanzioni. «La Banca centrale russa è soggetta a sanzioni dell’Ue e la nostra posizione è che usare questo metodo di pagamento del gas in rubli sarebbe una violazione di queste sanzioni», ha detto il portavoce della Commissione europea, Tim McPhie, «la presidente della Commissione lo ha detto chiaramente e la commissaria Simson lo ha detto chiaramente. Continueremo a dialogare con gli Stati membri per spiegare la situazione e le linee guida».Il timore, per l’Italia, è che la guerra del gas partita nel Nord dell’Europa ora possa arrivare fino a noi. Con la riduzione dei gasdotti che passano per l’Ucraina fino alla Germania, in effetti, è plausibile che anche l’Italia soffra una riduzione delle forniture. D’altronde, in Germania, in due giorni il flusso di gas è sceso del 40% in seguito alla fine delle consegne attraverso Sokhranivka, nella regione di Lugansk, a causa della presenza delle forze armate russe. Così, Berlino ha chiesto a Gazprom di aumentare i volumi in un altro sito, Sudja. L’obiettivo tedesco è quello di riempire le scorte prima dell’estate per evitare di essere potenzialmente ricattabili quando arriverà il freddo. In Italia la situazione non pare essere così tragica. Da un paio di giorni i volumi in entrata dal Tarvisio sono particolarmente altalenanti. Nella prima parte della giornata di ieri i flussi sono stati più bassi della media per poi attestarsi verso livelli più normali. In particolare ieri, durante i momenti più bassi, la capacità erogata è stata pari a 1,4 milioni di metricubi all’ora per poi risalite fino a 3 milioni. Non è quindi ancora chiaro se la guerra stia avendo un impatto reale sulle forniture italiane. Di certo, come per la Germania, anche per il nostro Paese è importante avere riserve per l’inverno. Ad oggi le riserve sono a un livello di poco superiore al 40%, ma per dormire sonni tranquilli (e caldi) bisogna arrivare ben oltre il 90%. Ieri Snam ha fatto sapere che i flussi dalla Russia «al momento continuano senza interruzioni» ma «l’incertezza e il timore di possibili implicazioni sul fronte degli approvvigionamenti hanno innescato una significativa crescita dei prezzi del gas e del petrolio». Intanto gli italiani continuano a pagare una bolletta salatissima, stimata dal governo, dando uno sguardo al Def, in 40 miliardi in sei mesi. Si tratta di una cifra elevatissima ad oggi dovuta più a una speculazione senza precedenti che non a una imminente necessità, visto che il gas è stato comprato in precedenza dalle società fornitrici a prezzi stabiliti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-forniture-calano-il-prezzo-si-impenna-stop-al-gas-in-polonia-e-blocchi-in-ucraina-2657311472.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fissare-un-tetto-al-costo-del-petrolio-potrebbe-inasprire-il-caro-benzina" data-post-id="2657311472" data-published-at="1652383156" data-use-pagination="False"> Fissare un tetto al costo del petrolio potrebbe inasprire il caro benzina Un eventuale tetto al prezzo del petrolio, unito a una minore quantità di greggio, potrebbero far salire ancora una volta il costo dei carburanti. Il primo problema è capire se l’Ue e anche gli Stati Uniti stanno pensando di mettere in pratica un tetto al prezzo del petrolio. Il premier Mario Draghi, parlandone con il presidente americano Joe Biden, ha fatto sapere che lo Zio Sam sarebbe più favorevole a un tetto per il greggio, che non a un limite sul valore del gas. Certo è che la scelta di fermare di proposito la crescita del prezzo al barile potrebbe avere delle conseguenze importanti in questo particolare momento e bisognerebbe capire come potrebbe prenderla l’Opec, visto che si troverebbe in una situazione in cui il prezzo non può salire e il greggio sarebbe comunque disponibile in minor quantità senza l’apporto della Russia. Di certo dall’incontro a Washington tra Draghi e Biden è emersa la necessità di agire in qualche modo, visto che Europa e Usa sono «entrambe insoddisfatte di come stanno funzionando le cose», perché «i prezzi non hanno alcun rapporto con la domanda e l’offerta». Va anche detto che la crescita del prezzo del barile non è per forza strettamente legato a quello della pompa di benzina o del diesel. Oltre alla mera materia prima raffinata, vanno infatti considerate le dinamiche di mercato in cui il prezzo alla pompa si inserisce. Tanto che ci sono stati momenti in cui in Italia il prezzo alla pompa era mediamente alto, anche se il greggio era a livelli bassi. Al contrario, ci sono stati momenti in cui l’oro nero era superiore a quello di ieri (quasi 108 dollari al barile), ma il prezzo della benzina (o del diesel) non aveva nemmeno lontanamente toccato (o superato) i due euro al litro. Oggi, però, viviamo in un contesto geopolitico in cui il petrolio scarseggia e la domanda di carburanti e tornata a salire ai livelli pre-pandemia. Per questo motivo le aziende saranno spinte a raffinare a prezzi superiore e questo avrà un inevitabile impatto sui prezzi dei carburanti. Molto potrebbe dipendere dal livello a cui l’eventuale tetto al greggio verrà fissato. Fissare un prezzo troppo basso non converrebbe a nessuno, né tantomeno agli Stati Uniti perché i costi di estrazione attraverso la tecnica del fracking (molto utilizzata negli Usa, quella che consiste nel provocare una frattura nella roccia attraverso getti d’acqua e estrarre greggio più facilmente) sono molto alti rispetto a tecniche più tradizionali utilizzate altrove. Fissare un tetto troppo alto, al contrario, vanificherebbe il senso della misura. Inevitabilmente, insomma il rischio di frizioni tra le varie parti coinvolte (oltre ai Paesi anche istituzioni come l’Opec) è alto. Di certo, la minor quantità di petrolio e una domanda che non pare calare, oltre a valori di raffinazione elevati, non faranno altro che portare verso l’alto ancora una volta il prezzo dei carburanti. D’altronde, va detto che nemmeno il governo Draghi, con il suo sconto sulle accise (in vigore fino all’8 luglio) è riuscito più di tanto a calmierare il prezzo alla pompa. Dopo un periodo limitato di qualche giorno in cui il prezzo era sceso fino a 1,7 euro al litro, infatti, il prezzo di diesel e benzina e tornato a galoppare pericolosamente vicino ai due euro al litro (o anche oltre). La verità è con ogni probabilità il prezzo dei carburanti non è destinato a scendere a lungo e difficilmente tornerà mai ai valori cui eravamo abituati al di sotto degli 1,5 euro al litro.