2022-01-12
Le donne indifese chiedono vagoni protetti
Raccolte 45.000 firme per la «carrozza rosa». Nessuno risponde: è un imbarazzo per il Viminale. Meglio sole che male accompagnate. Oltre 45.000 persone hanno firmato una petizione online per chiedere a Trenord di istituire convogli per sole donne, dopo l’ultimo stupro avvenuto ai primi di dicembre sulla linea Varese-Milano. Provocazione o soluzione pragmatica a un problema reale come quello della totale insicurezza dei treni, specie la sera? Se fosse solo un modo per attirare l’attenzione su una questione drammatica sarebbe più che comprensibile. In realtà, se l’idea fosse accolta da qualcuno sarebbe la sottomissione definitiva, in stile arabo, all’idea che le donne, per sentirsi sicure nella civilissima Repubblica italiana, debbano optare per l’autosegregazione. E sarebbe ancora più grave se il Viminale, dove siede un ministro donna come l’ex prefetto Luciana Lamorgese, dovesse ammettere che non sa che pesci prendere per impedire che le donne subiscano violenza sui treni. La petizione partita ai primi di dicembre sembrava quasi uno scherzo, almeno per una nazione occidentale: «Vagoni in rosa: treni sicuri». Con solo donne a bordo, sarebbero anche più puliti, ma la questione è maledettamente seria, come sa chi viaggia da sola, con il buio, costretta a fingere di stare al cellulare per dissuadere contatti sgraditi, o a vagare per le carrozze alla ricerca di una faccia rassicurante vicino alla quale sedersi. Le pendolari che hanno promosso la petizione-choc chiedono convogli per sole donne, dopo lo stupro avvenuto lo scorso 3 dicembre a Venegono Inferiore (in provincia di Varese) sulla linea ferroviaria Varese-Milano. Per quella violenza sono stati fermati Anthony Gregory Fusi Mantegazza e Hamza Elayar, pregiudicato marocchino che era stato espulso da tempo e si nascondeva spesso dall’amico italiano. Un altro marocchino, immigrato regolare, li ha fatti arrestare. Nei mesi precedenti, sulla stessa linea, c’erano stati altri episodi di violenza su donne e così, questa volta, è scattata la protesta via internet. La petizione è stata ideata da Greta Alchini di Malnate e ha già raggiunto 45.000 firme online, con un boom di adesioni da tutta la provincia di Varese, ma anche di Como, Milano e del Canton Ticino. Il titolo della proposta è «Vogliamo viaggiare sicure» (si può consultare e firmare sulla piattaforma change.org). Questa la motivazione: «Abbiamo il diritto di usare i mezzi pubblici a qualsiasi ora del giorno senza paura. In altri paesi, sui mezzi di trasporto anche locale esistono carrozze dedicate alle donne». Le donne che hanno firmato si rivolgono sia a Trenord sia a Trenitalia. Al momento, l’imbarazzo regna sovrano e nessuno ha risposto. La signora Alchini ha raccontato al sito d’informazione Comozero.it che «nonostante questa forte richiesta di sicurezza, Trenord non ha mai accettato un incontro. È deprimente costatare che per loro la richiesta di migliaia di persone possa essere ignorata, ma io non demordo e sto continuando a lavorare a questa richiesta». Se le pendolari non si sentono sicure su un treno della Regione più ricca ed evoluta d’Italia non è solo un problema di chi gestisce i treni, ma dello Stato che non sa garantire la sicurezza più elementare alle sue cittadine. Le donne che lottano per le quote rosa sul luogo di lavoro, al ritorno dal quale rischiano lo stupro, forse dovrebbero scendere a Roma e citofonare a un’altra donna, il ministro degli Interni Luciana Lamorgese. In ogni caso, il solo fatto che si discuta seriamente di un’ipotesi come i treni per donne, come esistono in India e in alcuni paesi arabi, è un fatto assai grave. E triste. Potremmo anche chiamarli «vagoni rosa», che indubbiamente suona meglio, e senza prevedere di blindarne le porte e i finestrini, ma resterebbero l’ammissione di una sconfitta per tutta la società e per lo Stato. Perché se da un lato è pacifico che chi si sente insicuro, per altro a fronte di casi di cronaca conclamati, abbia il diritto di chiedere delle soluzioni concrete, dall’altro uno Stato che preleva così tante tasse dalle tasche delle sue cittadine e dei loro familiari non può arrendersi di fronte al problema di rendere più sicuri i treni. Si è risolto il problema degli stadi, ma quello dei vagoni dei pendolari sembra un rebus senza soluzione. Anche l’episodio dello scorso dicembre che ha innescato la petizione delle pendolari ha qualcosa da insegnare, almeno a chi non crede che per risolvere problemi del genere basti inventare sempre nuovi reati o aggravanti (ormai, manca solo la violenza su donne aggravata dalla commissione del reato in treno o in stazione). Al netto del lodevole comportamento dell’immigrato che ha denunciato i due presunti responsabili dello stupro, resta il fatto che uno dei due aveva in tasca il solito provvedimento di espulsione non eseguito. Non sappiamo chi gira per l’Italia, ma finiremo per viaggiare separati. E litigando su dove far salire i trans.