2019-03-01
Le chiacchiere di Conte non bastano: Lega e M5s ai ferri corti sulle regioni
Con i dolci di Carnevale il premier cerca di stemperare le tensioni sull'autonomia. Per Matteo Salvini la riforma è lo spartiacque della legislatura. Lombardia e Veneto: intesa prima delle europee. Luigi Di Maio: «Percorso lungo».«Vorrà dire che stracceremo il contratto in due». La risposta a Luigi Di Maio arriva con la velocità di una battuta. La pancia della Lega reagisce così, di getto, perché sull'autonomia nessuno ha voglia di scherzare. È uno dei capisaldi dell'accordo di governo, è uno dei punti fondanti del movimento ai tempi di Umberto Bossi; per questo l'uscita del vicepremier 5 stelle non è piaciuta. Quel «non voglio spaccare l'Italia in due» dichiarato a Repubblica viene percepito come l'ennesimo tentativo di tirare in lungo, spargere cortine fumogene con strategia democristiana rispetto a una legge che per Matteo Salvini è diventata lo spartiacque della legislatura. «O l'autonomia si fa o blocco tutto», ha alzato la voce il leader leghista nell'ultimo vertice di maggioranza per far comprendere agli alleati quanto sia ritenuta fondamentale. Poi il premier Giuseppe Conte ha servito in tavola le chiacchiere di Carnevale della pace. Il motivo del contendere è semplice. Attilio Fontana e Luca Zaia, governatori di Lombardia e Veneto, hanno mostrato segnali di preoccupazione. Spiega Zaia: «Il 90% dei lombardi e il 98% dei veneti che al referendum dell'ottobre 2017 hanno detto sì all'attribuzione di maggiori poteri alle regioni stanno aspettando al varco. Ci hanno dato fiducia, ma la loro pazienza non è infinita». Al telefono avrebbe aggiunto a Salvini: «Non posso accettare i continui rinvii, i miei non li tengo più». Il primo step prevedeva la soluzione del problema entro fine inverno; di questo passo qualche elettore potrebbe sfilarsi disgustato alle imminenti Europee. Ecco perché la Lega vorrebbe portare a casa l'accordo firmato prima del 26 maggio. Ovviamente si parla di intesa, non di applicazione operativa, come spiega il sottosegretario leghista all'Economia, Massimo Bitonci: «Il processo è lungo, ci vogliono cinque anni per passare dal trasferimento dei costi storici ai nuovi fabbisogni standard. Noi vogliamo arrivare all'intesa prima delle Europee e all'attuazione nei termini tecnici che sono più lunghi. All'interno del contratto di governo la mediazione del premier Conte porta sempre a una soluzione».L'argomento scotta, ci si affida al mediatore tentando di conciliare le ragioni dell'alleanza e quelle dello zoccolo duro degli elettori del Carroccio. Salvini sa perfettamente che - se pure il movimento si schierò per il Sì al referendum in Lombardia e Veneto - Di Maio deve fare i conti con l'ala sinistra che rifiuta l'idea di concedere autonomia alle regioni più ricche. E quel «non voglio che la riforma delle regioni diventi uno spacca-Italia» del numero uno dei 5 stelle (già in difficoltà per le batoste elettorali in Umbria e in Sardegna) viene percepito come un alzabandiera ad uso interno. Ai suoi fedelissimi, il ministro dell'Interno ripete: «Magari non subito, magari non con tutte le 23 materie, ma l'autonomia passa». Tre mesi per una firma, qualche anno per l'operatività sulle singole deleghe richieste: la strategia viene ritenuta ragionevole e i distinguo grillini sono percepiti come fisiologici dentro un processo ormai avviato. Se Salvini la chiama «autonomia» e Di Maio «riforma delle regioni» significa che il marketing politico ha un suo perché. Lo scenario è chiaro a Riccardo Fraccaro, ministro della Lega per i rapporti con il Parlamento: «Non penso che spacchi l'Italia, l'autonomia può migliorare il Paese. Sul tema si parla e si trova l'accordo, questa è una riforma importante e un giorno in più o un giorno in meno non fa differenza. Cambierà qualcosa se riusciremo a fare una proposta anche per quelle regioni che non hanno ancora chiesto le competenze». Nel Carroccio l'integralismo sta dentro la base e il possibilismo accompagna i vertici. Nella consapevolezza che prima o poi bisognerà confrontarsi su ciò che sta scritto nel contratto di governo, la bibbia laica di ogni mossa dell'esecutivo. Lo sottolinea il ministro per Autonomie e affari regionali, Erika Stefani: «So che questo governo si basa su un contratto e le autonomie sono in quel contratto. Il nostro obiettivo è chiudere con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna prima delle Europee». Proprio lei, qualche giorno fa, aveva lanciato l'allarme sulla resistenza passiva dei 5 stelle: «Prima era solo melina, adesso vedo che stanno chiudendo tutti gli spiragli. Qui c'è il rischio che salti tutto», aveva detto a Zaia, favorendo l'incontro al Viminale con i governatori per mostrare la granitica volontà comune di andare avanti.Se nelle Gallie si fanno scintillare le spade, a Roma si tratta. E dietro le frasi a effetto ci sono curve più diplomatiche, più possibiliste. Quando Di Maio sostiene: «Permetteremo alle regioni che lo chiedono di poter gestire alcuni servizi, ma il percorso non sarà breve. Ci sarà una preintesa dopo un vaglio politico mio, di Salvini e di Conte. Poi inizierà una trattativa con i governatori e alla fine si andrà in Parlamento», significa che nonostante gli slogan di principio la strada è tracciata. La chiosa di Salvini è da Prima repubblica: «Di Maio mi ha assicurato che sull'autonomia non si sfila. Certo, ha problemi interni, ma diamogli tempo». Poi uno dice che non vuol morire democristiano.