La volatilità legata a dazi, Brexit e al rischio di una nuova recessione negli Usa, spinge il settore delle polizze. Oltre ad azioni e fondi, il comparto ora offre anche certificati. L'esperto: «Queste società sono rimaste stabili, a differenza di molti istituti di credito».
La volatilità legata a dazi, Brexit e al rischio di una nuova recessione negli Usa, spinge il settore delle polizze. Oltre ad azioni e fondi, il comparto ora offre anche certificati. L'esperto: «Queste società sono rimaste stabili, a differenza di molti istituti di credito».In questa fase di mercato caratterizzata da un incremento di volatilità e da uno scenario di incertezza geopolitica (causata principalmente dalla guerra commerciale tra Usa e Cina e dalla Brexit), un interessante investimento può essere rappresentato dal comparto assicurativo.Selezione«Questo settore ha quasi sempre permesso di difendersi dai periodi di maggior incertezza», spiega alla Verità Giovanni Cuniberti, responsabile consulenza a parcella di Gamma capital markets, «E anche nell'ultima ondata di turbolenza sul settore finanziario, le assicurazioni sono rimaste stabili mentre le banche hanno subito pesanti perdite in tutta Europa».Inoltre, «rispetto al recente passato dove un investimento di questo tipo avveniva tipicamente attraverso l'acquisto di un titolo azionario, oggi l'industria finanziaria mette a disposizione soluzioni alternative. Agli Etf e ai fondi attivi si sono infatti aggiunti più recentemente i certificati di investimento».Del resto, il settore sta continuando a investire. «Le compagnie assicurative si aspettano che gli Stati Uniti entrino in una fase di recessione, ma non quest'anno», ha dichiarato Michael Siegel, responsabile globale del risparmio gestito legato al mondo assicurativo di Goldman Sachs asset management, «Di conseguenza continuano a investire, ma assumono i rischi con un approccio più selettivo. A livello globale, le compagnie assicurative continuano ad allontanarsi dai titoli governativi locali, prediligendo invece l'obbligazionario societario investment grade statunitense ed europeo, oltre gli investimenti in attività immobiliari e private equity».DiversificareFra i singoli titoli Cuniberti di Gamma capital markets segnala un colosso come Assicurazioni Generali che in tre anni è cresciuto del 47,14% e che da inizio anno ha guadagnato il 14,52%. Oppure ci sono le azioni di Helvetia. In tre anni i titoli del colosso svizzero sono saliti del 29,57% e del 9,4% da inizio 2019. Fra gli Etf c'è l'iShares stoxx Europe 600 insurance ucits etf, cresciuto in tre anni del 32,4% e da inizio anno del 16,9%. Oppure c'è il Lyxor index fund - Stoxx Europe 600 insurance ucits etf, che in 36 mesi ha reso il 30,2% e da inizio anno il 14,3%. Tra i fondi l'esperto segnala l'Nn l banking & insurance, salito del 30,7% in tre anni e del 16,3% nel 2019. Ha dato buone soddisfazioni agli investitori anche il Polar capital global insurance che ha sfiorato il 39% di rendimento in 36 mesi e del 18,3% nel 2019.Per i risparmiatori più esperti, fra i certificati che investono sul mondo assicurativo esistono diversi prodotti che forniscono un flusso cedolare nel caso in cui i sottostanti non scendano sotto la barriera. Si tratta di prodotti non per tutti ma, in un'ottica di diversificazione, possono essere molto interessanti.«Nonostante il comparto azionario assicurativo non sia immune da rischi», dice Cuniberti, «rappresentano un'interessante opportunità per una piccola percentuale del proprio patrimonio, per clienti con un'alta propensione al rischio». In effetti è proprio così: nel caso del certificato che investe su Allianz, Axa, Generali e Zurich il rendimento a partire dal 2019 è stato del 25,6%.ConsulentiAttenzione, però. Per certi investimenti è sempre meglio affidarsi a un consulente finanziario che sappia consigliare i prodotti più adatti al tipo di rischio che si vuole correre. Altrimenti, si rischia di trovarsi a passare più di qualche notte agitata e insonne.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».






