2024-01-12
La Cortellesi ora riscrive le fiabe ai bimbi
Con «C’è ancora domani» la regista è entrata nel circo dei profeti della lotta contro il «patriarcato». E adesso sale anche in cattedra per scovare il sessismo nei racconti per piccini, con esiti davvero grotteschi. Un esempio? «Biancaneve faceva la colf ai sette nani».Ogni epoca ha i maestri del pensiero che si sceglie e dunque si merita, e l’Italia del 2024 si è scelta Paola Cortellesi, regista di un film che - sospinto dallo spirito dei tempi - ha ottenuto enorme successo. C’è ancora domani, questo il titolo, tratta di violenza sulle donne, e lo fa riverberando la visione del mondo (sintetizzata dall’autrice in numerose interviste) che oggi va per la maggiore: esiste ancora qui da noi una feroce oppressione patriarcale che va combattuta, possibilmente rieducando i maschi affinché tengano sotto controllo la loro innata spinta alla sopraffazione del prossimo. Tale impostazione, del tutto simile (benché molto semplificata) a quella prevalente nel post femminismo, è valsa alla Cortellesi il ruolo di sacerdotessa della correttezza politica. E lei, anche giustamente, non ha perso occasione per esibirsi in prediche e ammonimenti, gli ultimi dei quali pronunciati alla università Luiss per inaugurare l’anno accademico.E poiché chi non ha un pensiero originale non può certo darselo in quattro e quattr’otto, anche di fronte alla prestigiosa platea la regista ha snocciolato una serie di luoghi comuni e banalità piuttosto sconcertanti, fornendo l’ennesima dimostrazione della superficialità con cui in questi anni si ragiona sui rapporti fra uomini e donne. La Cortellesi ha pensato bene di incentrare il suo intervento sui cosiddetti stereotipi di genere - che certo esistono, ma che altrettanto certamente non sono quelli da lei indicati - e nel tentativo di demolirli ha fatto ampio riferimento alle fiabe tradizionali, a suo dire grondanti di pregiudizi sessisti.Di nuovo, nulla di particolarmente sconvolgente. Risulta un filo irritante, tuttavia, il continuo attacco ad alcuni dei frutti più nobili e suggestivi dell’intera cultura occidentale in nome della più trita retorica woke. Le fiabe, non è certo una novità, sono tra i bersagli preferiti dalla cosiddetta cultura della cancellazione, e non passa mese senza che qualche presunto intellettuale o un mezzo vip prenda la parola per chiedere di riscriverle o direttamente eliminarle. La Cortellesi ha pescato ampiamente dalle baggianate d’Oltreoceano e lo ha fatto per giunta in un ateneo, cioè in un luogo in cui certe bestialità dovrebbero essere proibite o per lo meno osteggiate. Qualche estratto dal prezioso repertorio: «Siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza il cacciatore l’avrebbe salvata lo stesso?»; il principe aveva per forza bisogno della scarpetta per riconoscere Cenerentola, «non poteva guardarla in faccia»?; «Chi è così ingenua da fidarsi di una strega?»; «Biancaneve faceva la colf ai sette nani!».Possiamo pure comprendere il (maldestro) tentativo di strappare risate, ma l’ottusità che trasudano certi commenti non si può trascurare a cuor leggero. Al pari di tutti gli altri profeti del politicamente corretto, la Cortellesi sembra completamente ignorare il significato profondo delle fiabe, che peraltro è stato indagato e illustrato da straordinarie intellettuali di sesso femminile come la junghiana Marie-Louise von Franz, che certo una femminista farebbe bene a frequentare e a onorare, visto il lustro che ha dato all’umanità.È più che sufficiente, in ogni caso, una celere ricerca in Rete per scoprire la rilevanza simbolica della storia di Biancaneve, per le femmine come per i maschi. La candida fanciulla rappresenta l’anima ed è impegnata in un complesso percorso di ascesi, che la vede impegnata in prove complicate e che termina con le «nozze mistiche» fra il mascolino e il femminino sacro. I quali, finalmente uniti e in equilibrio, consentono all’individuo di crescere e di raggiungere uno stato di pienezza e consapevolezza. Biancaneve non è, dunque, una ingenua ragazzina sottoposta alle angherie di uomini brutali, ma una figura che mostra a ciascuno di noi quanto sia importante (e difficile) «conoscere sé stessi» e diventare uomini e donne strutturate. Quanto ai poveri sette nani, il loro significato esoterico richiederebbe una lunga trattazione, ma semplificando largamente si potrebbe vederli come la rappresentazione delle forze che sostengono Biancaneve nel suo percorso. Secondo alcune letture sono sette come i chakra, lavorano nel profondo della miniera per portare alla luce doni nascosti.Non serve tuttavia addentrarsi in divagazioni astruse. Sarebbe sufficiente far notare che in Biancaneve va in scena un conflitto lacerante interno al femminile, tra una matrigna cattiva e una giovane che cerca di diventare donna. La fiaba insegna a fare i conti con l’incedere del tempo, a guardarsi dalle insidie del mondo e dall’invidia di certi rivali; mostra quanto sia determinante imparare a gestirsi da soli (Biancaneve inizia a farlo proprio nella casupola dei nani) e fornisce un modello universale di collaborazione positiva tra maschile e femminile, mostrando i lati positivi e negativi dei due universi. Storie come questa non sono dunque il prodotto della presunta mascolinità tossica, ma la preziosa eredità della sapienza ancestrale dei popoli, spesso rielaborata da alcuni dei più grandi artisti di ogni tempo.Forse Paola Cortellesi pensa di potersene prendere gioco solo perché ha girato un film di successo, o perché Vanity Fair la interpella come un oracolo. Ma se una pretende di smontare e rimontare la grande cultura europea, dovrebbe almeno prendersi la briga di conoscerla, prima. Altrimenti, anziché demolire gli stereotipi di genere, rischia di apparire soltanto come un pessimo genere di stereotipo.