Daniele Capezzone e Camilla Conti parlano di manovra e della conferenza di Draghi di ieri, ma anche della vicenda Mps-Unicredit, di terza dose e campagna vaccinale.
Daniele Capezzone e Camilla Conti parlano di manovra e della conferenza di Draghi di ieri, ma anche della vicenda Mps-Unicredit, di terza dose e campagna vaccinale.
Emmanuel Macron (Ansa)
Mentre gli europei si svenano pur di rinunciare al gas di Mosca, un’azienda francese si allea con una russa per fabbricare combustibile nucleare in Germania. Intanto il ministro Pistorius getta acqua sugli ardori bellicisti.
Prima ancora di parlare con Putin, Macron già ricomincia a fare affari con lui. La duplice intesa si va consumando sul terreno dell’energia nucleare: la francese Framatome e la controllata della russa Rosatom, Tvel fuel company, sono in lizza per fabbricare combustibile nucleare in uno stabilimento a Lingen, nella Bassa Sassonia. Sulla Verità, ne avevamo scritto già a marzo 2024. Ieri, Politico ha ricordato che le autorità tedesche dovranno decidere entro poche settimane sul destino della joint venture.
Framatome, sussidiaria dell’azienda di Stato transalpina Edf, utilizzerebbe componenti fornite da Tvel, che non sarebbe direttamente coinvolta nelle operazioni ma, appunto, consegnerebbe elementi essenziali alla produzione del combustibile. Il materiale fissile verrebbe impiegato da ben 19 reattori di era sovietica, sparsi in cinque Paesi membri dell’Ue in Europa orientale, oltre che da 15 reattori in Ucraina. Il tutto avviene proprio mentre Bruxelles, che ha rinnovato le sanzioni contro Mosca fino a luglio 2026, benché non abbia mai colpito il settore dell’atomo, si impegna a eliminare tutto il gas dello zar entro il 2027.
È proprio all’intento di rendere indipendente il Vecchio continente, che si stanno aggrappando i socialdemocratici tedeschi, alla guida del Länder interessato dal progetto, per frenare il sodalizio francorusso. «Un tempo, la Germania ha dato a Gazprom l’accesso a un’infrastruttura energetica critica nel sito di stoccaggio di Rehden», ha detto a Politico il ministro dell’Ambiente della Bassa Sassonia, Christian Meyer, dei Verdi. Berlino, in quel modo, «è diventata vulnerabile al ricatto, quando Putin ha chiuso il gasdotto durante la crisi» del 2021, allorché la società russa ridusse le forniture e il Cremlino spinse per la realizzazione del Nord Stream 2. Il timore è che, stavolta, Rosatom si impossessi di tecnologie sensibili e porti avanti attività di spionaggio. Framatome, invece, a Politico ha spiegato che solo con la collaborazione di Tvel si riuscirà ad arrivare a una «soluzione europea che sia al 100% sovrana». Utilizzare materiali russi per rendersi autonomi dal prodotto finito, che è sempre russo: per i francesi, non c’è alcun paradosso.
Lunedì, Gianluigi Paragone ha già illustrato, su queste colonne, la strategia di Emmanuel Macron, che dopo aver minacciato l’invio di truppe, ora vuol dialogare con Vladimir Putin. L’Ue, spiazzata, si è ritrovata pure costretta ad applaudire. Il punto è che in Europa continua ad arrivare petrolio russo attraverso le navi fantasma, ancorché bersagliate da Kiev; e a conflitto terminato, nel quadro dell’accordo sulle sfere di influenza tra Donald Trump e Vladimir Putin, congegnato dagli Usa anche per allentare i legami tra la Federazione e la Cina, potrebbero essere direttamente gli americani a rivenderci il greggio di Mosca, al triplo del prezzo di prima. Addirittura, ignorando i desiderata europei, la prima bozza di intesa con Washington prevedeva persino il ritorno del gas russo nel Vecchio continente.
L’inquilino dell’Eliseo - che ieri ha difeso la Groenlandia dalle mire della Casa Bianca - constata un dato di realtà. E con la spregiudicatezza che lo contraddistingue, prova a riprendere il filo del discorso con l’autocrate là dove si era interrotto: all’ultima visita al Cremlino, due settimane prima che cominciasse l’«operazione speciale», con i due presidenti seduti agli antipodi del tavolo lungo sei metri, realizzato da un’azienda di Cantù.
Che nell’intreccio sul nucleare sia coinvolta la Germania è un dato doppiamente interessante. Lo è perché il Paese è molto esposto sul fronte energetico, tanto che gli stoccaggi italiani hanno ormai superato quelli tedeschi: 77,3% di riempimento contro 61,1%, a fronte di un indice di riferimento Ue del 66,9%. E lo è perché la mossa del cavallo del leader più politicamente decotto d’Europa, attuata nel momento in cui i negoziati di Miami sono in stallo e il viceministro degli Esteri di Mosca ha rimandato a primavera il patto con gli Stati Uniti, scompagina il fronte dei volenterosi. All’indomani della frattura, in seno al Consiglio, sull’uso degli asset, favorita dalla rinnovata convergenza di Parigi con l’Italia di Giorgia Meloni.
Non è un mistero che Friederich Merz fosse, insieme a Ursula von der Leyen, il principale fautore della confisca dei fondi detenuti dalla belga Euroclear. E sulla stampa internazionale, dal Financial Times in giù, fioccano i retroscena sul fastidio del cancelliere per il «tradimento» di Macron, anche se, ufficialmente, Berlino si è trincerata dietro il no comment, come Roma e Londra. In Germania, poi, dev’esserci qualche amarezza per un’occasione sfumata: quella dei colloqui di pace nella capitale tra Usa, Unione europea, Nato, Ucraina e Russia, non più di dieci giorni fa.
Guarda caso, il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, in un’intervista a Die Zeit, ha rovesciato la retorica apocalittico-bellicista, tanto di moda nel continente. A novembre, sosteneva che quella del 2025 sarebbe stata, probabilmente, «l’ultima estate di pace». Oggi sembra aver cambiato idea. Al segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, il quale ha invitato i cittadini a prepararsi a un conflitto simile «a quelli di cui fecero esperienza i nostri nonni e i nostri bisnonni», Pistorius ha replicato: «Non credo in uno scenario del genere. A mio avviso, Putin non ha intenzione di iniziare una guerra mondiale contro la Nato». Eliminare il pathos, certo, non è abbastanza per rinunciare al riarmo. A parte quello, alla Germania rischia di rimanere poco altro.
Continua a leggereRiduci
iStock
- Dalla memoria dei Saturnali alla tradizione cristiana, dieci ricette che riscoprono il senso profondo del convivio natalizio: piatti colti e popolari insieme, capaci di unire storia, gusto e creatività, per un pranzo delle feste che sia davvero «cum laude».
- Il vino, compagno indispensabile della festa. Dalle grandi etichette d’autore alle scoperte più sorprendenti, una guida ragionata alle bottiglie da portare in tavola a Natale: rossi importanti, bianchi longevi e vini capaci di affascinare, con le regole fondamentali per abbinarli, servirli e goderne appieno.
- Il galateo delle feste, tra eleganza ed empatia. Dieci regole pratiche – e qualche concessione intelligente – per apparecchiare, accogliere e condividere il Natale con stile: dalla tavola alla puntualità, dai brindisi all’arte dell’ospitalità, perché la vera buona educazione è far sentire gli ospiti a casa.
Lo speciale contiene tre articoli.
Siete pronti? C’è da festeggiare un Natale cum laude. Troppi sono i rumori sgradevoli che ci portano lontano dallo spirito della rinascita, dall’avverarsi della luce di Cristo sulla terra. Che siate laici o credenti sappiate che questo scemare dell’anno è dai tempi più remoti l’attesa della rinascita, del riavviarsi del ciclo vitale. E dunque non bisogna farsi trascinare nella consuetudine, si deve avere il coraggio di compiere una rivoluzione intima. Anche in cucina, anche a tavola, anche nel festeggiare.
Dunque recuperiamo lo spirito del Natale come attesa della luce, ma anche la consuetudine avita dei «saturnali». Non del sol invictus che è di certo il più fermo antenato del nostro 25 dicembre che Costantino nel 321 d.C elevò appunto a giorno di celebrazione della nascita di Gesù (come aveva decretato la domenica giorno della luce durante la settimana), ma a quella settimana di festeggiamenti che andavano più o meno dal 17 al 23 dicembre per placare il dio Saturno che durante l’inverno si divertiva a tormentare le genti. Era festa per celebrare lo scorrere del tempo (Saturno altro non era che il Kronos greco) e lo scorrere del tempo era appunto annuncio di rinascita. Si facevano libagioni e banchetti, ci si vestiva di rosso (il colore della vita e anche Babbo Natale se ci pensate bene è vestito di rosso!), ci si scambiavano doni e saltavano le gerarchie tanto che gli schiavi si sentivano liberi e il potere era dato a un princeps estratto a sorte come a dire che le cure pubbliche per una settimana andavano accantonate. Una sorta di anticipazione del «semel in anno» (una vota all’anno è lecito trasgredire) che sarà il motto del carnevale dall’alto medioevo in avanti. E perciò ci prepariamo – proprio per anestetizzare gli affanni contemporanei e purtroppo quotidiani – a un Natale da dieci cum laude che è la preghiera rivolta al Gesù che viene di darci la pace. Dunque in cucina e in cantina per scoprire i nostri molteplici di dieci.
Lasciamo perdere tortellini, cotechino, lasagne, arrosto o bollito misto anche se dovreste rivalutare con il riconoscimento Unesco alla cucina italiana (intesa come valore antropologico culturale) il gran fritto all’italiane che è u trionfo con verdure pastellate, cremini fritti, mele e poi le carni compreso il cervello anche se oramai è caduto in disuso. Lasciamo perdere perché diamo per scontate queste ricette e allora ecco die patti possibili per arricchire il pranzo di Natale avendo sempre presente l’incipit de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi che così dice: “Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino, non credo sia necessario, per riuscire, di nascere con una cazzeruola in capo; basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, ché questa vi farà figurare.”
Pasticcio di prosciutto in gelatina

iStock
Ingredienti - Una cipolla, una carota, una costa di sedano, 6 fogli di colla di pesce, 300 gr di prosciutto cotto di ottima qualità a fette sottili, 80 gr di burro, 150 gr di prosciutto cotto in tre fette, 2 cucchiai di farina 00, 200 ml di latte, 200 ml di panna da montare (non dolcificata), 3 cucchiai di pisellini lessati, un uovo, 100 ml di olio di girasole e 100 ml di olio extravergine di oliva, un limone, un cucchiaini di senape, alcune foglie di lattuga, un uovo sale e pepe qb
Procedimento - Con carota, cipolla, sedano preparate un litro di brodo vegetale leggermente salato. Mettete in ammollo i fogli di cola di pesce, strizzateli e uniteli al brodo vegetale. Versatene meno della metà in quattro coppe che metterete subito a riposare in frigo. Ora preparate con 30 gr. di burro, la farina e il latte una besciamella che profumerete con un po’ di pepe e salerete leggermente. Frullate le fette di prosciutto sottili, mentre da una di quelle più spesse ricavate dei dadini. In una pirofila unite il prosciutto a dadini, quello frullato, il burro, la besciamella e la panna che avrete montato con le fruste e bagnate con un po’ di gelatina. Abbiate cura di avanzarne almeno la metà che vi servirà per chiudere il pasticcio. Aggiungete anche i pisellini e amalgamate bene. Ritirate dal frigo le coppette e verificate che la gelatina si sia consolidata. Colmate le coppette con la crema di prosciutto e dalle due fette spesse di prosciutto avanzate ricavatene 4 metà che metterete a copertura della crema di prosciutto. Ora colmate con la gelatina rimasta e rimette in frigo per almeno tre ore. Prima di servire preparate una maionese casalinga. Nel bicchiere del mixer a immersione mettete l’uovo che deve essere a temperatura ambiente, i due oli, il succo del limone e frullate alla massima velocita fino a ottenere una crema densa. Aggiustate di sale e incorporate la senape. Ritirate dal frigo le coppette di prosciutto, sformate, adagiate il pasticcio su foglie di lattuga e guarnite con la maionese.
Tarte tatin di scarola

Ingredienti - Un cespo d’insalata scarola bella croccante, cento grammi di pancetta o bacon in tre o quattro fette spesse da cui ricavare dei dadini, 80 gr di olive taggiasche denocciolate, 30 gr di capperi dissalati, una confezione di pasta sfoglia (o se preferite brisé), sale, pepe olio extravergine di oliva qb.
Procedimento - Lavate bene la scarola, asciugatela lasciandola però intera. In una teglia da forno circolare che possa contenere bene l’insalata un po’ schiacciata sistemate un foglio di carta forno che napperete con olio extravergine di oliva aggiungendo un pizzico di sale e di pepe. Ora adagiate la scarola nella teglia e inserite tra le foglie olive, capperi, dadini di pancetta o bacon che avrete ricavato tagliando le fette. Irrorate di olio extravergine di oliva e condite ancora con sale e pepe. Ricoprite la scarola con la pasta sfoglia o la brisé dando all’impasto una forma a conchiglia in modo che possa contenere l’insalata, bucherellate la pasta qua e là e infornate a 180 gradi per una ventina di minuti. Uscita dal forno capovolgete la tatin sul piato di portata, se volete date ancora un giro di extravergine, e servite.
Olive quasi all'ascolana

iStock
Ingredienti - 40 olive denocciolate meglio se Tenera Ascolana e comunque di calibro generoso, 500 gr di carne macinata mista (maiale e manzo), tre uova, 12 cucchiai di pangrattato, 12 cucchiai di farina 00, un litro di olio per friggere, sale, latte e noce moscata qb.
Procedimento - Aprite a metà, dopo averle ben risciacquate dalla salamoia di conserva, per il verso della lunghezza le olive senza però dividere le due metà. In una ciotola condite con sale e noce moscata abbondante la carne e poi inserite dei pugnetti di macinato all’interno delle olive. Badate che la carne può, anzi deve sbordare dalle due metà delle drupe. E’ come se steste facendo una polpettina che è per circa due terzi della circonferenza avvolta dall’oliva. Ora sbattete le uova e se serve allungatele con un po’ di latte. Passate le olive prima nella farina poi nell’uovo, poi nel pangrattato, ancora nell’uovo e in ultimo nel pangrattato. Scaldate l’olio in una capace padella e friggete un po’ alla volta le vostre olive. Servitele croccanti e ben calde aggiustando di sale.
Tagliatelle in crosta

iStock
Ingredienti - 250 gr di tagliatelle all’uovo di ottima qualità, una confezione di pasta brisé, 400 gr di funghi (vanno benissimo anche gli champignon), 150 gr di ottimo prosciutto crudo in due sole fette, 150 gr di formaggio Montasio (potete sostituire con Fontina o Asiago), 70 gr di burro, un uovo, tre cucchiai di olio extravergine di oliva, due spicchi d’aglio, un ciuffo di prezzemolo, sale e pepe qb.
Procedimento - Fate a julienne il prosciutto e a brunoise il Montasio, mondate i funghi e mettete a bollire una pentola d’acqua dove lessare le tagliatelle. In una padella fate dorare nell’olio extravergine di oliva l’aglio, poi aggiungete i funghi tagliati a fettine. Fate prendere colore poi abbassate la fiamma e fate perdere tutta l’acqua ai funghi, aggiustate di pepe e di sale. Tritate finemente il prezzemolo. Ora foderate con la pasta brisè, mantenendo la carta forno, una tortiera a cerniera di 20 cm avendo cura che sbordi molta pasta. Lessate per non più di due minuti le tagliatelle in acqua salta, scolatele bene e conditele col burro. Poi saltatele nella padella con i funghi. Spegnete il fuoco e aggiungete la juliene di prosciutto e la dadolata di Montasio. Mescolate bene spolverizzando con il prezzemolo tritato e aggiustate se del caso col pepe. State attenti al sale perché la sapidità di prosciutto e formaggio potrebbe rendere disarmonico il piatto. Ora trasferite le tagliatelle nella tortiera avendo cura di lasciar cadere qua e là qualche fiocchetto di burro. Ricoprite con la pasta brisé a mo’ di bauletto. Sbattete solo il rosso dell’uovo e pennellate la superficie della crosta per dorare e infornate a 180 gradi per una ventina di minuti o fin quando la paste brisé non abbia un bel colore dorato.
Riso rosso in forma reale

iStock
Ingredienti - 360 gr di riso italiano (Vialone, Carnaroli, Arborio, ma va benissimo anche il Roma) due o tre cipollotti freschi, un caspo di radicchio rosso, 150 gr di speck affettato sottilmente, 200 gr di Provolone dolce (o altro formaggio), 150 gr di burro di primo affioramento, 4 cucchiai di Parmigiano Reggiano o Grana padano grattugiato, 4 cucchiai di pangrattato, sale e pepe qb.
Procedimento - Mettete a lessare il riso in una pentola con acqua calda, ma non salata. Tritate finemente i cipollotti e fateli stufare in tre quarti del burro in una padella, mondate e tagliate a striscioline il radicchio e fatelo stufare con la cipolla aggiustando di pepe e di sale e se serve aggiungete appena un po’ di acqua di cottura del riso. Tritate grossolanamente lo speck e aggiungetelo al radicchio e fate a cubetti piccoli il Provolone. Scolate il riso a tre quarti di cottura (circa 10 minuti da quando alza il bollore) e saltatelo in padella per meno di un minuto. Fuori dal fuoco aggiungete il Provolone e il formaggio grattugiato. Mantecate vigorosamente in modo che il riso trattenga tutto il condimento. Imburrate una teglia da forno (noi abbiamo usato uno stampo da budino, va benissimo una tortiera a cerniera) e cospargetela di abbondante pangrattato. Riempitela col riso pressando bene. Infornate a 190 gradi per circa 15 minuti (volendo date due minuti di grill a fine cottura). Sformate e servite guarnendo con radicchio fresco.
Volevo essere un vincisgrasso

iStock
Ingredienti - 400 gr di carne di manzo macinata di prima scelta, 500 gr di pasta per lasagne già pronta in fogli, 100 ml di olio extravergine di oliva, una carota, una costa di sedano, una cipolla, un cucchiaio di concentrato di pomodoro e 500 gr di passata di pomodoro, 250 ml di latte, 150 gr di burro, 3 cucchiai colmi di farina doppio zero, una mozzarella fiordilatte da 250 gr facoltativa, 250 gr di Parmigiano Reggiano o altro formaggio da grattugia, sale, pepe e noce moscata.
Procedimento - Tritate finemente le verdure e mettetele a soffriggere in una capace pentola con l’olio extravergine di oliva; appena le verdure si sono ammorbidite aggiungete la carne macinata e rosolatela bene, ora aggiungete il concentrato di pomodoro e successivamente la passata di pomodoro. Abbassate il fuoco e lasciate sobbollire per circa un’ora aggiustando di sale e pepe. Se serve aggiungete un po’ d’acqua di quando in quando. Nel frattempo preparate la besciamella. In una pentolina fate fondere il burro, aggiungete la farina e girate con la frusta energicamente finché la farina non si stacca dalle pareti. Ora fate colare a filo il latte intiepidito continuando a girare; aggiungete abbondante noce moscata, aggiustate di sale e pepe e aggiungete circa metà del formaggio grattugiato. Evitate il formarsi di grumi e lasciate la besciamella abbastanza sciolta. Adesso mettete a bollire una pentola d’acqua leggermente salata, preparate dei canovacci puliti su di un piano e una bacinella di acqua fredda. Fate scottare un po’ per volta le sfoglie di pasta nell’acqua salata che bolle per non più di due minuti, poi passatele in acqua fredda e adagiatele sui canovacci a perdere acqua. Se volete aggiungerlo tritate grossolanamente il fiordilatte. Quando il sugo di carne è pronto aggiungete due terzi della besciamella a fuoco spento e rigirate. Ora in una pirofila da forno stendete sul fondo un velo di besciamella poi adagiate un primo strato di pasta, condite abbondantemente col sugo, poi aggiungete un po’ di fiordilatte e una spolverata di formaggio grattugiato. In questo modo fate almeno quattro strati. All’ultimo ricoprite con la besciamella avanzata e spolverate in abbondanza col formaggio grattugiato in modo da ottenere una crosta dorata. Infornate 180 gradi per circa 45 minuti.
Stinco alla birra

iStock
Ingredienti - Uno o due stinchi di maiale o di vitello di almeno 1,2 kg complessivi, 2 o 3 mele (scegliete quelle che più amate, la tradizione vuole che si usino le renette), 5 o 6 cucchiai di farina 00, 6 cucchiai di olio extravergine di oliva, 80 gr di burro di primo affioramento, 3 carote, due coste di sedano, 3 cipolle rosse, 2 pomodorini, qualche foglia di alloro, 4 o 5 chiodi di garofano, 500 ml di birra bionda, sale e pepe qb.
Procedimento - Sbucciate le mele e privatele del torsolo, fatele a tocchetti e mettetele in una bacinella con acqua fredda. Pulite le verdure. Con una carota, una costa di sedano, i pomodorini e una cipolla fate un brodo vegetale, le altre verdure mondatele bene e tritatele grossolanamente. Infarinate ben bene lo o gli stinchi che avrete massaggiato con sale e pepe, in una casseruola capiente e dotata di coperchio fate fondere il burro con l’olio extravergine con le foglie di alloro. Aggiungete gli stinchi e fateli dorare da tutti i lati in modo che facciano una crosticina, abbassate la fiamma e aggiungete nella casseruola le verdure. Incoperchiate e cuocete a fuoco dolce per una decina di minuti. Quando le verdure si sono un po’ ammorbidite aggiungete le mele che avrete scolato, i chiodi di garofano e subito dopo la birra. Alzate la fiamma per far evaporare l’alcol, poi incoperchiate e continuate la cottura a fuoco dolce. Di quando in quando rigirate gli stinchi e aggiungete un po’ di bordo vegetale. La carne deve sempre rimanere più che umida. Per portare a cottura ci vorranno circa due ore. A cottura ultimata vedrete che sul fondo della pentola sarà rimasta una crema di mele e verdure. Eliminate i chiodi di garofano e le foglie di alloro e servite gli stinchi nappandoli con il fondo di cottura.
La torta di patate

iStock
Ingredienti - 800 gr di patate meglio a pasta bianca, 200 gr di scamorza o altro formaggio, 100 gr di Parmigiano Reggiano, Grana Padano o altro formaggio da grattugia, 100 gr di burro, 6 cucchiai di pangrattato, 200 gr di pancetta, 150 gr di prosciutto cotto (o un mix di altri salumi), 2 uova, sale, pepe e noce moscata qb.
Procedimento - Lessate ben bene le patate con la buccia, poi sbucciatele e schiacciatele ancora calde in una capace ciotola, conditele con un po’ di burro, metà del formaggio da grattugia, il sale, il pepe e la noce moscata. Fate a dadini i formaggi e i salumi. Battete le uova con un pizzico di sale. Ora aggiungete alle patate tutti gli ingredienti, uova comprese, e amalgamate. Prendete una pirofila da forno, imburratela e sistematevi l’impasto compattando bene. Ricoprite la superfice con il pangrattato, fiocchetti di burro e il formaggio da grattugia rimasto. Infornate a 190 gradi per una ventina di minuti.
Girelline all'arancia

iStock
Ingredienti - 200 gr di farina (noi usiamo la 0), un’arancia di generose dimensioni non trattata, due cucchiaini di lievito istantaneo per dolci, 2 uova, due o tre cucchiai di Marsala stravecchio, un pizzico di sale, 40 gr di zucchero a velo, 20 gr di zucchero di canna, olio di semi di girasole alto oleico per friggere.
Procedimento - Impastate farina, uova, Marsala, lievito, un pizzico di sale, buccia d’arancia grattugiata e metà dello zucchero a velo con il solito procedimento (si uniscono prima tutte le polveri poi si fa la fontana, si rompono le uova al centro della fontana, s’irrora col Marsala, si aggiunge circa metà della buccia dell’arancia grattugiata e si impasta). Si lavora per qualche minuto fino a ottenere una pasta elastica e omogenea. Si avvolge nella pellicola alimentare e si fa riposare per una ventina di minuti in frigo. Trascorso questo tempo si stende la sfoglia sottile (diciamo due millimetri di spessore) e si ricopre di zucchero a velo, zucchero di canna e tutta la buccia d’arancia grattugiata rimasta. Ora si arrotola la pasta su se stessa e poi con l’aiuto di un coltello si tagliano tante girelline di spessore di circa 7-8 millimetri. Per ottenere la massima croccantezza si possono ripassare in frigo in attesa che in una larga padella l’olio per frittura arrivi a temperatura. A quel punto si friggono un po’ per volta le girelline, si sistemano su un piato di portata e si spolverizzano con altro zucchero a velo prima di servirle.
Zuppa inglese

iStock
Ingredienti - Un litro di latte (meglio se fresco e intero), 8 cucchiai colmi di zucchero e 8 di rasi di farina 00, 4 cucchiai di cacao in polvere, 4 uova, 6 cucchiai di Alchermes, un limone non trattato, mezzo pandoro (circa 600 gr).
Procedimento - Affettate in fette sottili il pandoro, ora mettete sul fuoco un pentolino con il latte, la scorza del limone, le uova (due intere e due tuorli), lo zucchero e cominciate a girare con la frusta mentre fate cadere a pioggia la farina. Sorvegliate la crema girando continuamente e tenendo il fuoco molto dolce. Quando la crema si è addensata toglietela dal fuoco, separatela in due metà e mettete in una metà tre cucchiai di cacao in polvere amalgamando bene. Prendete le due creme e ponetele a raffreddare in frigorifero. Ora prendete uno stampo semisferico (quelli da zuccotto) di 20 cm di diametro, foderatelo con pellicola alimentare facendo sbordare abbondantemente la pellicola e foderatelo con alcune fette di pandoro che con un pennello irrorerete di Alchermes. Versate la crema al cacao e copritela con uno strato di pandoro che irrorerete di Alchermes, sopra a questo strato di pandoro versate la crema pasticcera bianca e chiudete con un ulteriore strato di pandoro. Ora sigillate il tutto con la pellicola che sborda dallo stampo e ponete in frigorifero per almeno 2 ore.
Le bottiglie per la festa

iStock
Scomodo ancora uno dei miei “miti” Jean Anthelme Brillat-Savarin per far intendere a chi si picca di esiliare il vino dalla tavola a quale resia egli s’acconci. Scrive il grande francese nella Physiologie di gout di cui in quest’anno, che sta scemando, si celebrava il duecentesimo anniversario della pubblicazione: “Un pasto senza vino è un giorno senza sole” a rafforzativo della indispensabilità di una buona bottiglia; e per comprendere l’indispensabilità del nettare della vigna aggiunge: “Sostenere che non bisogna cambiar vino è un’eresia, la lingua si satura e dopo il terzo bicchiere anche il vino migliore desta una sensazione ottusa”. Quanta saggezza in queste parole! Ci sono alcune regole che accostandoci al pranzo delle feste conviene seguire per degustare al meglio il vino che deve essere compagno del cibo, non sovrastarlo né deve essere la ragione del convivio: si beve per compiacersi del pasto, non si consuma un pasto per bere. Sto per accingermi a fard un’azione di assoluta parzialità: indicherò alcune etichette a mio gusto. Non sono le migliori in assoluto, anche perché io aborro le classifiche, sono dei consigli avvertendovi che per spumanti, rosati e passiti ci sarà spazio in vista del Capodanno. Ma prima lasciate che vi offra delle indicazioni di massima che ci servono a non sbagliare. Prima cosa si va dai vini più leggeri a quelli più strutturati: dai bianchi ai rossi fino ai vini passiti. Il secondo consiglio è di stare aderenti quanto più si può alla propria regione se si portano in tavola piatti d’impostazione vernacolare. Terza cosa: attenti alle temperature di servizio. I rossi non vanno a temperatura ambiente teneteli al massimo ai 16 gradi, i bianchi di struttura teneteli meno freddi (diciamo sui 13 gradi) rispetto ai bianchi giovani (8/10 gradi): Gli spumanti devono essere assiderati i rosati serviteli a temperatura come i bianchi strutturati, i passiti si offrono o a temperatura ambiente se molto alcolici o freschi se più leggeri (ad esempio un Moscato d’Asti va trattato come uno spumante) e infine evitate l’eresia dello spumante – se non è dolce – con i panettoni e il fine pasto. Dette queste quattro cosucce vi offro una mia personalissima e parzialissima rassegna di bottiglie da non perdere.
I rossi d'autore

iStock
Non lasciatevi fuorviare dall’idea che gli autoctoni siano meglio dei vitigni internazionali o che i tagli bordolesi siano per definizione impeccabili. Come sempre dipende da come si fanno le cose. Tra questi rossi d’autore ho scelto bottiglie che costano s^ ma non sono le più care in commercio: sono vini preziosi, ma perché nascono da grandi territori, da infinite passioni e da immense dedizioni.
TIGNANELLO – Marchesi Antinori – E’ un blend di Sangiovese e dei due Cabernet. Vino impeccabile. A partire da 150 euro.
SAN LEONARDO – Un taglio bordolese impeccabile, nasce dalle vigne della tenuta San Leonardo nel cuore del Trentino in riva all’Adige. I Guerrieri Gonzaga ne hanno fatto un mito. A partire da 100 euro.
AMARONE COSTASERA – Forse la massima espressione dell’Amarone nella sua identità. Sandro Boscaini il patron della Masi ne è fato un must mondiale. L’uvaggio è quello classico: Corvina, Molinara, Rondinella. Col bollito niente di meglio. A partire da 50 euro.
BRUNELLO RISERVA PODERE MATRICHESE – E’ uno dei Brunello di Montalcino più autentici. Sangiovese in purezza, affinato 6 anni in legno grande, Andrea Costanti ha fatto una bottiglia mito. A partire da 80 euro.
BAROLO DRAGOMIS – E’ uno dei rossi più grandi del mondo. C’è dentro l’anima della Langa, nebbiolo in purezza che “dorme” cinque anni nei grandi legni. Angelo Gaja ne ha fatto un vino di classe accessibile. Il prezzo è adeguato al valore a partire da 150 euro.
PALEO ROSSO – La massima espressione del Cabernet Franc in Italia creato da Eugenio Campolmi, oggi è sua moglie Cinzia Merli a proseguire il viaggio della massima qualità a Le Macchiole in quel di Bolgheri. Prezzo a partire da 110 euro.
SAGRANTINO 25 ANNI ARNALDO CAPRAI – Marco Caprai ha portato il Sagrantino alle vette della massima notorietà mondiale. Un vino scuro, potente, irripetibile. A partire da 60 euro.
TAURASI RADICI MASTROBERARDINO – La più alta espressione dell’Aglianico. Piero Mastroberardino ha portato questa bottiglia a una longevità assoluta. Prezzo a partire da 50 euro.
TERRE BRUNE CANTINA DI SANTADI – Antonello Pilloni, che ora ha passato il bastone del comando, ha fatto della Cantina cooperativa di Santadi un’espressione assoluta di qualità. Il Terre Brune è la massima espressione del Carignano del Sulcis: profuma di Mediterraneo. A partire da 48 euro.
MILLE E UNA NOTTE DONNAFUGATA – Un rosso incantevole che ha la potenza della Sicilia, il soffio del Mediterraneo, la souplesse dei profumi d’Oriente. Incontro di Petit Verdot con Syrah e Nero d’Avola è un rosso assoluto, A partire da 70 euro.
Le scoperte in rosso

iStock
Sono infiniti i rossi di straordinaria qualità nel nostro paese: ne indico dieci che sono le mie bottiglie del cuore. Comincio con due marchigiani: il rosso Conero di Umani Ronchi
Podere San Lorenzo Montepulciano in purezza (28 euro) e con un Rosso Piceno Superiore a me particolarmente caro: il Roggio del Filare di Angiolina Velenosi incontro di Montepulciano e Sangiovese (sui 28 euro).
Ecco tre toscani a cui sono legatissimo. Prima di tutti viene il Lentisco di Fiorella Lenzi (Serraiolawine) Sangiovese in purezza che sa di Maremma (sui 20 euro), poi il Castello di Nipozzano Riserva di Frescobaldi che recupera la malvasia nera (sui 25 euro) e infine devo citare il Roddi Montepulciano de La Braccesca: il Sabazio (sangiovese e Merlot) sui 25 euro.
Per me insuperabile tra i vini di Romagna è il Vigan del Pruno di Drei Donà espressione autentica del Sangiovese (27 euro).
Segnalo anche se meriterebbe ben più ampia citazione dal Veneto il Venegazzù della Casa dove il Malbec dà profondità (sui 25 euro).
Andiamo in Abruzzo col Montepulciano di Emidio Pepe che merita la massima attenzione (il prezzo è elevato attorno ai 70 euro ma ne vale la pena) e torniamo a massimo nord con il Ludwig di Elena Walch forse la più alta espressione del Pinot Nero in Italia (39 euro) e chiudo con una Barbera incantevole la Barbera Bricco dell’Uccellone di Giacomo Bologna (58 euro).
Quei bianchi longevi e incantati

iStock
Vi avranno sempre detto che i vini bianchi non sfidano il tempo, anzi bisogna berli più presto che si può. Sicuri? E pensare che sulla longevità denominazioni come Montrachet hanno costruito il loro mito (e il loro inarrivabile prezzo). Per fortuna ci sono degli enologi e dei produttori che in Italia hanno deciso di scommettere sui lori vini. Tra questi un posto d’onore spetta a Roberto Di Meo, enologo e produttore in quel di Salza Irpina che ha fatto del Fiano una sorta di opera d’arte del tempo. Da questo coraggio di sfidare l’affinamento escono dei gioielli assoluti. Eccone una personalissima e niente affatto esaustiva scelta.
ALESSANDRA FIANO DI MEO – Bottiglia che va in degustazione dopo nove anni dalla vendemmia. E’ un cru. I sentori sono giardino mediterraneo. Attorno ai 70 euro.
UTOPIA RISERVA MONTECAPPONE – Verdicchio classico dei Castelli di Jesi che Gianluca Mirizzi commercializza anche oltre i 20 anni dalla vendemmia. Ma già a dieci anni la potenza espressiva è incantevole. A partire da 50 euro.
CHARDONNAY TERLANO – Cantina alto atesina che per prima ha esplorato il lungo affinamento dei bianchi. Il suo Chardonnay è un gioiello. A partire da 48 euro.
CERVARO DELL ASALA – Altro Chardonnay incantevole che Renzo Cotarella per la Antinori sfruttando il clima eccezionale della collina orvietana ha portato a vette eccelse. A partire da 70 euro.
FIOR D’UVA MARISA CUOMO – Siamo alla viticoltura eroica della costiera amalfitana. A Furore Marisa Cuomo strappa alla scoglio questo gioiello assoluto. A partire da 80 euro.
TERRE ALTE LIVIO FELLUGA – E’ stato il primo superwhite, vino di classe assoluta capace di sfidare il tempo. Ha dentro tutta la classe del Friuli. A partire da 85 euro.
ESXTEMPORE SAUVIGNON DI VENICA – L’annata ora in commercio è la 2019. Gianni e Ornella Venica autori del miglior sauvignon d’Europa, il Ronco Mele, con questa bottiglia hanno sfidato il tempo. A partire da 75 euro.
TREBBIANO D’ABRUZZO VALENTINI – Una bottiglia gioiello che è nel mondo è richiesta e invidiata. La quint’essenza del trebbiano. A partire da 100 euro.
GAVI DI GAVI LA SCOLCA – Uno die bianchi più espressivi d’Italia quello de La Scolca varca i dieci anni di slancio. Bianco raffinatissimo. A partire da 70 euro.
RISERVA SANT’ELENA TERUZZI – Da quando questa prestigiosissima cantina di Sam Gimignano è nella mani di Francesco Moretti il salto di qualità è impressionante. La riserva di Vernaccia in purezza è capace di invecchiamento lunghissimo. A partire da 40 euro.
I bianchi capaci di affascinare

iStock
Ecco una velocissima carrellata di bianchi capaci di affascinare le vostre serate di festa.
Partiamo con la Vernaccia di San Gimignano di Podere Falchini, l’Ab vinea Doni è preziosa a poco prezzo: a partire da 19 euro.
Un vino eccelso: il Mirum de La Monacesca offre il meglio di Matelica, anche questo è bianco dal lungo affinamento (a partire da 33 euro).
Sempre restando a Matelica nelle Marche va degustata necessariamente la Riserva Cambugiano della cantina Belisario , incantevole (28 euro).
Tra i bianchi un posto speciale va riservato allo Chardonnay di Vittorio Moretti Convento dell’Annunciata (35 euro).
In Liguria imperdibile il Pigato di Lupi (22 euro), e nel Lazio il Bellone eticheta Eny di Cincinnato è un gran bianco (22 euro).
Da non perdere il Castelcerino di Rocca Sveva Cantina di Soave (18 euro), notevolissimo in Calabria il Donna Giovanna di Tenuta Iuzzolino (20 euro).
In Sicilia merita particolare menzione l’Alta Mora di Cusumano Etna Bianco (25 euro) e ancora un passaggio in montagna stavolta in Valle d’Aosta per la Petite Arvine Les Freres di Grosjean (42 euro).
Il galateo delle feste: 10 cose da fare e da non fare per questo Natale

iStock
Il Natale è un momento di grande festa e di rito dell'incontro che dovrebbe mettere tutti a proprio agio e farli sentire accolti con grande empatia. Ecco che quindi preparare una tavola ben apparecchiata acquista un significato profondo e aiuta a sentire ancor più speciale l'incontro con i commensali.
È però bene sapere che:- la tovaglia dovrebbe essere sempre linda e pinta, senza macchie nè tantomeno piegature che devono essere stirate prima di porle sul tavolo. Il galateo vorrebbe che il color della tovaglia fosse chiaro ma almeno a Natale si può chiudere un occhio e utilizzare anche la fantasia. Il colore di tendenza di quest'anno è il verde ma senza esagerare perchè vale il detto "less is more".
- non tutti sanno che il galateo è anche sostenibilità, ecco quindi che almeno a Natale o a Capodanno possiamo evitare di utilizzare piatti, posate e stoviglie di plastica/carta, compresa la famosa e sdoganata melamina! rispolveriamo i servizi "buoni" della nonna e circondiamoci di bellezza anche con eccellenze come le storiche porcellane Ginori.
- immancabile a capodanno un caloroso brindisi con un vino che accompagna l'incontro. Il galateo si raccomanda di non battere i bicchieri (i rumori sono sempre fastidiosi) e di non dire "cin cin" ma chi siamo noi per rompere quel momento di gioia facendo i maestrini dalla penna rossa? Se ci pensiamo però accompagnare il brindisi con un piccolo e sentito messaggio augurale sarà di certo più efficace e a volte più toccante di mille Cin Cin!
- il centrotavola è il coronamento di un'accurata apparecchiatura e a Natale non può mancare, ma attenzione a non usare fiori troppo profumati che potrebbero andare ad interferire con i sentori dei vini o delle pietanze.
- attenzione va posta anche all'uso delle candele che sono un must durante le festività. esse non devono essere troppo alte e invadenti da mortificare l'incontro degli sguardi, ma nemmeno troppo basse da toccare incidentalmente quando si prende un bicchiere e bruciarsi il polso. Vedo spesso durante i pranzi del 25 dicembre o del 1-6 gennaio i centrotavola con le candele: attenzione perché l'utilizzo è consentito solo dopo le 18 quando la luce del giorno comincia a perdersi completamente e mai a mezzogiorno! Vi confesso però che anche io ho ceduto a questa tentazione.
- a proposito di candele, si accendono sempre prima dell'arrivo degli ospiti ma non si spengono mai prima che tutti siano andati via! Utilizzarlo come segnale di congedo non è proprio elegante e spegnere le candele davanti agli ospiti che si attardano a far serata è sempre un gesto che sembra cacciare via!
- apprezzata moltissimo la puntualità dell'appuntamento ma sapete che essere in anticipo è più sgarbato che essere in ritardo? I padroni di casa potrebbe anche solo 15 minuti prima, essere in piena attività e anticipare l'incontro potrebbe creare davvero caos!
- se non volete presentarvi a mani vuote è bene concordare prima con chi ci ha invitato il vino o il dolce da portare ma se così non fosse, non bisogna rimanerci male se poi le vostre leccornie non vengono messe a tavola perché di certo è stato studiato un menù apposito pronto per essere armonico e apprezzabile per tutto l'incontro. Meglio allora prevedere di inviare la mattina stessa o il giorno dopo, un omaggio accompagnato da un bel biglietto di ringraziamento. Il risultato sarà di certo più comodo per tutti!
- una nota particolare va fatta per il tovagliolo che proprio nelle festività natalizie incontro pirotecnici modi di presentarlo. Innanzitutto il tovagliolo va apparecchiato a sinistra dopo le posate e mai con esse sopra. Le forme ad albero di Natale, a nastro, ad animale ecc. non andrebbero proposte non perchè non siamo carine e simpatiche, ma semplicemente perchè il tovagliolo (che va a contatto strettissimo con la bocca) andrebbe maneggiato il meno possibile, piegato a rettangolo o a triangolo con la bombatura verso il piatto. Decorarlo poi con paillettes, foglie di edera (che tra l'altro è tossica) brillantini o altro inficia l'utilizzabilità salubre del tovagliolo stesso.
- infine la regola più importante è quella di apparecchiare con generosità un elemento fondamentale: l'empatia! senza questa, potete aver fatto tutto benissimo, secondo le perfette regole di Monsignor Della Casa ma avrete fallito con l'ideale dell'incontro: quello di essere felici con i vostri ospiti per tutto il tempo che risiederanno sotto il vostro tetto (cit. Brillant Savarin)!
Continua a leggereRiduci
Maurizio Landini (Ansa)
- Polemiche per la norma (saltata) che toglieva alle aziende l’obbligo di pagare gli arretrati ai dipendenti che fanno ricorso per i salari troppo bassi. Ma quelle buste paga erano frutto di tanti accordi siglati dalla Cgil.
- Infrastrutture, arrivano 20 miliardi. Il Cipess approva il fabbisogno per il prossimo anno. Intanto il Senato dà il via libera alla manovra. Giorgetti: «Abbiamo fatto interventi che sembravano impossibili».
Lo speciale contiene due articoli.
Altro che Irpef, pensioni e riserve auree della Banca d’Italia: il titolo dell’ultimo giorno di fibrillazione della manovra (il voto al Senato di ieri era scontato) va di diritto ai salari. O meglio alla questione salariale che la sinistra ha provato a montare in tutti i modi facendo leva su quella che per tutti è diventata la norma «Pogliese», dal nome del senatore di Fratelli d’Italia che l’aveva già presentata circa 6 mesi fa nel decreto Ilva e che tra domenica e lunedì è stata inserita nella legge di bilancio (presentata dal senatore Fdi Matteo Gelmetti).
Proviamo a spiegarla. Il provvedimento (che poi è stato ritirato su pressioni del Colle) riguarda le vertenze giudiziarie promosse dai lavoratori che ritengono di non ricevere un trattamento economico conforme all’articolo 36 della Costituzione. La «Carta» sancisce il diritto a «una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro [...] che assicuri un’esistenza libera e dignitosa». Insomma, può succedere che i dipendenti di un’azienda privata che applica un contratto collettivo nazionale ricevano un salario che i giudici ritengono non sufficiente a garantire una vita dignitosa. In questo caso, secondo la norma che era entrata in Finanziaria, il datore di lavoro deve adeguare le buste paga ma non è tenuto a versare gli arretrati per il periodo precedente al deposito del ricorso, sempre che abbia applicato lo standard retributivo previsto dal «contratto nazionale stipulato da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
Vuol dire quindi che non sono ricompresi i cosiddetti «contratti pirata», cioè i contratti firmati da sigle poco rappresentative e che spesso e volentieri prevedono buste paga molto al di sotto della media.
Difficile indicare il perimetro potenziale del provvedimento. Ma il caso di scuola riportato alla cronaca è quello del famoso contratto dei vigilantes, che prevede una paga inferiore ai 5 euro all’ora. Intesa firmata (poi è stata a forza rinnovata e migliorata) dai principali sindacati compresa la Cgil.
Paradossale, insomma. La sinistra e la sua sigla di riferimento (ma i ruoli sono tranquillamente intercambiabili) vanno all’attacco dell’esecutivo per una norma che mira a regolamentare un vulnus che loro stesse hanno creato. «Non ci sono più parole per descrivere questa manovra», si era immediatamente indignata la Schlein, «dopo aver aumentato l’età pensionabile per il 96% dei lavoratori, adesso attaccano la magistratura che impone il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione. Ovvero che il salario di chi lavora deve essere equo e dignitoso». «L’emendamento Pogliese», ha continuato il segretario dem, «è un vero e proprio colpo di mano: i datori di lavoro che non hanno corrisposto un salario equo ai lavoratori non saranno obbligati a pagare gli arretrati come molte sentenze dei giudici hanno determinato». E non è stata tenera neanche Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale della Cgil.
«Si tratta», ha scandito la dirigente rossa, «di un nuovo e grave attacco ai diritti dei lavoratori da parte del governo. Con un emendamento alla legge di Bilancio, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali, si tenta di rendere più difficile la tutela dei salari e il recupero dei crediti retributivi. Zero benefici per i lavoratori, solo attacchi».
Forse Schlein e Gabrielli dovrebbero però parlare con Landini prima di prendersela con il governo. O comunque la sinistra dovrebbe far pace con sé stessa se negli anni ha consentito che venissero siglati diversi accordi ben al di sotto dei 9 euro all’ora. La soglia che i democratici hanno più volte indicato come riferimento per il salario minimo orario.
Detto dei vigilantes, va per esempio ricordato che gli operai agricoli e i florovivaisti (meno di 5.000 persone) hanno firmato un po’ di anni fa un’intesa che prevedeva retribuzioni da circa 7 euro. Un po’ meglio era andata agli impiegati dell’industria del vetro e delle lampade (7,1 euro) e ancora meglio agli addetti delle imprese artigiane di pulizia (126.000 unità) che portavano a casa 8,1 euro l’ora. O ai 313.000 lavoratori delle cooperative del settore socio sanitario (8,8 euro) e ai 182.000 dipendenti del tessile abbigliamento che si sono fermati a quota 8,7 euro.
Un po’ di mesi fa un’analisi della Fondazione studi dei consulenti del lavoro aveva evidenziato che sui 63 contratti collettivi più rappresentativi depositati al Cnel (firmati da Cgil, Cisl e Uil), ben 22 avevano una retribuzione oraria sotto i 9 euro lordi. Chiaro che molti di questi contratti sono stati poi rinnovati a cifre superiori, ma è altrettanto evidente che per anni migliaia di lavoratori hanno ricevuto paghe ridotte all’osso e che quindi ci siano e ci saranno ricorsi.
Prima di prendersela con il governo, che probabilmente in modo maldestro ha cercato di mettere una pezza rispetto alla situazione di incertezza giudiziaria nella quale vengono a trovarsi le aziende, sinistra e Cgil in testa dovrebbero prendersela con loro stesse.
Infrastrutture, arrivano 20 miliardi
La manovra ottiene il via libera dall’aula del Senato con il voto di fiducia (110 sì, 66 no e due astenuti), tra la gazzarra dell’opposizione che ha alzato cartelli rossi con su scritto «Voltafaccia Meloni». Pd, M5s e Avs accusano la presidente del Consiglio di essersi smentita sulle accise, le pensioni e gli investimenti in sanità. Tutto secondo la tradizione di ogni manovra, come ha ricordato il presidente di Palazzo Madama, Ignazio La Russa: «Quando ero all’opposizione anche io preparavo i cartelli contro».
Prima dell’approvazione nell’emiciclo di Palazzo Madama, la commissione Bilancio ha stralciato cinque norme a seguito dei dubbi del Quirinale. Escono dal testo l’esonero per i datori di lavoro dal pagamento degli arretrati ai lavoratori sottopagati in caso di condanna ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione e la riduzione da 3 a 1 anno del divieto di svolgere un ruolo dirigenziale nel privato dopo un incarico apicale nella Pubblica amministrazione nello stesso settore. Niente da fare anche per la misura che prevedeva, viceversa, che fosse possibile, per incarichi commissariali, straordinari o temporanei, derogare dal divieto di ricoprire ruoli nella Pubblica amministrazione, dopo aver avuto incarichi in enti di diritto privato o finanziati dall’amministrazione stessa. Stralciato pure l’articolo che prevedeva la riduzione da 10 a 4 anni dell’anzianità per il collocamento di magistrati fuori ruolo e quello sulla revisione della disciplina del personale Covip. Nel maxi emendamento non è presente anche la misura riguardante lo spoil system per le Authority. «Hanno fatto un approfondimento, quindi si è ritenuto di espungere queste disposizioni, anche per la tenuta costituzionale del provvedimento, per non esporci a censure sul piano costituzionale» ha commentato il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo.
La manovra ora passa alla Camera per il via libera definitivo entro la fine dell’anno. Superate le frizioni tra il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, e il collega dell’Economia, Giancarlo Giorgetti che ha ironizzato sui rapporti con il leader della Lega. «Magari Babbo Natale gli porta un po’ di carbone sotto l’albero». E Salvini: «Non c’è stato nessun gelo, a me interessava non danneggiare i lavoratori allungando l’età pensionabile».
La legge di Bilancio vale ora circa 22 miliardi, da 18,7 miliardi del testo iniziale perché «abbiamo integrato gli stanziamenti per Transizione 5.0, la Zes e sull’adeguamento prezzi» ha spiegato Giorgetti, sottolineando che sono state accolte le richieste dei sindacati con la tassazione al 5% degli aumenti contrattuali per i lavoratori dipendenti con redditi bassi e la tassazione all’1% dei salari di produttività. Quanto alle sollecitazioni di Confindustria, il ministro rimarca che «andando a vedere le richieste del presidente Orsini prima della manovra, quadrano perfettamente con il tipo di risposte date dal governo. Complessivamente siamo intervenuti su questioni che sembravano impossibili».
Nel frattempo il Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) ha approvato il piano previsionale dei fabbisogni finanziari per il 2026 e le proiezioni fino al 2028 nonché il piano strategico annuale del Fondo 295 dedicato alla Simest. Il piano per il 2026 vale 20,5 miliardi con il crocieristico, la difesa e le infrastrutture come settori maggiormente coinvolti. Il Cipess ha anche approvato il piano annuale per i limiti di rischio in materia di sostegni finanziario pubblico all’esportazione, quindi per la Sace, per il 2026.
Continua a leggereRiduci
Sergio Mattarella (Ansa)
Se con Conte e Draghi la prima carica dello Stato si atteggiava ad arbitro accondiscendente, da quando governa il centrodestra Mattarella non perde occasione per contrastare Palazzo Chigi. Da Stralink al conflitto in Ucraina, gli esempi sono numerosi.
La rotta ostinata e contraria di Sergio Mattarella nei confronti dell’attività di governo è sotto i nostri occhi una volta diradata la nebbia della narrazione ossequiosa e compiacente. La concessione della grazia ad Abdelkarim Alla F. Hamad, lo scafista condannato a 30 anni per concorso in omicidio plurimo e violazione delle norme sull’immigrazione per fatti avvenuti nel 2015 (49 persone trovate morte in un barcone diretto a Lampedusa) è l’ultimo di una serie di atti del capo dello Stato in contrasto con la linea di Giorgia Meloni. Che, all’indomani della tragedia di Cutro, aveva urlato: «Cercheremo gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo».
Tra Quirinale e Palazzo Chigi siamo alle divergenze parallele, dove il parallelismo è solo temporale, nel senso che l’inquilino del Colle più alto fa un uso sagace della tempistica per esprimere orientamenti opposti. Se il governo allenta le misure contro il Covid interviene sottolineando che non bisogna cantare vittoria. Se Palazzo Chigi disegna la proposta del premierato forte, il capo dello Stato si presenta a sorpresa al Festival di Sanremo per applaudire Roberto Benigni che inneggia all’intoccabilità della Costituzione più bella del mondo. Si potrebbe continuare, senza dimenticare i silenzi del presidente quando si tratterebbe di difendere il governo dalle ingerenze delle Procure o dagli attacchi di leader stranieri. Tutti insieme, silenzi, interventi a contrasto e ingerenze, configurano nel comportamento proattivo del secondo mandato di Mattarella una sorta di semipresidenzialismo ibrido. Mentre infatti con il governo di Mario Draghi, e prima con quello di Giuseppe Conte, l’attivismo dell’arbitro del Quirinale era improntato a un accompagnamento condiscendente, da garante della maggioranza, ora l’agenda del Quirinale sembra quella del capo dell’opposizione.
21 dicembre 2023
Sono passate poche ore dall’intervento di Elon Musk ad Atreju che, davanti alle alte cariche dello Stato invitate al Quirinale per gli auguri di Natale, Mattarella inaugura la sua personale battaglia contro il patron di Space X, Starlink e Tesla. In quei giorni la tecnologia satellitare Starlink è candidata a implementare il nostro sistema delle comunicazioni e di difesa, ma Mattarella stigmatizza, senza citare Musk, «oligarchi di diversa estrazione (che, ndr) si sfidano nell’esplorazione sottomarina, in nuove missioni spaziali, nella messa a punto di costosissimi sistemi satellitari (con implicazioni militari) e nel controllo di piattaforme di comunicazione social, agendo, sempre più spesso, come veri e propri contropoteri». Con la consulenza del segretario del Consiglio supremo di Difesa Francesco Saverio Garofani che propende per la tecnologia Eutelsat supportata dalla Francia, il negoziato per Starlink naufraga.
24 febbraio 2024
Dopo gli scontri a Pisa tra attivisti pro Pal che manifestano in un corteo non autorizzato e le forze di polizia che fanno ricorso all’uso dei manganelli, l’ufficio stampa del Quirinale dirama una telefonata del capo dello Stato al ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, nella quale afferma che «quei manganelli esprimono un fallimento» e che «l’autorevolezza delle Forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni». È una critica energica al ministro e una scelta di campo pro-pro Pal. Nei giorni a seguire si intensificano gli attacchi, Maurizio Landini in testa, alle Forze dell’ordine e al governo.
6 novembre 2024
Donald Trump vince le elezioni americane, ma quel giorno, insieme a Romano Prodi, Jaki Elkann, Pierferdinando Casini e Antonio Tajani, Sergio Mattarella è a Pechino in visita ufficiale alla Repubblica popolare cinese. La tempistica non è felicissima, Xi Jinping è l’avversario numero uno del nuovo presidente americano. Certamente la visita era programmata da tempo, forse nell’intento di riattivare la Via della seta e forse al Quirinale si scommetteva sulla vittoria di Kamala Harris. Nell’occasione la Fondazione Agnelli assegna a Prodi una cattedra di «Studi italiani» presso l’università Beida di Pechino dove, nella lectio magistralis, il capo dello Stato tiene un discorso franco, perché «fra amici» non ci devono essere «veli», e incoraggia «a intensificare il più possibile i già eccellenti rapporti tra Cina e Italia».
14 novembre 2024
Nuovo capitolo dello scontro con mister Tesla. Musk definisce «inaccettabile» l’intervento della procura di Roma contro l’uso dei Cpr in Albania e in un post si chiede: «Il popolo italiano vive in una democrazia o è un’autocrazia non eletta a prendere le decisione?». Dall’alto della sua carica, contro quello che è un semplice cittadino, il Quirinale replica che «l’Italia è un Paese democratico… che sa badare a sé stesso, nel rispetto della sua Costituzione» (a sua volta Musk si appella alla libertà di espressione «protetta dal Primo emendamento degli Stati Uniti e dalla Costituzione italiana»).
5 febbraio 2025
Ricevendo la laurea honoris causa a Marsiglia, Mattarella tiene uno dei discorsi più aggressivi del secondo mandato. Dopo aver rinverdito gli attacchi a Musk parlando di «figure di neo-feudatari del Terzo millennio… che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica… quasi usurpatori delle sovranità democratiche», paragona l’invasione ucraina della Russia al comportamento del Terzo Reich. «La strategia dell’appeasement non funzionò nel 1938… Avendo a mente gli attuali conflitti, può funzionare oggi?», si chiede Mattarella. Prima di concludere: «Anziché la cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura». Il 14 febbraio la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova contrattacca definendo «parallelismi storici infondati e falsi» ed «elucubrazioni blasfeme» le parole del nostro presidente, confortato nell’occasione dalla solidarietà di tutte le cariche dello Stato.
17 ottobre 2025
Alla cerimonia di consegna delle Stelle al merito del lavoro il capo dello Stato parla dei livelli retributivi nel settore pubblico e privato. Ma, visto che i contratti dei dipendenti pubblici (insegnanti, ferrovieri, agenti di polizia, eccetera) sono stati rinnovati, invece di rivolgersi a Confindustria e sindacati, estende l’allarme chiamando in causa la guida del Paese: «Il lavoro oggi procede a velocità diverse. Si creano diaframmi tra categorie, tra generazioni, tra lavoratori e lavoratrici, tra italiani e stranieri, tra territori, tra chi fa uso di tecnologie avanzate e chi non è in condizioni di farlo». In pieno autunno caldo, mentre si susseguono gli scioperi e il governo lavora alla legge di bilancio, Mattarella getta benzina sul malcontento.
16 novembre 2025
Invitato dal presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, Mattarella parla al Bundestag, il Parlamento tedesco, in occasione della Giornata del lutto nazionale a 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Due settimane prima, Donald Trump ha annunciato: «Con altri Paesi che testano armi nucleari, è appropriato che lo facciamo anche noi». Forse dimentico di essere nel Paese che ha riformato la Costituzione per destinare 1.000 miliardi al riarmo, il capo dello Stato attacca il presidente americano parlando dei «troppi dottor Stranamore che amano la bomba».
18 novembre 2025
La Verità rivela che in una cena in pubblico il segretario del Consiglio supremo di Difesa Francesco Saverio Garofani ha auspicato la creazione di «una grande lista civica nazionale» e «un provvidenziale scossone» che impedisca a Giorgia Meloni di vincere le elezioni del 2027 per poi influenzare la scelta del Quirinale del 2029. Il capo dei deputati di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami chiede che le ricostruzioni della Verità «siano smentite senza indugio». Ma dal Colle arriva una nota che fa da schermo al segretario del Csd: «Al Quirinale si registra stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo». Il Quirinale si mostra sordo alle richieste di dimissioni del consigliere per la Difesa.
12 dicembre 2025
Mentre Bruxelles approva il congelamento dei 210 miliardi di asset russi accogliendo la posizione di Giorgia Meloni che spinge per cooperare con gli sforzi americani per il cessate il fuoco, il capo dello Stato afferma davanti al corpo diplomatico che «l’Italia sta con l’Ucraina». Nessun tentennamento o accenno all’uso molto improprio da parte dei più stretti collaboratori di Zelensky del denaro arrivato dall’Europa.
15 dicembre 2025
C’è attesa per il vertice di Berlino tra leader europei, Volodymyr Zelensky ed emissari della Casa Bianca per il cessate il fuoco tra Mosca e Kiev. L’obiettivo di Meloni è convincere gli alleati dell’Ue a evitare nuovi invii di armi all’Ucraina e a usare gli asset russi per finanziarla allo scopo di far progredire il dialogo con Putin. I margini di manovra sono risicati, ma quella mattina Mattarella parla agli ambasciatori e alle ambasciatrici in Italia. Dopo aver premesso che siamo davanti a «una disordinata e ingiustificata aggressione nei confronti della Unione europea», il capo dello Stato vellica indirettamente le ambizioni di Zelensky a proseguire la resistenza bellica, stigmatizzando «l’aberrante intendimento… di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa». Inciampando nell’amnesia sul suo ruolo di vicepremier del governo D’Alema che nel marzo del 1999 ordinò il bombardamento di Belgrado senza l’autorizzazione dell’Onu.
Continua a leggereRiduci







