2018-12-26
L'Austria inverte l'onere di prova sui profughi: buona idea
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Il ministro degli interni austriaco Herbert Kickl ha proposto una misura che inverte la logica rispetto alla concessione del diritto d'asilo, partendo da un "no" per i richiedenti che siano arrivati avvalendosi di trafficanti di esseri umani o di circuiti illegali. Già nelle scorse settimane il premier Sebastian Kurz aveva dichiarato: «Non sono necessariamente i più poveri quelli che fuggono, ma quelli che possono permettersi di pagare i trafficanti».La polemica è già divampata, ma la misura ufficialmente proposta ieri in Austria dal ministro degli interni Herbert Kickl, membro del partito di destra Fpo alleato del premier popolare Sebastian Kurz, meriterebbe di essere studiata e considerata, anziché demonizzata.Di che si tratta? L'idea è di invertire la logica rispetto alla concessione del diritto d'asilo, partendo da un “no" per i richiedenti che siano arrivati avvalendosi di trafficanti di esseri umani o di circuiti illegali. Già nelle scorse settimane lo stesso Kurz aveva dichiarato: «Non sono necessariamente i più poveri quelli che fuggono, ma quelli che possono permettersi di pagare i trafficanti». Kurz, leader trentaduenne che deve una parte consistente del suo successo proprio alla linea dura su sicurezza e immigrazione, che non ha avuto timore di aprire al partito Fpo (a lungo politicamente criminalizzato in Austria), e di portare questa discussione in seno al Ppe di cui è membro in Europa, non sembra intenzionato a cedere. La sua fissazione è quella di «colpire il 'modello di business' dei trafficanti di esseri umani», basato su campi (in Libia e altrove) dove i migranti sono schiavizzati e torturati, e sul pagamento di somme (anche oltre i 5.000 dollari) per comprare il viaggio verso l'Italia, la Spagna o comunque verso l'Europa. A questo proposito, l'Austria ha ripetutamente proposto anche il sequestro dei telefoni cellulari dei migranti arrivati, proprio per accedere alla geolocalizzazione degli apparecchi e ricostruire esattamente origine e percorso. Insomma, tracciare le reti dei trafficanti. A onor del vero, Kurz non ha solo una visione difensiva, ma promuove anche un'agenda positiva: l'obiettivo - per il cancelliere austriaco - dovrebbe essere la creazione ogni anno di almeno 18 milioni di nuovi posti di lavoro in Africa, per dare uno sbocco occupazionale all'esplosione demografica in atto da decenni in quel continente. Non a caso, Kurz ha molto elogiato il colosso Siemens che ha promesso lo stanziamento di 500 milioni di euro per investimenti in Africa. In ogni caso, la mossa proposta dal suo ministro Kickl va in questa direzione: non solo limitare gli arrivi in generale dei migranti economici, ma, anche nell'ambito più ristretto dei richiedenti asilo, non mettere in una condizione migliore rispetto agli altri quelli che - in un modo o nell'altro - abbiano avvantaggiato i circuiti criminali. A parità di sofferenza, a parità di fuga da una guerra o da una dittatura - dicono gli austriaci -, l'essersi avvalsi di un circuito criminale non dovrebbe essere un plus o un bonus. Da mesi, Vienna ha proposto ai partner europei (la gran parte dei quali fanno però orecchie da mercante) l'idea di censire in origine i richiedenti asilo, attraverso un'azione più capillare di organizzazioni internazionali come l'Unhcr all'interno di hotspot già esistenti o comunque in altri punti da realizzare fuori dall'Ue. Questo censimento delle richieste andrebbe poi incrociato con il numero di concessioni di asilo che ogni singolo Paese Ue dovrebbe essere libero di decidere, facendo entrare davvero i più bisognosi, e indirizzandoli - a quel punto - verso una destinazione certa. In documenti preparatori circolati la scorsa estate e indirizzati ai partner europei (anche in quel caso sollevando un pandemonio), gli austriaci avevano anche sottolineato l'opportunità di valutare che i richiedenti asilo fossero pronti a rispettare non solo le leggi dei Paesi ospitanti, ma pure i valori e le libertà fondamentali in Occidente. Si levò un coro di indignazione e scandalo da parte delle reti immigrazioniste, ma anche in quel caso l'Austria aveva fatto un ragionamento che avrebbe meritato attenzione: se si vuole favorire l'integrazione qui, anche questi elementi di “compatibilità culturale" andrebbero valutati, immaginando altre destinazioni più omogenee per i portatori di culture e sensibilità diverse. Ma pure allora si gridò al razzismo. Queste misure, bisognose di un consenso europeo, non sono passate. Ma le altre, quelle che l'Austria può approvare sul proprio territorio, hanno forti possibilità di essere approvate: va ricordato che mesi fa, con riferimento ai rifugiati già accolti in Austria e già percettori di sussidi e provvidenze (estesi a loro, e non solo ai cittadini austriaci), Kurz si fece promotore di un taglio del sussidio per chi non avesse imparato il tedesco. Anche allora molti commentarono la misura solo in termini negativi: in realtà, era un poderoso incentivo a imparare la lingua, primo requisito per integrarsi e lavorare.
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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