2025-02-17
Laura Magli: «Non siamo più capaci di pregare»
La giornalista: «Occupandomi di cronaca nera, mi sono chiesta che cosa manchi a chi commette un crimine pur avendo tutto e vivendo in famiglie perbene. Per questo nel mio libro presento il cristianesimo ai piccoli».Nel mondo del giornalismo televisivo non è comune parlare della propria fede. Fa eccezione Laura Magli, 43 anni, giornalista dal 2011 per Mediaset, in particolare come inviata nel programma Pomeriggio 5, per il quale spesso segue casi di cronaca nera. Sposata con Luca, madre di Ginevra e Ludovico, ha da pochi mesi dato alle stampe Un tesoro chiamato fede. Piccolo saggio per cacciatori di felicità (edizioni Scorpione), testo illustrato rivolto ai più piccoli ma non solo, che sta ottenendo un ottimo riscontro; ed è proprio da qui che partiamo. Magli, da una giornalista che spesso si occupa di cronaca nera un libro per bambini sulla fede: un po’ singolare, no? «Dipende dai punti di vista, dipende da come noi ci approcciamo alla vita e alle esperienze che viviamo tutti i giorni. Io non credo che ci siano professioni più inclini alla fede rispetto ad altre, credo che il cuore dell’uomo sia uguale in tutti noi e credo che in qualsiasi aspetto o ambito lavorativo il rapporto che possiamo coltivare con Nostro Signore nel nostro cuore prescinda dalla professione. Anzi, la fede nel mio lavoro - soprattutto quando sono a contatto con i parenti delle vittime e degli assassini - è una vera e propria bussola che mi aiuta ad orientarmi, per avere il giusto rispetto e la giusta visione d’insieme quanto tocco argomenti così delicati».Dei casi di cronaca nera che ha seguito, quale l’ha sconvolta di più?«Impossibile dirne uno».Allora, quelli che l’hanno colpita di più?«Su tutti, sicuramente l’omicidio di Elena Ceste nel 2014».Perché?«Perché in quell’occasione, proprio mentre svolgevo il mio lavoro, il marito della vittima, Michele Buoninconti - che poi è stato condannato a 30 anni di reclusione per l’omicidio e l’occultamento del cadavere della moglie -quando ancora la si cercava per allontanamento volontario, ha aggredito me e la mia troupe con un bastone e per questo gesto è stato rinviato a giudizio e condannato a sei mesi di reclusione. Quindi questo caso è quello che mi ha colpita in tutti i sensi, anche fisicamente».Immagino. «Poi da quell’esperienza ho capito che il dolore che vivono i familiari delle vittime è un dolore inquantificabile, e questa esperienza ha approfondito ancora di più quello che è il mio rapporto con le persone. Io amo molto le persone, e poter essere utile a chi vive in situazioni di forte dolore è stato per me formativo. Un altro caso che non posso non ricordare è l’omicidio di Giulia Cecchettin, perché ha spostato finalmente l’attenzione dell’Italia sul fenomeno del femminicidio in un modo nuovo: c’è un prima e dopo Giulia. Ho conosciuto Gino Cecchettin, la dignità di quest’uomo e di questo padre, e questo caso - insieme a quello di Elena Ceste - è sicuramente uno di quelli che più mi hanno colpita, così come quello di Sharon Verzeni, questa ragazza della provincia di Bergamo che è stata uccisa senza uno straccio di movente. Ecco, tutti questi omicidi perpetrati in ambiti perfetti o comunque di famiglie perbene, che non davano segni di disagio, mi ha portato a farmi delle domande».Quali? «A chiedermi che cosa manchi in questa società, che sembra avere tutto ma forse è carente nelle fondamenta su cui si basa poi la serenità di un individuo».E cosa manca, secondo lei? «Quello che secondo me oggi si è perso è proprio il rapporto con la preghiera».In un’altra intervista lei ha infatti dichiarato: «La preghiera è imprescindibile». Quindi prega molto? «Io prego. Non so se molto né saprei quantificarlo: non sono una bigotta, non sono una suora. Sono sposata e ho due figli. Però nei momenti di maggiore sconforto, così come anche nei momenti di felicità e di gioia, io prego».Come? «Con le preghiere che conosciamo tutti. Per esempio, io cerco di recitare il rosario tutti i giorni, anche semplicemente guidando mentre sono in macchina. Io abito sul lago di Garda e per venire a Milano, nella mia redazione, ho più di un’ora di macchina quasi tutti i giorni: un’ora di andata e una di ritorno. Quindi la preghiera per me è davvero fortificante, io mi rivolgo a Gesù che è davvero il nostro amico più sincero. Seguire i suoi insegnamenti e i suoi passi, i passi che lui ha deciso in qualche modo di indicarci, credo davvero che siano la via per essere felici nella vita».In che modo esorcizza il male che le tocca di raccontare?«Credo che certi mestieri, come per esempio quelli del medico e del chirurgo, impongano una certa distanza. Una distanza che è necessaria per occuparci della materia con la giusta professionalità. Se noi ci lasciassimo coinvolgere completamente, lasciandoci assorbire dalle storie come fossero nostre, forse perderemmo la lucidità. A noi è richiesto di raccontare i fatti e quindi ci fermiamo a questa dimensione. Poi è chiaro che, una volta terminati la diretta e il servizio, per me è fondamentale instaurare anche un rapporto umano. Quindi poi dopo, spenti i riflettori, torna in qualche modo da Laura persona, quindi non la Laura professionista, che sono pagata per essere».Un articolo sul suo libro sul sito dell’Eco di Bergamo è stato tra i più cliccati dell’anno. Merito dell’autrice, dell’opera o del «tesoro» di cui parla il testo? «Io credo che il momento storico che stiamo vivendo sia per certi versi decisivo. C’è un risveglio di coscienza. Anche sui social si sta riscoprendo il contenuto oltre che la forma: e chi meglio di Gesù e della nostra fede è ricca di contenuti? Credo di avere in qualche modo intercettato un bisogno e lo vivo quando presento il libro nelle presentazioni, e lo vedo dalle vendite del libro che fortunatamente sta andando bene. Quindi probabilmente c’è bisogno di un ritorno ai valori che appartengono alla nostra identità cristiana. Anche perché, ricordiamoci, sono valori universali. Il mondo occidentale è fondato sul cristianesimo. Il cristianesimo è stata la luce della nostra civiltà».Cosa risponde al tormentone «Gesù sì, Chiesa no»?«È vero che la Chiesa... o meglio, non si può negare che certi esponenti della Chiesa si siano macchiati di reati indicibili, pensiamo alla pedofilia, pensiamo a tanti casi di preti, come quello che esploso recentemente a Bolzano. Credo però sia scorretto attribuire questa responsabilità in quanto comunità. Credo che la Chiesa sia composta da uomini e gli uomini sono imperfetti. Molti sacerdoti sono sicuramente uomini imperfetti. Il fatto che commettano dei reati non è in qualche modo imputabili al loro essere preti ma al loro essere uomini, perché ci sono pedofili, ahimè, in quasi tutte le categorie professionali, e quindi anche nei sacerdoti. È chiaro che là dove questo reato viene compiuto da chi ricopre un ruolo educativo, e che deve essere formativo per i ragazzi e per i bambini, grida ancora più vendetta. Io però esorto i tanti cristiani che leggeranno queste parole a non abbandonare la speranza, perché Gesù non c’entra nulla con queste persone che si macchiano di questi reati: lui è il figlio unigenito di Dio incarnato, noi dobbiamo guardare lui. E lui ha fondato la sua Chiesa, quindi ci vuole comunità, fratelli, uniti».Quale è, invece, il complimento più bello che finora ricevuto per il libro?«Ospite a Tv2000, lo psicologo Stefano Callipo ha definito il mio libro “un capolavoro, una opportunità di crescita”. Poi un complimento che mi ha messo speranza è quello di un professore di filosofia di liceo, che ricopre anche un ruolo importante nelle scuole della provincia di Brescia, il quale - dopo averlo letto - mi ha detto: “Qualche anno fa una mia ex allieva si è suicidata. E ho pensato che se avesse letto questo libro, cogliendo quanto era speciale, forse non lo avrebbe fatto”».Quali reazioni nel suo mondo professionale e tra colleghi ha suscitato mettendo a nudo il suo essere cattolica? «Da chi mi conosce, ho sentito dire: “Solo tu potevi scrivere una cosa del genere”. Da chi non mi conosce, stupore».È sempre stata credente o è una convertita?«Sono stata fortunata ad incontrare colui che è diventato mio marito e, con lui, il mio padre spirituale che è riuscito a trasmettermi la bellezza del vivere la vita alla luce di Gesù, senza che questo intaccasse le mie ambizioni e i miei sogni. Anzi, ho capito che ascoltando la volontà del Signore la mia vita si è arricchita. Io non pensavo neanche di sposarmi, volevo pensare solo alla carriera. Poi ho pensato di accogliere la chiamata al matrimonio».La sua storia quindi sconfessa il mito della carriera, che nonostante tutto non appaga fino in fondo?«Non appaga completamente, secondo me. Perché, alla fine, ti manca sempre qualcosa. Ma non è una questione di carriera o non carriera, parlo di vita: noi abbiamo una scintilla divina, siamo fatti a immagine di Dio, siamo chiamati a vivere questa dimensione. Quando non la coltiviamo, sentiamo una mancanza. Che secondo me può essere colmata solo se apriamo la porta del nostro cuore alla fede attraverso la preghiera, accogliendo il divino che è dentro di noi».Qual è il papa cui è più legata?«Di certo Giovanni Paolo II».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.