2023-09-03
Lasciò la Rai da martire. L’Annunziata si candida col Pd e lavora per Confindustria
La giornalista uscita come una martire dalla Rai verrà candidata dalla Schlein alle prossime europee e inizierà a breve una collaborazione con la radio del «Sole 24 Ore». Chissà cosa ne penserà la Cgil di Landini, molto vicina alla conduttrice.Ci sono conflittualità e conflittualità. Alcune, un po’ come gli animali di George Orwell (tra i quali ve n’erano di «più uguali degli altri»), sono evidentemente più «conflittuali» di altre. O almeno così sembra pensarla la giornalista Lucia Annunziata, della quale in molti rammenteranno i passaggi salienti della lettera con cui, lo scorso maggio, comunicò la propria decisione di dimettersi dalla Rai. Uno soprattutto merita di essere ricordato, questo: «Arrivo a questa scelta perché non condivido nulla dell’operato dell’attuale governo, né sui contenuti, né sui metodi. In particolare non condivido le modalità dell’intervento sulla Rai. Riconoscere questa distanza è da parte mia un atto di serietà nei confronti dell’azienda che vi apprestate a governare. Non ci sono le condizioni per una collaborazione dunque. E d’altra parte non intendo avviarmi sulla strada di una permanente conflittualità interna sul lavoro». Tale paventata conflittualità avrebbe insomma determinato la scelta di abbandonare Viale Mazzini, con cui la Annunziata aveva un contratto che in ogni caso sarebbe scaduto nel 2024; e questo benché non risulti che la dirigenza della Rai avesse in animo di escludere dai palinsesti Mezz’ora in più, il programma di approfondimento condotto da Lucia Annunziata ogni domenica e che adesso, mutando di poco il nome (diventerà In mezz’ora), sarà infatti rilevato da un’altra giornalista, Monica Maggioni. Una decisione, quella di congedarsi dalla televisione di Stato, che la stessa Annunziata aveva chiesto alla direzione della Rai di «accogliere con serietà». Richiesta del tutto lecita. Due notizie recenti, una delle quali riportata in anteprima dal Corriere della Sera, autorizzano però a coltivare qualche dubbio intorno alla serietà delle dimissioni di Lucia Annunziata e, ancor di più, intorno alla serietà dei motivi che a esse hanno condotto. Di un motivo, in particolare, ovvero la già citata «conflittualità». Per comprendere le ragioni di questi dubbi andiamo a vedere quali sono le due notizie, entrambe riguardanti la giornalista salernitana. La prima è che la Annunziata inizierà a breve una collaborazione con Radio 24, l’emittente radiofonica di Confindustria, per curare il sabato mattina, assieme al vicedirettore del Sole 24 Ore (quotidiano di Confindustria) Daniele Bellasio, un programma radiofonico dedicato all’attualità. Come spiegato, tra gli altri, dalla testata Prima Comunicazione, la Rai ha chiesto alla Annunziata di «rispettare un periodo di non concorrenza per programmi giornalistici televisivi», ed ecco quindi l’approdo a Radio 24. La seconda notizia, quella riferita ieri dal Corriere della Sera, è decisamente più rilevante: con il pieno ed entusiastico consenso della segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, Lucia Annunziata sarà candidata dal Pd - il Corriere della Sera la definisce addirittura «punta di diamante» - nel collegio del Sud in occasione delle prossime elezioni europee, che si svolgeranno all’inizio di giugno del 2024. Ora, nessuno dubita che questa candidatura sia un’idea emersa soltanto nelle ultime settimane e che nulla abbia a che vedere con le dimissioni della Annunziata dalla Rai, tuttavia qui si pone in maniera eclatante la già più volte richiamata questione della «conflittualità». Sì, perché non c’è chi non veda, tranne forse l’Annunziata medesima, l’incompatibilità - ideologica e morale -tra una candidatura con l’attuale Pd a guida Schlein, in sempre più accentuata corrispondenza d’amorosi sensi con la Cgil di Maurizio Landini, e le prestazioni professionali offerte alla radio della Confindustria, cioè di quello che della Cgil - e di conseguenza del Pd guidato da Elly Schlein - è almeno sulla carta uno dei principali antagonisti. Ma appunto, come si diceva all’inizio, devono esserci conflittualità che per Lucia Annunziata sono meno conflittuali di altre, e quella fra Confindustria e Pd appartiene a quest’ultima categoria. Chissà cosa ne pensa Landini. Per tranquillizzarlo, Lucia potrà utilmente ricordargli come lei sia da sempre una grande estimatrice di Enrico Berlinguer, il più amato fra i segretari del Partito comunista italiano e, ovviamente, punto di riferimento anche per Landini. Ancora lo scorso dicembre, in un articolo pubblicato su La Stampa, la giornalista auspicava che il Pd ripartisse dalla celebre «questione morale» posta da Berlinguer, dalla fine degli anni Settanta in avanti, al centro della propria visione politica: «Il tanto venerato “noi abbiamo le mani pulite” di Berlinguer», si legge in quel suo pezzo, «è stato - e oggi non a caso torna alla ribalta - il pivot di un rilancio e di un consolidamento del Pci». È però vero che Berlinguer è stato anche il propugnatore di un partito che fosse al contempo «di lotta e di governo»: una formula, questa, che la Annunziata sembra aver fatto sua almeno quanto quella della questione morale. E dunque, alla fine dei conti, alla nostra Lucia non si può proprio dire nulla: più coerente di così...
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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