Usa e Cina spingono i prezzi delle materie prime, dall'acciaio al rame fino a stagno e legno. Per l'Italia e l'Ue il problema è doppio: importiamo beni troppo cari mentre perdiamo potere d'acquisto, in più l'export cede competitività. Soluzione: controllare le filiere
Usa e Cina spingono i prezzi delle materie prime, dall'acciaio al rame fino a stagno e legno. Per l'Italia e l'Ue il problema è doppio: importiamo beni troppo cari mentre perdiamo potere d'acquisto, in più l'export cede competitività. Soluzione: controllare le filiere Il prezzo del rame ha superato i 10.000 dollari alla tonnellata. È raddoppiato in poco meno di due mesi. La quotazione del palladio (per le marmitte catalitiche) è arrivata a 3.000 dollari all'oncia che sono poco più di 30 grammi. I metalli ferrosi sono schizzati sopra i 200 dollari. Impazziti anche lo zucchero, lo stagno, la pancetta e il legname. Insomma, le materie prime stanno trainando l'inflazione secondo una schema già visto all'inizio degli anni Duemila, ma per via della pandemia in modo ancor più pericoloso per la nostra economia e per quella europea. «Con l'avvento della pandemia, la Cina ha trovato uno strumento in più per affermare la propria posizione nel mercato fisico dell'industria», spiega alla Verità Gianclaudio Torlizzi, direttore generale di Tcommodity, «basti pensare che nella seconda metà del 2020 si è accaparrata oltre 4 milioni di tonnellate di rame dando il via a un radicale cambio di prospettiva». Il riferimento è alla trasformazione dei flussi commerciali del Dragone. Pechino è passato da Paese dedito all'export low cost a economia con forte interesse all'import di materie prime da destinare ai consumi interni. «Il comparto dell'industria già dall'estate del 2020 ha assistito», prosegue Torlizzi, «a un forte incremento degli ordini trovando però Europa, Cina e Stati Uniti in situazioni molto diverse. Pechino aveva già avviato il processo di import a marce forzate. Gli Stati Uniti, come da loro tradizione, hanno spinto l'acceleratore sugli stimoli finanziari. Il governo Biden ha alzato una posta già impegnativa. Gli stimoli dei dem sommati a quelli di Donald Trump sono arrivati alla enorme somma di 5.000 miliardi di dollari. Solo l'Europa ha svuotato i magazzini durante il picco della pandemia e non ha messo fieno in cascina. Poche scorte di materie prime e stimoli fiscali e finanziari insufficienti». Le mosse cinesi e quelle americane concorrono adesso a pompare l'inflazione. Gli ordini dell'industria sono aumentati ancor di più rispetto alla fine del 2020, la Fed non può che praticare una politica espansiva e la Cina giorno dopo giorno contribuisce a rompere gli equilibri della supply chain mondiale. Due giorni fa Pechino ha deciso di interrompere l'accordo bilaterale sulle materie prime e i servizi con l'Australia. Il risultato è stato un nuovo prezzo record dell'acciaio. Gli effetti virtuali dello shortage (la mancanza di materie prime) si riflettono sulla Borsa. O meglio sui future di chi scommette sul rialzo continuo dei prezzi. Basti pensare che più di una banca d'affari vede il prezzo del petrolio a 100 dollari. Una scelta che provoca una ulteriore tensione sui mercati. Le aziende fisiche e commerciali scommettono in Borsa sui ribassi e shortano, mentre i fondi puntano, come si suol dire, long. Cioè sperano che i prezzi continuino a salire. Purtroppo, in mezzo a questa situazione si collocano l'Italia e l'Europa. «Quest'anno stimiamo per il Vecchio continente un deficit sul mercato siderurgico di almeno 20 milioni di tonnellate di acciaio», conclude Torlizzi, il quale ricorda che «a breve Bruxelles dovrà prendere decisioni fondamentali sui dazi. Continuare a proteggere i produttori o sostenere i trasformatori come l'Italia? Temo che si prosegua con misure di limitazione e quindi sono scettico sull'immediato futuro dell'ex Ilva e degli altri siti lungo la Penisola». L'Europa non è stata in grado di prevedere l'attuale situazione e, se aggiungiamo il fatto che il mercato del lavoro del Vecchio continente è depresso, a differenza di Usa e Cina, comprendiamo che noi non siamo in grado di assorbire il rialzo del costo dei prodotti. Le imprese extra Ue possono ricaricare i rialzi sul prodotto finito con meno problemi perché più famiglie lavorano e i lavoratori vedono al rialzo le loro buste paghe. Per noi l'inflazione non è sostenibile e al tempo stesso la scarsità di materie prime rallenta le aziende che così perdono concorrenzialità anche nel settore dell'export dove Ue e Italia erano più forti. Siamo, in pratica, di fronte alle fase due della pandemia e alla necessaria comprensione che la sicurezza nazionale passa non solo dai vaccini ma anche dal possesso o dal controllo della filiera delle materie prima. In fondo, vaccini, microchip o marmitte catalitiche si producono allo stesso modo. A oggi il sistema è basato su una filiera lunga e spesso spezzata su due o tre continenti. Chi come Usa e Cina è riuscito a comprimere la filiera sul territorio sovrano ha una marcia in più. Il ministro Giancarlo Giorgetti l'ha accennato parlando del piano italiano sull'acciaio. Non è chiaro quale sarà la strategia. Ma certo bisogna darsi da fare per evitare che l'Italia resti un Paese di soli consumatori, per giunta sempre più poveri. C'è il golden power e speriamo che almeno una parte del Recovery sia efficace. Purtroppo bisogna recuperare anni trascorsi a smontare il manifatturiero, l'aerospazio, la Difesa e altre eccellenze.
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






