2021-02-06
L’appoggio di Salvini non è gratis: ministri leghisti nel governo di tutti
Il leader del Carroccio vuole evitare che l'esecutivo in gestazione possa essere una riedizione del Conte bis Con due obiettivi: sottrarre Mario Draghi alla tenaglia demogrillina e dare voce alla parte più produttiva del PaeseÈ appesa all'incontro di stamattina alle 11, tra il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi e la delegazione leghista guidata da Matteo Salvini, la possibilità di evitare che l'esecutivo in gestazione possa essere una riedizione, sotto mentite spoglie, del Conte bis. E che la posta in gioco sia molto alta, lo testimoniano i veti sul Carroccio che dal fronte dell'ex-maggioranza stanno man mano affiorando, all'indomani dell'uscita del premier dimissionario Giuseppe Conte che ha sdoganato l'assalto giallorosso alla diligenza del governo Draghi.La più esplicita, per il momento, è stata Leu, che attraverso i suoi due capigruppo, Federico Fornaro e Loredana De Petris, è andata dall'ex-presidente della Bce e gli ha detto, sostanzialmente, che la partecipazione al governo della gauche italiana è legata alla pregiudiziale anti salviniana, moderno succedaneo di quella antifascista e dell'»arco costituzionale» dei tempi della prima repubblica. In realtà, dietro ai bersaniani in avanscoperta, la trama che il Pd di Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini, con la sponda di Giuseppe Conte, sta tessendo per ingabbiare Draghi, seppure in modo meno dozzinale dell'ala sinistra degli alleati, è in avanzato stato di realizzazione e sta a testimoniarlo qualche voce del sen fuggita come quella del capogruppo al Senato Andrea Marcucci. Il segretario dem, al termine della consultazione col presidente incaricato, ha abbordato il tema, secondo il suo stile, in modo obliquo, parlando di necessità di un «ancoraggio europeo» per il nuovo governo, mentre sul fronte grillino, per tentare di traghettare quanto più Movimento verso Draghi si è mosso Beppe Grillo in persona, sullo sfondo di un possibile voto online che sancisca l'ennesima giravolta.Ecco perché le prossime mosse dell'ex-ministro dell'Interno saranno delicate, e dovranno passare attraverso un collo di bottiglia, evitando da una parte che la tenaglia demogrillina morda il presidente incaricato, e dall'altra che sia pregiudicata la prospettiva politica unitaria del centrodestra, per quando la stagione dell'esecutivo d'emergenza nazionale lascerà il posto alle elezioni. Giovedì scorso, nel pomeriggio, la segreteria politica del partito di Salvini, al netto di qualche mugugno, ha sostanzialmente avallato la linea «aperturista» nei confronti del nuovo governo, ma gli eventi delle ultime ore hanno aggiunto degli elementi che potrebbero giocare a favore della Lega. Non è pensabile infatti che un esecutivo Draghi, che per diretta ammissione del capo dello Stato, Sergio Mattarella, nasce giustificato dall'emergenza sanitaria e della crisi economica, possa prescindere dalla parte più produttiva e allo stesso tempo più danneggiata dalla pandemia del Paese. Senza il Nord dei ceti produttivi, dell'industria ma anche delle piccole imprese e degli autonomi, che paga più degli altri, in moneta sonante, ogni ritardo e negligenza nel contrasto alla pandemia, il nuovo governo - usando le parole di Giancarlo Giorgetti - sarebbe un «governo zoppo».In soldoni: Draghi, verosimilmente, tiene alla presenza della Lega e del mondo che rappresenta nel suo governo, e Salvini intuisce che tale necessità, man mano che il pressing giallorosso sul premier incaricato si intensifica, può diventare urgenza. Allo stesso modo, una piattaforma programmatica che contempla la realizzazione del piano vaccinale per sconfiggere il virus e la conseguente ripresa di tutte le attività produttive, non rischierebbe di danneggiare elettoralmente la Lega ma, al contrario, le apporterebbe autorevolezza e ulteriore consenso.Partendo da queste considerazioni e dal presupposto che quello che viene accreditato dai sondaggi come primo partito italiano non può essere tenuto in scacco da veti ideologici - per giunta nel contesto di un esecutivo di emergenza - Salvini ha rotto gli indugi e ha lanciato l'assist a Draghi per spezzare l'assedio. «Noi non facciamo le cose a metà», ha affermato, «o ci siamo o non ci siamo», lasciando intendere in modo chiaro che se il suo partito deciderà di essere della partita, non lo farà guardandola dalla panchina ma giocandola con i suoi top player nel ruolo di ministri. E per fare in modo che il blocco giallorosso capisse l'antifona, Salvini ha anche rovesciato la questione del veto posto da Leu: «Chi sono io per dire “tu no, tu sì"», aggiungendo che «noi a Draghi non diremo “non voglio tizio"». Perché nella situazione attuale della nostra politica e dopo l'inglorioso epilogo del governo Conte, sarebbe un paradosso difficilmente accettabile dai più, quello secondo cui la partecipazione o meno della Lega al governo di altissimo profilo invocato dal presidente della Repubblica e affidato all'italiano più prestigioso al mondo, fosse subordinata a un voto sulla piattaforma Rousseau o a un ufficio politico di Articolo 1.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)