2025-06-13
Lanciò Giorgia, criticò Zelensky. Quanto vedeva lungo il Cavaliere
Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni (Ansa)
Dall’esecutivo Meloni (da lui battezzato) che si avvia a governare per cinque anni alla riforma della giustizia contro i magistrati politicizzati: le preziose eredità di Berlusconi a due anni dalla morte.«Non sapete neanche scherzare». Due anni dopo la dipartita terrena Silvio Berlusconi continua ad aleggiare come un gigante su chi si contorce alla ricerca di critiche vecchie e nuove per seppellirlo definitivamente. E con la battuta della sedia spolverata (ancora oggi la clip più vista nella storia de La7) ci ricorda un’eredità concreta, quotidiana lasciata a un Paese al quale ha saputo somigliare più di tutti. Il lascito dell’Arcitaliano sta in almeno sei punti con i quali tutti dobbiamo fare i conti.PoliticaSe la coalizione di centro-destra (lui lo ha sempre scritto col trattino) si avvia a completare il terzo anno di legislatura con buone prospettive di arrivare in porto nel 2027, il merito è di una doppia intuizione del Cavaliere, che diede forma al bipolarismo italiano e ne fece la caratteristica fondante della Seconda Repubblica. Oggi guarda da lassù il governo di Giorgia Meloni attaccare il suo record di cinque anni consecutivi, ma con rimpasto. L’esecutivo in carica ha la struttura e al tempo stesso l’elasticità per tirare dritto senza cambiare pedine perché è stabile maggioranza nel Paese e può arrivare in fondo. Questo governo è doppiamente suo: nell’idea e nello sviluppo. E fu lui - ultimo gesto simbolico - a guidare la delegazione di Forza Italia al Quirinale nel giorno del destino.RiformeQuella della giustizia che il ministro Carlo Nordio sta portando faticosamente avanti ha nella separazione delle carriere il caposaldo del garantismo berlusconiano. Forse per questo è così ferocemente contrastata dai pm che per 30 anni hanno inseguito il tycoon di Arcore (36 processi, una sola condanna). Ma anche altre riforme care alla premier Meloni hanno l’imprinting del Cavaliere: la volontà di arrivare a far votare il presidente del Consiglio dai cittadini va nella direzione indicata da lui, che non si dava ragione per «le trappole ministeriali e le congiure di palazzo che indeboliscono l’azione di governo».Guerra in Ucraina«Giudico molto negativamente questo signore». L’uscita contro Volodymyr Zelensky fece molto rumore, ma ancora una volta Berlusconi aveva guardato oltre l’orizzonte. Più che un gesto di solidarietà per il suo amico Vladimir Putin, era un grido d’allarme contro una guerra che «non avrebbe dovuto neppure cominciare». Fu un momento difficile per la diplomazia italiana, la stessa Meloni dovette subìre un’altra critica: «Da premier non sarei mai andato da Zelensky». Lui, che era stato capace di intavolare rapporti personali con i grandi della Terra, fu protagonista del capolavoro di Pratica di Mare (incontro George W. Bush-Putin) ed era convinto che la Russia andava tenuta dentro l’Europa, non fuori. Una visione ampiamente contrastata da Bruxelles. Risultato, la guerra in Ucraina continua. Europa Oggi tutti solfeggiano sull’europeismo strutturale di Berlusconi dimenticandosi che fu uno dei primi ad accorgersi dell’immobilismo degli euroburocrati, uno dei primi a vedere nell’euro (e nello spread) uno strumento di ricatto nei confronti di Roma, uno dei primi a scontrarsi con la Commissione che mandava lettere e warning all’Italia nel tentativo di far cadere proprio lui. E ci riuscì nel 2011 con la collaborazione del presidente Giorgio Napolitano, quando Nicolas Sarkozy e Angela Merkel tesero al Cavaliere la trappola dei «sorrisini ironici» in mondovisione. Allora, pur da pilastro del Ppe, Berlusconi capì che l’Italia «è diventata uno Stato a sovranità limitata». A chi lo accusava di cavalcare proteste di pancia rispondeva: «Qualcuno mi definisce populista perché non sopporta che io sia popolare». EconomiaBerlusconi è stato il primo a promuovere le ragioni delle piccole imprese, degli artigiani, a cogliere i fremiti dei territori più identitari. E per contro ha intuito il freno della burocrazia, il peso dell’elefante pubblico, ha anticipato le privatizzazioni prodiane, le spallate renziane. Se oggi la parola «semplificazione» è entrata nel lessico dei ministeri, lo si deve al Cavaliere elettrico. Avrebbe voluto completare l’opera, ma la rivoluzione liberale della macchina dello Stato «è stata lasciata a metà per colpa di alleati pavidi che mi hanno messo i bastoni fra le ruote». È andata meglio con il famoso milione di posti di lavoro, lo ha confermato ieri Giorgia Meloni: «Da quando siamo al governo sono stati creati più di un milione di posti di lavoro, Berlusconi ne sarebbe contento». Green «Era meglio Berlusconi», cantava Povia per infastidire il circolino dei rivoluzionari da salotto. Era meglio perché ha saputo prevedere temi chiave nella società dell’edonismo e del benessere. L’animalismo filiale con Dudù, il mito del jogging, il forbicione da giardiniere fra i roseti di Villa Certosa. Oggi questi sono cavalli di battaglia della sinistra green che pure lo considerava «unfit to lead Italy». La prima rivoluzione verde la fece da impresario edile negli anni 70, quando realizzò a Milano due quartieri che non avevano niente a che vedere con i falansteri sovietici di certe periferie ma erano piccole città nel verde con le rifiniture di pregio e i dettagli curati. La meraviglia dell’ecologia senza l’ecologismo militante. Si potrebbe continuare, ma sarebbe inutile; Silvio Berlusconi aleggia eccome nel cuore del Paese, che si divertiva a definire «più che una nazione una Nazionale». Anche Max Allegri, tornato sulla panchina del Milan, lo aveva inventato lui. Dicono che sia morto due anni fa ma non c’è da crederci.