
Piddini e renziani chiedono la testa di Fabrizio Salini dopo Sanremo. Bruno Vespa: «Riequilibro».«Schierare Don Matteo per pareggiare Cristiano Ronaldo». È un Bruno Vespa parecchio infastidito quello che apre l'ombrello per ripararsi dall'uragano di critiche provenienti da sinistra. Accusa: avere fatto a coriandoli la par condicio, avere regalato più minuti a Matteo Salvini che a Nicola Zingaretti per spiegare come votare in Emilia e in Calabria, e averlo fatto a Porta a Porta fra il primo e il secondo tempo di Juventus-Roma, partitissima di Tim Cup. Per la verità il segretario del Pd si era esibito martedì sera nell'intervallo e dopo Napoli-Lazio (in coabitazione con Giorgia Meloni), ma l'accusa di partigianeria è arrivata e il conduttore ha incassato. Proprio lui che negli anni aveva inventato il termine «equivicino» per bypassare i malumori dei partiti sotto elezioni.Così Vespa, anche per rabbonire un inferocito Michele Anzaldi (sergente di Matteo Renzi in azienda che minaccia denunce all'Agcom) è costretto a vergare una nota di spiegazione e a trovare la soluzione. «Secondo le tradizioni di Porta a Porta Zingaretti e Salvini sono stati nostri ospiti entrambi per 53 minuti. Identico tempo in video e in voce abbiamo dato a Stefano Bonaccini e Lucia Borgonzoni, non trascurando le liste minori. Gli spot con Zingaretti e Salvini sono andati entrambi in onda nell'intervallo delle partite di Coppa Italia. Per una svista della redazione - di cui mi assumo come sempre la responsabilità - il tempo di parola di Salvini è stato maggiore di quello di Zingaretti e di maggiore impatto politico. Propongo alla direzione di Raiuno di riequilibrare le posizioni nello spot di Porta a Porta durante Don Matteo», fiction andata in onda ieri sera.Il provvedimento è stato preso per mitigare l'indignazione a sinistra. Zingaretti: «A Salvini è stato consentito dalla Rai un solitario comizio, mai così in basso. Ma prendo atto dell'ammissione di colpa». Bonaccini, candidato sempre più nervoso: «Una cosa clamorosa, il servizio pubblico non ha fatto bene il suo mestiere. Servirebbero sanzioni». Per nulla coinvolto sembra Salvini, che commenta: «Secondo lei io mi occupo degli spot che vanno in onda sulla Rai o dei palinsesti? È sempre colpa di Salvini...».È sempre più marcato il fastidio del Pd nei confronti della Rai e in particolare dell'amministratore delegato Fabrizio Salini, arrivato in quota M5s ma quasi subito diventato molto accomodante nei confronti dei desiderata di dem ortodossi e renziani. Un percorso simile a quello del premier Giuseppe Conte, ma portato avanti con meno fortuna perché spesso Salini - già di per sé non un decisionista - si è trovato a dover fare lo slalom fra veti incrociati che ne hanno paralizzato il lavoro. L'ultimo esempio è quello delle nomine dei direttori dei Tg, rimandate a dopo il voto in Emilia per provare a rimuovere il diktat grillino: «Giuseppe Carboni non si tocca». Per quel posto, oggi in pole position c'è Giuseppina Paterniti, molto gradita ai 5 stelle ma anche al Quirinale, vicina all'ala cattolica del Pd (vecchia area Rosi Bindi). Poiché Gennaro Sangiuliano è saldamente in sella al Tg2, la battaglia campale si combatte sul nome di Mario Orfeo, chiesto a gran voce dalla sinistra per la poltrona del Tg3 e fin qui stoppato dal veto personale di Luigi Di Maio, che però da ieri è acqua fresca.Il domino potrebbe salvare Salini anche se la sua posizione è traballante. Più volte silurato in Commissione Vigilanza dai renziani («Faccia il suo lavoro se ne è capace», Anzaldi), bocciato dalla consigliera piddina Rita Borioni dopo le nomine dei direttori di rete («Mi astengo per rispetto di alcuni dei nomi proposti ma Salini non sa gestire la tv pubblica»), l'ad è in bilico e al settimo piano di viale Mazzini si attende la convocazione da parte del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri. L'azionista di maggioranza chiederà spiegazioni. Già girano i nomi di due papabili: il prezzemolo renziano Andrea Guerra e Andrea Sassano, manager che della Rai conosce ogni anfratto.Tutto questo dopo il Festival di Sanremo, che funge da spartiacque della stagione ed è un ricettacolo naturale di polemiche. Qui Salini ha due fronti aperti. Il primo è la partecipazione del rapper Junior Cally, patata bollente appoggiatagli sulla scrivania dall'ingrato Amadeus, oggi l'unico a difendere il cantante mascherato dai testi pesantemente sessisti. Non lo vuole nessuno. Non il presidente Marcello Foa («scelta eticamente inaccettabile»), non i partiti che vigilano anche all'Ariston, non il movimento contro la violenza sulle donne, non L'Avvenire. Con il rischio di una class action. Il secondo fronte non poteva mancare, è the money. Nel mirino i 50.000 euro per Antonella Clerici, già sotto contratto dall'azienda, e i 130.000 per Georgina Rodriguez, che nella vita fa la fidanzata di Cristiano Ronaldo. Dalla Rai ribattono che se in prima fila c'è lui, per gli sponsor del festival è un affare.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.