In vista delle elezioni continentali, i pentastellati non trovano un gruppo parlamentare che possa permettere loro di contare. Diverso il caso della Lega, che intende creare una casa comune dei populisti, puntando a raccogliere almeno cento deputati.
In vista delle elezioni continentali, i pentastellati non trovano un gruppo parlamentare che possa permettere loro di contare. Diverso il caso della Lega, che intende creare una casa comune dei populisti, puntando a raccogliere almeno cento deputati.Con l'avvicinarsi delle elezioni europee, cresce anche l'attesa per conoscere il posizionamento di Movimento 5 stelle e Lega, i due azionisti della maggioranza che sostiene il governo guidato da Giuseppe Conte. Terminata la lunga trattativa con Bruxelles, la macchina elettorale dei due partiti sta iniziando a scaldare i motori in vista della scadenza del 26 maggio. Prima di addentrarci nei dettagli delle manovre, giova riassumere brevemente il meccanismo che regola le consultazioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Saranno chiamati alle urne, complessivamente, circa 400 milioni di persone, per eleggere i 705 membri che compongono l'assemblea dell'unica istituzione votata dai cittadini. L'Italia, divisa in cinque collegi su base territoriale, esprimerà 76 deputati con un meccanismo proporzionale e soglia di sbarramento al 4%. Sulla base degli ultimi sondaggi disponibili, ciò significa che solo quattro, massimo cinque formazioni politiche (oltre a Lega e M5s, Partito democratico e Forza Italia, con Fratelli d'Italia sul filo di lana) arriverebbero a dividersi la torta. Normalmente, prima della scadenza elettorale, i singoli partiti esprimono l'affiliazione a uno dei gruppi europei. Questi, a loro volta, indicano il cosiddetto «Spitzenkandidat», vale a dire il candidato designato alla presidenza della Commissione in caso di vittoria elettorale. Rispetto alla scorsa settimana, quando La Verità ha iniziato a tratteggiare i contorni dei possibili scenari, in questi giorni si sono verificati due fatti che potenzialmente imprimono un'accelerazione al processo di collocamento dei partiti italiani. Per i quali si delinea un obiettivo comune, ovvero trovare la formula giusta per provare a contare anche in Europa, da raggiungere verosimilmente percorrendo strade separate. La prima riguarda l'endorsement di Luigi Di Maio al movimento francese dei gilet gialli, esplicitata dal vicepremier con un post pubblicato lunedì sul Blog del stelle. «Gilet gialli, non mollate! Dall'Italia stiamo seguendo la vostra battaglia dal giorno in cui siete comparsi per la prima volta colorando di giallo le strade di Parigi e di altre città francesi», scriveva Di Maio, che accosta la genesi dei gilets jaunes a quella del Movimento nell'ottobre del 2009. «Il Movimento 5 stelle è pronto a darvi il sostegno di cui avete bisogno», aggiunge, «una nuova Europa sta nascendo. Quella dei gilet gialli, quella dei movimenti, quella della democrazia diretta. È una dura battaglia che possiamo combattere insieme». Parole che non sembrano scritte dalla stessa persona che poco più di un anno fa (era novembre del 2017) vergava un'accorata lettera al presidente francese, Emmanuel Macron, invitandolo a riconsiderare la sua opinione nei confronti del Movimento. A quella missiva fece seguito un corteggiamento a distanza, arenatosi poi a seguito della formazione del governo gialloblù. Strizzatina d'occhio ai gilet gialli a parte, la strategia europea dei 5 stelle sembra ancora a un punto morto. Da questo punto di vista, l'apertura nei confronti del movimento di protesta transalpino sembra più un ballon d'essai che altro. Tramontata per ovvie ragioni politiche l'idea del contenitore macroniano (che tanto piaceva anche al Pd renziano), e messa da parte l'adesione ai liberali dell'Alde, la questione rimane ancora tutta da definire. Anche perché con tutta probabilità l'Efdd, il gruppo di cui fanno parte ora i pentastellati, è destinato a sparire visto che il partito principale, l'Ukip di Nigel Farage, non parteciperà alle elezioni a seguito della Brexit. Che fare, dunque? Nel concreto, anche se dovesse raggiungere un buon risultato elettorale, il Movimento rischia di rimanere fuori dai giochi. Nel caso approdasse (o addirittura contribuisse a formare) a un gruppo minore, come i verdi, probabilmente sarebbe costretto all'opposizione. Anche ipotizzando una improbabile adesione ai socialisti (ora al governo delle istituzioni europee con i popolari), sconterebbe uno scarso potere negoziale, per non parlare della convivenza forzata con il Pd.Molto diverso il discorso per quanto riguarda la Lega. Oggi Matteo Salvini incontrerà a Varsavia il leader del partito Diritto e giustizia (Pis), Jaroslaw Kaczynski, che governa in Polonia e ha la maggioranza assoluta in entrambe i rami del Parlamento locale. Attualmente, il Pis siede tra i banchi dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), ma le posizioni politiche lo rendono sicuramente più vicino alla Lega. Sul tavolo non ci sarà solo la questione migranti, con i casi Sea Watch e Sea Eye a tenere banco, ma anche e soprattutto la definizione di un programma comune in vista della scadenza elettorale continentale. L'accordo con il Pis, infatti, fa parte di una strategia più complessa e molto ambiziosa portata avanti dal «Capitano» e da alcuni fidati membri del suo staff già da molti mesi. Lo scopo, rivelano alla Verità fonti ben informate da Bruxelles, è quello di mettere in piedi la casa degli euroscettici e dei sovranisti europei, puntando a raccogliere almeno un centinaio di deputati. Base di partenza, i partiti che già fanno parte dell'Europa delle nazioni e delle libertà (Enf), gruppo di opposizione di cui i pochi leghisti eletti nel 2014 fanno già parte. Secondo il sito pollofpolls.eu, che sulla base dei sondaggi nazionali offre un aggiornamento costante della consistenza dei partiti europei, l'Enf partirebbe con una dotazione di circa 60 deputati. Strappare i polacchi all'Ecr significa guadagnare almeno 20 deputati, considerato che Pis viaggia in Polonia intorno al 40%. Tra i papabili per l'ingresso nella «internazionale populista» anche l'Alternativa per la Germania (Afd), che nel 2014 piazzò solo 7 deputati, ma che a maggio punta a raddoppiare (o quasi) il risultato in termini di seggi. Rimane l'incognita Fidesz, il partito del premier Viktor Orbán affiliato ai popolari, che dall'alto del 50% dei consensi in patria punta a conquistare almeno la metà dei 21 seggi assegnati all'Ungheria. Ma se l'obiettivo dichiarato del nuovo soggetto è scalzare i socialisti nell'alleanza con il Ppe, è plausibile che Orbán e i popolari austriaci di Sebastian Kurz rimangano in quel gruppo a fare da sponda. Sempre più lontana, dunque, la confluenza della Lega nel Ppe, ipotesi di fronte alla quale la base del partito (ma non solo) storce il naso. Se davvero Salvini dovesse riuscire nell'intento di sedere al tavolo per la formazione della Commissione europea, sarà interessante vedere la gestione degli equilibri con il partito che oggi affianca la Lega al governo.
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