2019-11-06
L’abito non fa il monaco, l’intimo invece sì
Dal peccato di «portare brache» proclamato da papa Clemente VII alla sottoveste esibita dalle dive più sexy di Hollywood, così nei secoli l'umanità ha cambiato mutande e le mutande hanno cambiato l'umanità. Nietzsche, Einstein e Freud inclusi.Il 45 per cento degli americani non si cambia l'intimo tutti i giorni. Lo ha rivelato un sondaggio del marchio di abbigliamento Tommy John. In pratica ogni giorno circa 145 milioni di persone scorrazzano per le strade con le mutande sporche. Ma, assicura il dottor Philip M. Tierno della New York University, la flora microbica che finisce nell'intimo non causa alcun danno alla salute. Checché ne dica l'etimologia - mutande deriva da mutuare, cambiare - indossando per due o più giorni la stessa biancheria, «a meno che non si compiano atti eccezionalmente contaminanti», non si rischia alcuna infezione. Ovviamente, precisa il dottor Tierno, «se i tempi si allungano a una settimana o due la crescita degli organismi sarà tale da produrre un odore marcato». Nel 2017 i maschi italiani hanno investito in biancheria intima 17,08 euro, spesa destinata a calare nel 2021 a 15,72 euro. Le donne per la lingerie sborsano più del doppio degli uomini: 36,59 euro nel 2017, 33,35 previsti per il 2021. Eppure - nonostante gli angeli di Victoria's secret siano caduti per via del #metoo - il business mondiale della lingerie è destinato a crescere. Dai 93 miliardi di dollari del 2017, entro il 2024 il giro di affari dovrebbe raggiungere i 125 miliardi. Fu Caterina de' Medici, moglie di re Enrico II, nel Cinquecento, a introdurre l'uso di mutande strette e attillate di cotone o fustagno. Le indossava per evitare di mostrare più del dovuto quando cavalcava. L'indumento, all'epoca chiamato «briglie da culo», prese subito piede tra le nobildonne di Francia e degli ambienti nobiliari europei. Tuttavia le mutande esistevano già da tempo ma non andavano di moda perché la chiesa le condannava. Per la religiosa Caterina da Siena (1347-1380), «le donne con mutande espongono l'anima propria a pericolo di dannazione eterna». Secoli dopo Clemente VII (1478-1534) sosteneva che «portare brache è peccato e brache aderenti, doppiamente peccato». Di diverso avviso Pio IV (1499-1565) che si avvalse dei pennelli di Daniele da Volterra per vestire i genitali lasciati scoperti da Michelangelo nel Giudizio Universale. Una vestizione che valse al pittore il soprannome di «braghettone». Nel Settecento indossavano mutande solo 3 nobildonne su 100. Quando sposò Napoleone (il 19 marzo del 1796), Giuseppina Beauharnais portò nel corredo 500 camicie che cambiava due volte al giorno e solo due mutandoni di seta color carnicino. Nel secondo dopoguerra, non tutte le ragazze che andavano a ballare potevano permettersi mutande. Per questo, dietro il bancone c'erano indumenti intimi collettivi che potevano essere indossati a turno dalle clienti. A settembre, in Inghilterra, un facoltoso sconosciuto ha sborsato 4.100 euro per aggiudicarsi gli slip rosa pallido indossati da Eva Braun. Due anni fa, per un paio di boxer malconci di Adolf Hitler ne furono spesi poco più di 6.300. Più quotato l'intimo reale. Un paio di mutande in seta della regina Vittoria furono battute per 7.500 euro. Ad aggiudicarsele, un collezionista israeliano. Marilyn Monroe non indossava mai le mutandine. Rovinavano l'effetto scivolato dei vestiti che le fasciavano il corpo come una seconda pelle. La Monroe odiava anche il reggipetto. Quando il seno prosperoso cominciò a caderle, però, sotto agli abiti sistemava delle imbottiture per farlo sembrare sostenuto. Contrarie alla biancheria intima anche Jean Harlow («È fastidiosa... il mio corpo deve respirare») e Naomi Campbell («Specialmente quando sono eccitata non riesco a portarla»). Non indossava mutande neanche Ernest Hemingway. Lo scrittore irlandese James Joyce quando era fidanzato con Nora Barnacle, che poi diventerà sua moglie, le inviava piccoli assegni con un biglietto: «Compraci un bel paio di mutande di pizzo almeno per te». Richard Wagner ad acquistare mutande ci spediva Friedrich Nietzsche. Nel 1876 il compositore, trovandosi a Venezia, mandò al filosofo un telegramma per «due mutande di seta rosa» da ritirare in una ditta specializzata di Basilea. Al contrario dei suoi connazionali, il cantante Justin Timberlake ha dichiarato che non può fare a meno di cambiarsi le mutande sei volte al giorno. Il calciatore David Beckham le usa solo una volta e poi le butta via. Spende 1.500 euro ogni mese per la biancheria intima. George Clooney dopo aver indossato i calzini una sola volta li fa lavare e li regala ai senzatetto. Albert Einstein li odiava. E siccome i suoi alluci li bucavano regolarmente smise di portarli. Il cancelliere Helmut Kohl, invece, li sfoggiava orgoglioso infilandoli in un paio di sandali. Una moda apprezzata anche da Ugo Tognazzi: «In un cassetto avevo trovato dei calzini a righe coloratissimi che mi piacevano molto, con le scarpe non si sarebbero visti, così indossavo dei sandali». Gialli quelli calzati invece da Sigmund Freud quando invitò a ballare la principessa Margaret. Per Gustave Flaubert i pedalini erano indispensabili: nel suo guardaroba ne contava 34 paia. Moltissimi rispetto alle 4 camicie che giacevano sulle stampelle. Nel 1910 il sarto Paul Poiret sostituì lo scomodo elastico della giarrettiera - che Enrico Fermi, studente a Pisa, usava per uccidere mosche - con un più seducente reggicalze. Indumento consacrato da Marlene Dietrich nella locandina dell'Angelo azzurro. La Dietrich usava solo calze di seta con la cucitura in rilievo, detestava le guaine («fanno le gambe corte e il didietro da vecchia, tutto piatto»), il pizzo («le mutandine di pizzo vanno bene per i convegni cinq-à-sept e per le stelline che portano le scarpe bianche da puttana») e le sottane («sono fatte per donne che comprano i vestiti da quattro soldi e devono provarli nei grandi magazzini»). Al cinema le sottovesti svegliarono l'immaginario erotico maschile. Da quella succinta di Liz Taylor in La gatta sul tetto che scotta, a quella trasparente indossata da Sophia Loren in Ieri, oggi, domani mentre faceva lo spogliarello per un incantato Marcello Mastroianni, fino a quella in seta bianca di Kim Basinger che in 9 settimane e 1/2 fece impazzire Mickey Rourke e buona parte degli spettatori sulle note di You can leave your hat on di Joe Cocker. Indimenticabili anche quelle indossate dall'eterea Kate Moss - comprata per 45 dollari, venduta all'asta per 15.000 - e dalla sinuosa Monica Bellucci: «La sottoveste fa parte della cultura italiana, dell'immaginario collettivo, della nostra storia. Ti rimanda al neorealismo. Ai film di Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Vittorio De Sica». Alberta Ferretti la sdoganò come abito: «Perché quando guardavo quei bei film anni Cinquanta con la Lollo, la Mangano e la Magnani che si preparavano a uscire truccandosi in sottoveste mi dicevo: “Dovrebbero restare così, sono perfette"». A sfoggiare l'intimo in strada anche l'eccentrica marchesa Luisa Casati, moglie del marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, amante di Gabriele D'Annunzio, modella del pittore Giovanni Boldini e del fotografo Man Ray: era solita girare per le calli della laguna veneziana indossando unicamente la sua vestaglia di seta. Fece scalpore anche la copertina della Domenica del Corriere del 4 maggio 1952 che ritraeva Pio XII in vestaglia beige, ritto davanti al lavabo con un rasoio elettrico nella mano destra e un cardellino sulla sinistra. I fedeli trovarono sconveniente l'idea di mostrare un papa nella sua intimità. Indimenticabile poi la collezione di pregiate vestaglie di Hugh Hefner, fondatore di Playboy, che le indossava sul suo pigiama da giorno in seta nera, circondato dalle sue conigliette. Cartesio, che dormiva nudo, sognava di essere in vestaglia, accanto al fuoco, intento a scrivere le Meditazioni metafisiche.La vestaglia ha anche un lato macabro. La poetessa Ingeborg Bachmann, in una notte del 1973, morì perché la sua vestaglia di nailon prese fuoco mentre, assopita, teneva una sigaretta accesa tra le dita. Lo scrittore Romain Gary ne acquistò una in seta rossa prima di tornare a casa e spararsi un colpo in testa, lasciando accanto a lui una chiazza dello stesso colore della vestaglia e un biglietto: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». Jean Seberg era l'attrice americana che Gary aveva sposato nel 1962, dalla quale aveva divorziato nel 1979, e che un anno prima lo aveva anticipato facendosi trovare morta in macchina nuda. «La brevità è l'anima della lingerie» (Dorothy Parker).