2020-06-03
La zuffa tra i magistrati sullo ius soli: «Un suicidio, farà vincere la destra»
Tre mesi prima del congresso dell'Anm che inneggiava alla cittadinanza facile, i Palamara boys erano divisi. Paolo Auriemma: «Una marchetta al Pd». Però il dominus degli incarichi difendeva a oltranza «l'integrazione».«Così il pm salvò il collega al Csm». Pierantonio Zanettin, ex Fi nel parlamentino: «Chiesi di aprire la pratica per i conflitti d'interessi di Rossi, che indagava su Etruria e babbo Boschi, ma il ras di Unicost la fece archiviare».Lo speciale comprende due articoli. Il tema politico-ideologico viene introdotto a bruciapelo durante un momento goliardico, proprio mentre lo stratega delle nomine Luca Palamara e il suo collega Marco Mancinetti si stanno confrontando, usando termini da maschiacci, su alcune bellezze con la toga che vogliono invitare a una festa. Tra un apprezzamento e l'altro, però, Paolo Auriemma, capo della Procura di Viterbo, lancia la bomba, anticipando già ai suoi interlocutori come la pensa: «Siete contrari allo ius soli? Io contrarissimo». È il 2 luglio 2017. Da circa un mese il dibattito era molto acceso. Il 15 giugno, infatti, erano scaduti i termini per la presentazione degli emendamenti alla proposta di legge (spinta a tutta forza dalla sinistra) per il diritto di cittadinanza agli stranieri e, nei giorni in cui il trojan infilato dagli investigatori perugini nello smartphone di Palamara è attivo, sulla stampa non si parlava d'altro. Ovviamente il tema appassionava anche i magistrati e qualche riferimento è rimasto incagliato nelle intercettazioni della Procura di Perugia.Per difendere Matteo Renzi, Palamara ha preso le difese anche dello ius soli con il collega Auriemma, «contrarissimo» alla legge. E gli dà perfino del leghista: «A Paolo xazzo, non solo contro Renzi, ora anche leghista! Eh no, questo è troppo». Auriemma, piccato, replica: «Sei favorevole? Qual è la ragione politica?». Risposta: «Una sola: integrazione». Auriemma lo stende: «Oggi il sacerdote leggendo la prima lettura di domani ha detto che il profeta Ezechiele era ospitato ma nello stesso tempo dava qualcosa e non si limitava a chiedere. Integriamo a colpi di legge gente che mette il cappuccio alle donne? Che non le fa studiare? Che non ha avuto l'illuminismo. Prima si integrassero poi si vede. Della integrazione non gliene frega niente a nessuno e una marchetta del Partito democratico che fa sapendo che ha perso voti per conquistare quelli dei genitori dei minori che sono cresciuti in Italia». Mancinetti sottolinea: «Parole su cui riflettere...». E una riflessione sul tema i giudici l'hanno organizzata davvero. Il 22 ottobre è il grande giorno. A Siena si tiene il trentatreesimo congresso dell'Associazione nazionale magistrati. La sesta sessione, piazzata in scaletta nell'ultimo dei tre giorni di dibattito, ha un titolo esplicito: «Nuove domande di giustizia tra libertà e diritto. Nuove famiglie, liberalizzazione droghe leggere, fine vita, ius soli». Se qualcuno avesse avuto dubbi sulla posizione ideologica del sindacato dei magistrati quella fase congressuale avrebbe di certo sgomberato il campo da ogni equivoco. D'altra parte, il presidente dell'Anm, Eugenio Albamonte, intervistato dall'agenzia di stampa Agi, aveva accompagnato la fase preparatoria del congresso con queste parole: «Vogliamo lanciare un sasso nello stagno e ribadire al legislatore che deve fare presto nel prendere le sue scelte». Altro dettaglio: l'introduzione dei lavori venne affidata a Silvia Albano (anche lei presente nelle chat con Palamara), che nel 2014, da giudice del Tribunale civile di Roma si era occupata dello scambio di embrioni all'ospedale Pertini. La fase di pressing della magistratura sulla politica lascia traccia anche all'interno delle chiacchierate di Palamara intercettate dagli investigatori. Il 31 ottobre, ancora una volta nel gruppo Whatsapp condiviso da Palamara, Mancinetti e Auriemma si torna sull'argomento. Auriemma posta nella chat il link a un articolo di Repubblica su Silvio Berlusconi indagato per le stragi di mafia del 1993. Il servizio giornalistico riporta le intercettazioni del boss Giuseppe Graviano che, finite in un fascicolo aperto a Firenze, evocano il leader forzista come mandante. Auriemma torna sullo ius soli, ma non risparmia un colpo a Nino Di Matteo: «Non bastava lo ius soli. Pure la strage per far vincere la destra. Con il contributo di Di Matteo». L'attuale consigliere del Csm eletto da indipendente nelle liste di Piercamillo Davigo all'epoca era ancora un pubblico ministero della Procura di Palermo. E fu lui a segnalare all'ufficio giudiziario fiorentino il verbale ritenuto la chiave per riaprire le indagini che erano già state fatte ma senza risultati concreti: la Procura di Firenze, competente per la strage di via dei Georgofili, aveva archiviato la sua inchiesta quasi 20 anni prima, nel 1998. Palamara, che appare più interessato al Cavaliere, lascia cadere il discorso sullo ius soli e chiede il nome del procuratore di Firenze: «Non ricordo», dice Palamara, «forse lo ricordi tu Paolo». Auriemma, stando alle chat, non crede alle teorie sul coinvolgimento berlusconiano: «Non è colpa del procuratore di Firenze, ma di Palermo che ha mandato il fascicolo. Spero che il procuratore di Firenze affronti questa pagliacciata rapidamente».Poi riprende il tema che da circa tre mesi gli sta a cuore: «Comunque lo ius soli bastava da solo a fare perdere le elezioni alla sinistra. Un vero suicidio». Uno spauracchio, quello delle destre al governo, che sembra tormentare non poco i pensieri della toga di Unicost.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-zuffa-tra-i-magistrati-sullo-ius-soli-un-suicidio-fara-vincere-la-destra-2646147842.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cosi-il-pm-salvo-il-collega-al-csm" data-post-id="2646147842" data-published-at="1591124929" data-use-pagination="False"> «Così il pm salvò il collega al Csm» Durante la consiliatura del Csm 2014-2018 uno dei casi più scabrosi fu la pratica per incompatibilità ambientale che riguardava il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, all'epoca titolare dell'inchiesta sul crac di Banca Etruria. Il procedimento fu aperto quando si seppe che il magistrato era consulente del dipartimento Affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi (era arrivato con Enrico Letta ed era stato confermato da Matteo Renzi). Il capo del Dagl era inizialmente Carlo Deodato, oggi segretario generale della Consob, poi sostituito dalla renzianissima Antonella Manzione. Rossi aveva fatto parte della giunta esecutiva centrale dell'Anm quando Luca Palamara ne era presidente e il pm indagato a Perugia per corruzione, da vero amico, riuscì a far chiudere la pratica dopo una lunga battaglia. Ci mise la faccia perorando durante il plenum la causa del procuratore. Ma quando Palamara lasciò il Csm, Rossi perse il suo scudo. Nell'ottobre del 2018 il nuovo consiglio rinviò la sua conferma a procuratore e un anno dopo, con Piercamillo Davigo relatore, l'istanza venne bocciata. Nella consiliatura precedente il conflitto d'interessi di Rossi era stato sollevato da Pierantonio Zanettin, deputato di Forza Italia, all'epoca consigliere azzurro del Csm. Ma il parlamentare trovò un fiero avversario: Palamara. «La pratica Rossi», spiega alla Verità Zanettin, «è stato uno dei miei cavalli di battaglia. Chiesi io l'apertura del fascicolo quando, nel dicembre 2015, uscì un'agenzia che svelava che Rossi, titolare dell'inchiesta sulla Popolare dell'Etruria, era ancora un consulente del governo. Noi lo chiamammo in prima commissione, quella che si occupa di trasferimenti per incompatibilità, e lui ci disse che non conosceva la famiglia Boschi». Un'affermazione che ammorbidì i commissari, anche perché nel frattempo l'incarico governativo non era stato confermato: «Demmo un parere favorevole all'archiviazione della pratica. Ma a ridosso del plenum venne fuori lo scoop su Panorama da cui apprendemmo che Rossi aveva indagato più volte Boschi (chiese la definitiva archiviazione nel 2014 mentre era consulente del governo Renzi, ndr) e che quindi non poteva non conoscerlo e che a difenderlo era stato Giuseppe Fanfani, che in quel momento era consigliere del Csm. Riaprimmo subito il caso. E Rossi ci venne a dire che non aveva capito la domanda e che comunque non aveva conosciuto personalmente Boschi senior». Tutto a posto? Non proprio. «Dopo aver risentito Rossi giungemmo a una travagliatissima archiviazione. Si trattava di un'archiviazione «vestita», nel senso che conteneva diversi rilievi. Ma Palamara e il suo gruppo fecero passare una serie di emendamenti in aula per cancellarli tutti. Io, alla fine, fui l'unico a votare contro l'archiviazione, mentre i due relatori, Piergiorgio Morosini e Renato Balduzzi, e altri sette si astennero perché erano state sbianchettate le critiche». Ma quali rilievi furono cancellati? «Avevamo evidenziato che Rossi, mentre era consulente di Palazzo Chigi, aveva tenuto per sé, senza condividerlo con altri colleghi come da buona prassi, il fascicolo sul crac della Popolare aretina, un'inchiesta che avrebbe portato all'iscrizione sul registro degli indagati di Boschi senior. E di questi possibili profili di incompatibilità Rossi non aveva informato il Csm. Scrivemmo anche che avevamo ravvisato qualche esitazione in Rossi ogni qual volta era stato toccato il tema dei contatti con esponenti del mondo politico-istituzionale». Cancellature a parte, il plenum stabilì anche che quella delibera non entrasse nel fascicolo personale di Rossi, penalizzandolo. Zanettin ricorda chi si batté più di tutti gli altri a favore del procuratore di Arezzo: «Fu Palamara. Interveniva sempre per difendere Rossi. Litigai diverse volte con lui. In uno di questi scontri dissi a Palamara che lo proteggeva perché erano entrambi di Unicost e lui si indignò rivendicando la sua autonomia. Ma oggi le chat mi danno ragione». Soprattutto laddove Palamara afferma che anche se Rossi aveva fatto «cazzate su cazzate» bisognava «salvarlo». «Per me è una soddisfazione apprenderlo visto che al Csm ero finito in un'ultraminoranza a causa di queste mie battaglie. Che per fortuna oggi sono diventate di moda. Certo pensavo che il sostegno di Palamara a Rossi avesse una motivazione solo correntizia. Scoprire, invece, che dietro c'era anche la preoccupazione per i possibili contraccolpi sul governo Renzi mi ha francamente sorpreso».
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)