Giuseppe Conte (Ansa)
Natale teso per Olivia Paladino, compagna di Giuseppi. La sorella Cristiana, infatti, spaventata dai bilanci in rosso delle loro società, vuole cederle le sue quote in cambio di 150 milioni. Intanto, al fratellastro Shadow vanno liquidati altri 10,2 milioni.
Il giorno della vigilia di Natale, l’ex premier e leader del M5s, Giuseppe Conte ha pubblicato sul proprio profilo Instagram una foto che lo ritrae insieme alla compagna Olivia Paladino, nel suo studio, con accanto un albero di Natale addobbato con gusto.
La cosa che ha colpito è l’espressione della compagna Olivia. Una foto di rito. Una scocciatura. Non un sorriso di circostanza e, anzi, quel volto corrucciato lascia trasparire il momento difficilissimo che la donna sta attraversando, legato alle società di famiglia e al rapporto, ormai ai ferri corti, con la sorella Cristiana.
Cosa è successo tra loro e perché tanta tensione? La verità va ricercata proprio nel rapporto tra le due sorelle, il padre Cesare (l’immobiliarista in capo) e le aziende di famiglia, che stanno accumulando perdite considerevoli e un forte indebitamento con l’erario. Sullo sfondo il lungo contenzioso, per presunte promesse non mantenute, con il fratellastro maggiore di Olivia e Cristiana, Shawn John Shadow.
Non reggendo più a questa pressione, anche mediatica, Cristiana ha comunicato alla sorella Olivia la propria volontà di cedere le sue quote nelle società a un fondo (di cui non ha voluto rendere noto il nome) per una somma complessiva di 150 milioni di euro. In poche parole, ha offerto alla sorella la possibilità di esercitare il diritto di prelazione, invitandola a versarle quella cifra sul conto corrente per diventare proprietaria dell’intera holding di famiglia. Il problema è che Olivia non ha liquidità. Due delle tre società presentano bilanci disastrosi, con debiti milionari verso il fisco, e reperire in breve tempo 150 milioni di euro - oltre ai circa 10 necessari per chiudere il contenzioso con il fratellastro - appare un’impresa quasi impossibile. Far entrare un fondo nella holding di famiglia significherebbe, di fatto, perdere il controllo: basterebbero un paio di aumenti di capitale per mettere in ginocchio il vecchio imprenditore romano e la compagna di Conte.
Ora Olivia è davanti a una scelta: acquistare le quote della sorella Cristiana sborsando almeno 150 milioni, oppure affrontare il futuro con un fondo come socio al 50%, con la differenza che quest’ultimo, in caso di necessità, può ricapitalizzare senza limiti, mentre lei no. In alternativa, resta l’ipotesi più drammatica: portare i libri contabili in tribunale e svendere il patrimonio di famiglia, composto anche da numerosi appartamenti a Roma e in varie regioni d’Italia. In tutto questo c’è la posizione, inflessibile, della sorella Cristiana: non vuole sentire ragioni, vuole uscire dalla holding di famiglia. Non le importa chi le darà i soldi, la sorella Olivia o il fondo immobiliare, lei vuole i suoi 150 milioni di euro e vivere i prossimi anni senza più rogne.
E che le cose non stiano andando particolarmente bene sarebbe confermato da un intervento di maquillage societario che è stata messo in piedi proprio sotto Natale. Olivia Paladino e la sorella Cristiana hanno avviato un’operazione di facciata legata al palazzo di via Fontanella di Borghese - dove vive anche Giuseppe Conte - intestato alla Sorelle Fontana alta moda (Sfam) srl. Davanti alla notaia Silvana Masucci di Roma si è presentata Roberta Bichel, nella sua duplice veste di amministratrice unica sia della Unione esercizi alberghi di lusso (Ueal) sia della Immobiliare di Roma Splendido (Irs). Un dettaglio tutt’altro che secondario, perché l’operazione formalizzata riguarda una compravendita interamente interna allo stesso gruppo societario.
Ueal ha ceduto a Irs il 70% di Sfam per un valore nominale di 6 milioni di euro, da corrispondere in sei rate annuali da un milione ciascuna: la prima entro la fine dell’anno, l’ultima fissata al 31 dicembre 2030. Si tratta, però, di un passaggio puramente contabile: non c’è una reale uscita di cassa, né una vera circolazione di denaro tra soggetti indipendenti, ma solo uno spostamento di partecipazioni tra società riconducibili alle stesse proprietarie.
Sia la società venditrice sia quella acquirente sono infatti controllate dalle sorelle Paladino attraverso la Agricola Monastero Santo Stefano vecchio srl, che detiene anche il restante 30% di Sfam. L’operazione serve dunque a trasferire la proprietà di una società in grave difficoltà patrimoniale sotto una holding del gruppo con una situazione finanziaria più solida.
Sfam ha chiuso il 2024 senza alcun ricavo e con una perdita di 148.000 euro, che ha portato il patrimonio netto a un valore negativo di 1,67 milioni di euro. Una condizione che, per legge, impone la ricapitalizzazione o, in alternativa, la messa in liquidazione della società. Le perdite del 2020 devono essere coperte entro la fine di quest’anno, quelle del 2021 entro il 2026 e quelle del 2022 entro il 2027. In questo quadro, la cessione infragruppo non rappresenta un’operazione di mercato, ma uno strumento per ricollocare Sfam sotto una società del gruppo in grado di sostenerne il risanamento. Ultimo, ma non ultimo problema in casa Paladino, è quello che riguarda il fratellastro Shawn.
Quest’ultimo è in attesa che le sorellastre gli liquidino il compenso pattuito di 10,2 milioni di euro per la cessione delle sue quote nella capofila delle società di famiglia, la Agricola Monastero Santo Stefano vecchio, a fronte dei 250.000 euro già versati dopo l’accordo transattivo siglato davanti al Tribunale civile di Roma per la liquidazione del suo 5% del capitale delle società cointestate. Papà Cesare, negli anni scorsi, aveva suddiviso il capitale della Agricola, che ha in pancia pure la proprietà del Grand hotel Plaza di Roma, donandone il 47,5% ciascuna alle due figlie naturali Olivia e Cristiana, e lasciando il restante 5% al figliastro Shawn John.
Il lungo braccio di ferro tra le sorelle, il patrigno e Shawn sembrava essersi concluso con il già citato accordo. Ma non era così. Le sorelle Olivia e Cristiana hanno infatti versato solo la prima rata da 250.000 euro al fratellastro, come previsto dall’accordo messo a punto dal professor Guido Alpa (morto lo scorso marzo a Genova), maestro di Conte, che nel contenzioso ha assistito Cesare Paladino e le due figlie.
Dopo quel pagamento tutto si è bloccato e Shawn è stato costretto a ricorrere nuovamente alla giustizia per far valere l’accordo, facendo notificare un’ingiunzione di pagamento che verrà discussa, dopo quasi due anni, nell’ottobre del 2026. Nel frattempo Cristiana vuole lasciarsi alle spalle le beghe di famiglia, diventare multimilionaria e dedicarsi a una vita di agi senza questioni giudiziarie e problemi economici da gestire. Resta da capire se Olivia e papà Cesare vorranno continuare a combattere sulla tolda di comando dell’azienda di famiglia o se anche loro preferiranno incassare, concedendo a Shawn la sua parte. E Conte in tutto questo? Qualcuno dice, ironicamente, ma non troppo, che stia cercando casa. Anche perché la foto di Natale non promette nulla di buono neppure per lui.
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Ansa
Don Michele denuncia le guerre, ma il Bambinello simboleggia l’amore assoluto di Dio.
In un comune del barese, a Terlizzi, il parroco don Michele Stragapede si è sostituito a Dio e ha deciso di non far nascere il Bambin Gesù, di farlo sparire come se tutto fosse un gioco di prestigio, una magia. Un ribaltamento della catechesi oltre che della storia. Al suo posto, nella culla, solo un lenzuolo bianco circondato da balle di fieno. «Facciamo finta che tutto vada bene?», ha domandato il sacerdote alla comunità. «Facciamo finta che non ci sono stati bambini uccisi a Gaza, in Israele, in Sudan? Nella striscia di Gaza e in Israele sono stati ammazzati o lasciati morire oltre 16.000 bambini sotto i 12 anni: una vera strage degli Innocenti a opera di Erode».
Non vi è dubbio che le intenzioni di don Michele fossero le migliori possibili, ma egli sta compiendo un errore di prospettiva enorme: relativizzare il messaggio del Vangelo, la cui potenza è quella di ribaltare le ingiustizie e i paradigmi dei potenti. Non era potente quell’Erode che si era messo in testa di uccidere tutti - ripeto tutti! - i bambini per paura di perdere il proprio potere, minacciato dalla nascita di questo nuovo «re», Gesù?
Certo che lo era, tanto da mettere in azione una macchina di spionaggio per non lasciare scampo ai nascituri. Addirittura tenta, con l’inganno, di sviare anche i Magi: se andate ad adorare il «re dei Giudei» poi ditemi dove si trova che così anche io possa venire, raccontano le Scritture. Solo un sogno avvertirà i Saggi di non credere alle parole di Erode. Ecco, Dio non si ferma di fronte a tanta malvagità, non si ritrae dalla scelta di donare, uomo tra gli uomini, il proprio figlio e annunciare: amatevi l’un l’altro come io ho amato voi. Quel bimbo è luce di speranza in un mondo buio, fatto di guerre, di ingiustizie, di soprusi, di finzione: è ciò per cui abbiamo appena gioito! Togliere dalla culla quel bambino ribalta la catechesi, neutralizza o peggio vanifica il messaggio di Dio. Don Michele, ma davvero lei pensa che noi ci meritiamo il dono di Dio? O che ce lo meritassimo ieri più di oggi? Ma no! E lei lo sa benissimo! Dio non ci manda Gesù perché ce lo meritiamo: è un dono. E ogni anno abbiamo bisogno di ricordare quel messaggio di nascita e di Resurrezione proprio perché non si tratta di una lezione di storia e di attualità; piuttosto è il ribaltamento di quel messaggio di amore assoluto del quale non siamo mai stati degni, ma che Dio ci offre nella sua magnanimità. Ecco perché anche a Terlizzi quel bambino deve stare lì, nel presepio: la nuova novella non si misura nella relatività di quel che viviamo, ma è un insegnamento assoluto. Un messaggio misterioso e affascinante, più di chi s’atteggia dio creando robot e intelligenze artificiali nel tentativo di misurarsi con una Creazione digitale. Un messaggio potente più delle miserie con cui chi si crede potente si misura, a tal punto da respingere persino la sospensione dei bombardamenti nella notte di Natale.
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Il canale di ingresso principale in Italia sono i ricongiungimenti familiari: oltre 100.000 l’anno. Mentre chi entra per lavorare è solo il 10% e ha redditi molto bassi.
Ormai lo si è capito da tempo. Con buona pace di chi ancora crede al mantra dei migranti che «ci pagheranno le pensioni». Più che grandi contribuenti, gli stranieri in Italia sono un bacino soprattutto di beneficiari di prestazioni assistenziali. E non perché non abbiano voglia di lavorare. Ma per il tipo di flussi migratori portati avanti in questi anni. Migranti irregolari spesso a bassa qualificazione destinati a lavori sfruttati e mal pagati. In un continuo mismatch tra domanda e offerta con ricadute negative su salari e produttività.
A questo va aggiunto il costante innesto di migranti regolari attraverso i ricongiungimenti familiari. Se l’attuale governo ha cercato di mettervi una stretta, dal 2011 in poi rappresentano il principale afflusso di popolazione straniera in Italia. E il primo motivo di rilascio dei permessi.
Un canale di ingresso costante e legale, magari in aereo, che il più delle volte si traduce in mogli e figli a carico del capofamiglia e, a seconda dell’Isee, del welfare.
Oltre 100.000 all’anno, quasi 130.000 nel 2022, un numero eguagliato talvolta solo dai visti per asilo. Troppo pochi invece quelli per lavoro. Appena 39.000 nel 2023, circa l’11% dei 330.730 totali. Più di 40.000 i permessi per lavoro nel 2024 grazie al decreto flussi, per una percentuale del 13%. Una proporzione risicata e che, a parte un lieve incremento nel 2020 per via dalla sanatoria, si mantiene costante dal 2015.
Quanto alle condizioni economiche degli stranieri in Italia, i dati Istat 2024 sono impietosi. I peggiori degli ultimi dieci anni. Più di 1,8 milioni sono in povertà assoluta, praticamente uno su tre. Tradotto, non pagano tasse. E chi le paga, ne paga troppo poche.
Secondo un’analisi di Itinerari Previdenziali, con 3 milioni e mezzo di dipendenti privati nel 2024 e una retribuzione media annua di 16.693, gli stranieri appartengono a quelle fasce di reddito che versano solo il 23% dell’Irpef complessiva. E dunque non sono autosufficienti per le funzioni base del welfare. L’80% del peso fiscale italiano si regge su un ristretto 27,41% di lavoratori con redditi dai 29.000 euro in su. Dove non rientra di certo la maggior parte degli immigrati.
Tra i fautori del trend, «a sorpresa», si trova anche chi si dovrebbe occupare di salari e lavoro. Come la Cgil che tra le iniziative previste nell’ambito di finanziamenti europei percepiti tramite il Fami, segue corsi e assistenza per cittadini stranieri che ancora si trovano nei loro Paesi di origine e si preparano a raggiungere i propri familiari in Italia. 3,5 milioni di euro fino al 2027.
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Ansa
- Sui social spopolano avvocati che, in cambio di laute parcelle, promettono documenti in tempi rapidi anche a chi non ne ha diritto. Le storie di chi chiede asilo seguono spesso un copione unico.
- I legali: «Gli immigrati seguono il passaparola o la pubblicità sul web. Ma spesso le informazioni che ricevono sono parziali»
Lo speciale contiene due articoli
«Grande avvocato, mai visto uno uguale a te». Il ragazzo tunisino ha ottenuto la protezione speciale ed è al settimo cielo. In un altro video, una decina di ragazzi bengalesi sorridono sulle note di Rino Gaetano. Finalmente hanno il permesso di soggiorno. Jacopo Maria Pitorri, «il miglior avvocato immigrazionista a Roma» come si legge sul suo sito, promette grandi soddisfazioni. Tutte documentate su TikTok dove ha più di 500.000 follower e centinaia di migranti vengono immortalati mentre lo ringraziano per il documento ricevuto. Egiziani, bengalesi, stranieri originari di Paesi considerati sicuri che solitamente rientrano in quel 60-70% di domande di asilo che ogni anno vengono respinte.
Dopo di che però si può fare ricorso tramite un avvocato retribuito dallo Stato. O addentrarsi in una selva di studi legali e agenzie qualora si riesca a rimediare qualche migliaio di euro nella speranza, o illusione, di accorciare l’iter.
Tra i servizi più richiesti il permesso di soggiorno, problemi con il rinnovo, e poi, dopo anni, la cittadinanza che è il documento più ambito, in grado di mettere fine a tutte le traversie.
Attorno alla stazione Termini a Roma c’è l’imbarazzo della scelta. «Abbiamo aperto una sede vicino al ministero dell’Interno proprio per essere più efficaci», annuncia l’avvocata Susanna Angela Tosi ai suoi 271.000 follower su Facebook, forse ignari che un legale non può certo andare a battere i pugni sui tavoli del Viminale. Poco importa. Con otto sedi in tutto lo stivale ha creato il brand avvocatocittdinanza.it e rivendica il titolo di influencer numero uno del settore. Linee telefoniche costantemente occupate, eventi a Lampedusa e al Parlamento europeo, tra ospitate tv, siti e canali social è un tripudio di bandiere italiane. Convincere gli stranieri a richiedere la cittadinanza, addirittura nel tempo record di 5 mesi, è il suo forte. «Anche in 4» ci dice una receptionist al telefono.
E non proprio per amore del tricolore. Diventare italiani, spiega lei, permette di viaggiare in 194 Paesi senza visto, «accedere a finanziamenti europei a fondo perduto», «evitare l’espulsione se si commettono reati», «ottenere un permesso di soggiorno per i parenti di secondo grado anche se clandestini». Ma soprattutto, è il migliore escamotage per portare in Italia chi è rimasto a casa. Madri, padri, coniugi, figli, persino i nipoti. Senza la seccatura di dover soddisfare requisiti di reddito e idoneità alloggiativa. «Per gli stranieri i ricongiungimenti familiari sono lunghi e complicati. Il visto familiare non sempre viene concesso per non parlare di quello turistico, spesso rifiutato “per rischio migratorio”. Se invece sei italiano l’Ambasciata non può contestarti nulla. Hai diritto al visto per famigliare al seguito anche solo per motivi di salute. Cosa aspetti?».
Concetti ripetuti in contenuti sponsorizzati anche in arabo dove basta un click per prenotare l’appuntamento. 179 euro una consulenza in studio o 159 se paghi subito on line.
Nel caso di Pitorri il metodo è diverso. Superata la barriera di telecamere che da fuori controllano l’ingresso, si raggiunge lo studio dove l’avvocato è circondato dai monitor di videosorveglianza e l’atmosfera è decisamente meno accogliente di quella propagandata su TikTok. Neanche il tempo di dire una parola che Pitorri va al punto.
«L’informazione si paga. Una domanda 50 euro, due 70, dalle 3 alle 5 domande 100 euro». Il ragazzo è attonito, nessuno glielo aveva detto. «Glie lo dico io, sono un avvocato». Puntualizza lui.
«Lei fa una domanda, io rispondo e lei paga. Se vuole uscire fuori, prende 50 euro e poi ritorna».
Tutto chiaro.
Da qualche tempo, Pitorri e Tosi, sono finiti nel mirino di alcuni account social molto seguiti che li accusano di pubblicità ingannevole. Il più agguerrito è Domio, imprenditore egiziano su TikTok come @SG Marka.
«Ho fatto il bonifico di 2.000 euro un anno fa ma non ho più saputo nulla. Da mesi cerco di contattare la Tosi ma è impossibile». Centinaia i commenti che raccontano storie simili.
«Ciao fratello. Anche io pagato 150+3.000 euro subito, ha detto fa la cittadinanza in 90 giorni. Passati due anni ma niente». «Ho pagato tutto ma poi mi ha chiesto 500 euro. Dopo qualche mese altri 500». Dalle storie emerge una costante. Gli stranieri verrebbero motivati a fare la pratica con la promessa di ottenere tutto velocemente. Poi, al prevedibile allungarsi dei tempi, vengono chiesti altri soldi «per poter mandare avanti il lavoro».
Nel dibattito è entrata anche Selena Peroly, attivista del Camerun e «influencer rivelazione del 2025». «Ragazzi, non si può ottenere la cittadinanza in pochi mesi, la legge prevede due anni di attesa e si può fare anche al Caf per 150 euro. Un avvocato che fa marketing non è più credibile di uno che non lo fa. Smettiamola di farci fregare!».
Uno dei video più cliccati della Tosi è «Trucchi per far sì che la tua domanda di cittadinanza venga accettata». Anche se il titolo promette più del contenuto incentrato su come compilare i documenti senza errori, il concetto dell’escamotage fa presa sulla platea straniera abituata, fin dall’ingresso in Italia, a fare i conti con un sistema fondato su una serie di falsificazioni. A partire da quella per cui migranti per lo più economici arrivati in modo irregolare, per diventare regolari non hanno altra scelta che presentarsi come potenziali rifugiati e chiedere asilo. Poiché questo però viene riconosciuto solo a chi nel proprio Paese rischia la vita, bisogna rendere la propria storia più drammatica. O inventarne una nuova. Che però, curiosamente, attinge sempre alle stesse sceneggiature. Una serie di «narrazioni stereotipate» e di «canovacci fin troppo ricorrenti» come nota la Cassazione in una sentenza in materia di protezione internazionale già il 7 agosto 2019. Dal giovane musulmano che mette incinta una ragazza cristiana al cristiano che ha fatto lo stesso con una musulmana e scappa dalle furie dei genitori di lei. Dal sedicente omosessuale perseguitato alla vittima dello stregone o del capo villaggio che vuole destinarlo a sacrifici umani. Storie portate avanti con l’aiuto degli studi legali cui gli stranieri affidano la propria vita e tendono a percepire come «dalla loro parte» visto che proprio grazie a loro, e ai giudici, generalmente in oltre il 50% dei ricorsi ottengono la protezione.
Il meccanismo è noto e ora, la mancata promessa della cittadinanza in tempi record appare come la punta dell’iceberg di un sistema che non va.
«Perché dovete pagare se avete tutti i requisiti? Se sei pulito non serve un avvocato» commenta Hamza.
«Per me quello che fa la Tosi è una “truffa legale”» conclude Domio. «Fa leva sull’emotività e sul sudore degli stranieri che hanno bisogno dei documenti. Ci sono cascato pure io. Volevo fare il ricongiungimento per i miei genitori dall’Egitto che non vedevo da anni. Lei mi ha convinto a fare la cittadinanza. Facciamo tutto in poco tempo, ha detto. Ma ancora aspettiamo. E siamo in tanti qui. Troppi».
«C’è chi ha centinaia di clienti stranieri e fa grossi profitti»
Cittadinanza italiana in 5 mesi o anche meno? Mi sembra difficile. «I tempi sono quelli previsti dalla legge, quindi due o tre anni». Quando mostro alcuni annunci di cittadinanza veloce a Paolo Iafrate, avvocato e docente presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata in Normativa nazionale ed europea in materia di immigrazione, non si stupisce. «Di fronte a certi slogan è difficile non pensare a operazioni di marketing. Purtroppo c’è chi guarda al settore dell’immigrazione come un business».
Gli ultimi dati dell’Istat dicono che ci sono 1,8 milioni di stranieri che vivono in condizioni di povertà assoluta. Praticamente uno su tre. Non sembra una platea dalle cui tasche poter ricavare grandi profitti, se non indirettamente…
«Si tratta di un settore a bassa marginalità ma ad alto volume. Ci sono studi legali che lavorano con centinaia di clienti e quindi puntano sul fare grossi margini proprio grazie alle quantità».
Al di là dell’aspetto etico, elencare i vantaggi della cittadinanza o fare pubblicità al proprio servizio legale, dopotutto non è reato. Dove finisce una lecita promozione e dove inizia il business?
«Quando l’informazione è parziale, i costi sono gonfiati o l’interlocutore non è messo nelle condizioni di fare una scelta consapevole, allora siamo nel campo del “business spinto”. È sempre meglio richiedere un preventivo scritto e diffidare di chi fa pubblicità comparativa o “garantisce” l’esito della pratica. L’avvocato ha un’obbligazione di mezzi, non di risultato ma dovrebbe sempre ricordarsi che ha a che fare con persone in condizione di fragilità, com’è il caso di molti stranieri proprio per la precarietà del loro status legale».
Quindi dove va messa l’asticella?
«Se il cittadino straniero non dispone delle risorse economiche sufficienti a farsi assistere, ha diritto al gratuito patrocinio e l’avvocato ha l’obbligo di informarlo e di fargli firmare un’informativa scritta che lo metta al corrente della possibilità di accedere a questo beneficio. Nessuna somma deve quindi essere corrisposta all’avvocato che verrà retribuito dallo Stato. Pena l’incorrere in un illecito disciplinare professionale. A sua volta, il cliente ha l’obbligo di fornire informazioni veritiere sul proprio reddito che, tenendo conto anche di quello dei familiari conviventi, non deve superare i 13.659,64 euro annui».
Ci raggiunge Laura Barberio, esperta di diritto dell’immigrazione e docente insieme a Iafrate del Master Medim (Master in Economia Diritto ed Intercultura delle migrazioni).
Avvocato, nel caso della cittadinanza, la pratica può essere seguita anche da un Caf o un patronato per 100 euro o poco più. Considerando che la clientela straniera ha mediamente una bassa disponibilità economica, come mai in molti si rivolgono a servizi a pagamento, per 2-3.000 euro o più?
«Spesso conta molto il passaparola. O la pubblicità, soprattutto sui social, che sicuramente è in grado di condizionare molte scelte. Va detto però che in alcuni casi, il cittadino straniero che sceglie di affidarsi ad un avvocato esperto in materia di immigrazione è maggiormente tutelato. Ed è seguito in tutte le attività stragiudiziali».
È normale far pagare solo per un’informazione o per la prima consulenza informativa?
«Il patrocinio non riguarda l’attività di consulenza che quindi può essere a pagamento. Alcuni studi legali spesso concedono una prima valutazione gratuita. Che però non deve configurare un’ipotesi di accaparramento di clientela. Anche qui c’è una deontologia. Condivido Pietro Calamandrei quando diceva che l’avvocato “deve essere prima di tutto un cuore, un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini… sentire come sue le loro ambasce”».
E qui però si si apre un altro capitolo. Perché in nome «dell’umanità» o dell’ideologia, l’avvocato spesso presta il fianco a racconti non veritieri da parte dei migranti che servono a convincere i giudici. Penso soprattutto ai ricorsi per l’asilo portati avanti da migranti economici. Questo sistema non rischia di ledere chi ha veramente diritto alla protezione? E che poi si finisca per non credere più a nessuno?
«Noi dobbiamo ascoltare le storie che ci raccontano i nostri assistiti e tradurle in atti legali. Non è sempre vero che un migrante considerato come solo economico dalle Commissioni territoriali non abbia caratteristiche tali da non meritare protezione speciale o anche protezioni maggiori in sede di ricorso per via giudiziaria. Penso alle donne vittime di violenza che non sono riuscite a parlarne in prima istanza o ai migranti a rischio di re-trafficking. Mai come oggi chi difende gli stranieri si trova a dover tutelare i diritti umani fondamentali della persona a fronte delle molteplici violazioni poste in essere dalle autorità amministrative competenti a gestire il fenomeno migratorio».
Entrambi lavorate con il gratuito patrocinio il cui capitolo di spesa, secondo i dati del ministero della Giustizia, tra il 2015 e il 2023 è passato da 215 milioni di euro l’anno a ben 493. Un boom dove il numero degli stranieri è risultato sempre in crescita, come si legge nella relazione del ministero. È un business anche questo?
«Molti dei nostri clienti sono stranieri ma ultimamente è aumentato anche il numero degli italiani che si rivolgono a noi e hanno diritto al servizio legale a spese dello Stato. Non direi proprio che lavorare con il patrocinio arricchisce gli avvocati. L’onorario viene dimezzato e i pagamenti arrivano dopo anni dalla fine dei procedimenti. I business sono altri».
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