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La bozza del nuovo decreto energia prevede che 4,5 milioni di nuclei riceveranno un contributo straordinario di 55 euro. Circa 750 milioni verranno destinati alle piccole aziende con la riduzione degli oneri di sistema per finanziare le rinnovabili.
Aiuti alle famiglie più bisognose e alle piccole e medie imprese per fronteggiare il pagamento delle bollette della corrente elettrica: lo prevede la bozza del nuovo Dl Bollette, atteso in Consiglio dei ministri entro la fine dell’anno. Il governo stanzia per questi provvedimenti un miliardo di euro. Vediamo il dettaglio: per quel che riguarda le famiglie, il contributo straordinario annuo di 55 euro si somma a quello ordinario per gli aventi diritto, e andrà quindi alle famiglie con Isee non superiore a 15.000 euro e a quelle numerose, con almeno 4 figli, con Isee non superiore a 20.000 euro. Sulla base dei dati relativi agli attuali percettori dei bonus energetici e di quelli relativi ai soggetti che hanno beneficiato nel 2023 di simili misure straordinarie, si stima una platea di beneficiari pari a circa 4,5 milioni di nuclei familiari. Il costo della misura ammonta a circa 250 milioni di euro per il 2026.
Il contributo, si legge nella bozza, «si pone l’obiettivo di ridurre il costo della fornitura di energia elettrica, per l’anno 2026, per i clienti domestici in condizioni di disagio economico da una parte e delle piccole a medie imprese connesse in bassa tensione dall’altra».
Per quanto riguarda poi le piccole e medie imprese l’ipotesi è quella di uno sconto sulle bollette elettriche grazie ad una riduzione degli oneri di sistema destinati al finanziamento delle fonti rinnovabili. Le risorse per finanziare la misura sono stimate nell’ordine di 750 milioni di euro a valere sulle disponibilità di bilancio della Cassa per i servizi energetici e ambientali. Secondo la relazione illustrativa che accompagna la bozza, «considerati i consumi sottostanti delle imprese interessate, pari a 64,3 TWh, il beneficio è di circa 11,5 euro/MWh». Tra le varie proposte da inserire nel prossimo Decreto energia, a quanto riporta l’Ansa, spunta l’ipotesi di una cartolarizzazione per ridurre gli oneri di sistema inseriti nelle bollette per sostenere le energie rinnovabili, i cosiddetti Asos, sui quali pesa in modo preponderante il costo degli incentivi previsti nei decreti Conto Energia adottati tra il 2005 e il 2012. L’operazione prevede per il quinquennio 2026-2030 l’abbattimento della componente Asos, per un valore massimo di 5 miliardi di euro per ciascun anno, mediante il trasferimento da parte di Cdp alla Cassa per i servizi energetici e ambientali (Csea) di risorse ottenute mediante l’emissione di titoli obbligazionari di durata non superiore a 20 anni.
Tra gli articoli della bozza compaiono poi misure volte a favorire la contrattazione di lungo termine della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. L’obiettivo è in pratica quello di promuovere lo sviluppo dei contratti a lungo termine dando priorità alle piccole e medie imprese. Viene quindi rafforzata la bacheca dei contratti di lungo termine che, da strumento volto a facilitare l’incontro tra le parti potenzialmente interessate alla stipula dei contratti, diventa sede di negoziazione e contrattualizzazione diretta, con particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese.
In pratica, si introduce la possibilità di negoziare contratti direttamente sulla piattaforma, sia in forma libera sia con garanzia del Gse, attraverso procedure organizzate dal Gme. Questa evoluzione, viene spiegato nella relazione che accompagna il provvedimento, risponde alla necessità di creare un mercato più trasparente e accessibile, riducendo le barriere di ingresso per le pmi e favorendo la stabilità dei prezzi dell'energia.
In ultimo, si punta a raggiungere meccanismi di approvvigionamento energetico stabili e sostenibili, contribuendo progressivamente alla decarbonizzazione del settore industriale. Il governo quindi, nonostante le note ristrettezze economiche e i vincoli di bilancio imposti dalla Unione europea, non dimentica i cittadini più bisognosi e le piccole e medie imprese, alle prese con gli aumenti dei costi dell’energia. Non mancherà di certo chi dirà che quello che si sta facendo è troppo poco, ma si tratta di propaganda strumentale: il sostegno c’è, l’investimento è di un miliardo di euro e i bonus andranno ad alleggerire le situazioni di chi si trova in maggiore difficoltà. «Accogliamo con favore», fa sapere Assoutenti, «il contributo straordinario da 55 euro previsto dal decreto energia: si tratta di una misura positiva che va incontro a 4,5 milioni di famiglie vulnerabili, in un momento in cui il costo della vita e dei servizi essenziali continua a pesare sui bilanci domestici. Tuttavia l’obiettivo del Governo deve essere quello di superare la logica dei bonus una tantum per garantire strumenti stabili, che tutelino realmente i diritti universali dei cittadini».
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Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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2025-12-10
Da 56 giorni i genitori non vedono i figli. Gli assistenti sociali però non rispondono
Troppe anomalie sul caso dell’altra famiglia nel bosco. Marina Terragni: «È fuori legge». Ma le operatrici temono per la loro immagine.
«Voglio sapere dove sono i bambini. Sono passati 56 giorni senza vederli. Neppure una telefonata. Non sappiamo come stanno, cosa mangiano, se dormono…». Le lacrime scivolano giù con dignità sul bel volto di mamma Nadya, mentre si siede con noi sulla panca fuori, all’ingresso di casa. Siamo nel bosco di Caprese Michelangelo, piccolo borgo in provincia di Arezzo. «Con mio marito Harald», racconta Nadya, «siamo andati più volte ai servizi sociali. Ci hanno detto che non possiamo vederli perché sono in un luogo segreto. Tutto questo è un abuso. Una violenza che viene fatta a noi e ai nostri figli».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.







