2022-01-15
La vera storia dell’intercettazione che ha mandato in tilt Colle e Csm
Verso l’archiviazione l’inchiesta sul dialogo Pomicino-Romeo che imbarazzava Giovanni Legnini. Facendo emergere i suoi giudizi su Henry John Woodcock. Una possibile bomba contro il parlamentino dei giudici che ha scosso il Quirinale. L’inchiesta sull’intercettazione dei misteri riguardante il pm napoletano Henry John Woodcock va verso la chiusura. La Procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone ha chiesto prima di Natale l’archiviazione, con un’istanza molto articolata, per la non sussistenza del reato ipotizzato a inizio indagini ovvero la violenza o la minaccia a un corpo giudiziario dello Stato, in questo caso il Csm. Il fascicolo era stato rivelato dalla Verità e adesso alcuni dei suoi atti investigativi sono finiti in un altro procedimento della Procura di Padova. Qui il consigliere del Csm Giuseppe Cascini ha denunciato per diffamazione l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara (interrogato proprio ieri come indagato) che aveva affermato, come rivelato sempre da questo giornale, che dell’intercettazione gli aveva parlato proprio Cascini durante appuntamento volante tra il 4 e il 5 luglio del 2018.Tema del caffè, secondo Palamara, una conversazione, in quel momento in mano alla Procura di Roma, in cui l’ex ministro Paolo Cirino Pomicino, chiacchierando con l’imprenditore intercettato Alfredo Romeo, avrebbe riportato un presunto aspro giudizio dell’allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini su Woodcock, in quel momento sotto procedimento disciplinare proprio a Palazzo dei marescialli.Per questo, Cascini, a detta di Palamara, avrebbe previsto che quel procedimento, «una rogna», sarebbe «passato alla successiva consiliatura», come in effetti accaduto. Grazie a quella intercettazione? La risposta della Procura di Perugia, a fine indagini, è stata negativa. Ora un gip dovrà avallare la conclusione.Il fascicolo per la presunta minaccia al Csm è stato iscritto a inizio 2021, dopo l’uscita del libro di Palamara, a modello 44, ovvero con un’ipotesi di reato, ma senza indagati.Ora i verbali dentro al fascicolo svelano come la storia, pur senza essere stata presa in considerazione dai principali media, avesse mandato in tilt i palazzi delle istituzioni, dal Csm al Quirinale. Con notevole scorta di imbarazzo.In Umbria, il 14 giugno 2021, Woodcock racconta che tra il 24 e il 25 giugno 2018, in una delle riunioni indette per chiudere le indagini su Romeo venne a sapere dell’intercettazione: in essa «Legnini aveva espresso un giudizio negativo sulla mia persona appellandomi come “pazzo”», ha spiegato il pm a Perugia. Dopo aver appreso dell’audio, il magistrato e due colleghi si recarono dal procuratore Melillo e lo informarono, «siccome era già iniziato il procedimento disciplinare». Melillo «ritenne di informare immediatamente il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, a cui era stato trasferito uno stralcio del procedimento» e, sulla questione, affidò all’aggiunto Borrelli un fascicolo a modello 45, senza indagati, né ipotesi di reato, «soluzione» condivisa con lo stesso Pignatone.Il 28 o il 29 giugno il procuratore di Napoli si recò a Roma per parlare con Pignatone a quattr’occhi. Ma non solo con lui. Per esempio, incontrò al Csm anche Legnini. Un colloquio così descritto, de relato, da Woodcock: Melillo «mi disse che era stato un quarto d’ora molto imbarazzante e che lui “si era chiuso a riccio”. Mi disse che Legnini era molto turbato».Il 10 luglio Woodcock e la collega Celestina Carrano fecero richiesta di copia dell’audio: «Borrelli mi autorizzò il 18, dopo aver avuto un’interlocuzione con il procuratore e dopo il nulla osta da parte del procuratore di Roma». In pratica un affare di Stato. Una piccola atomica della cui letalità Woodcock era ben cosciente: «Eravamo consapevoli che questa intercettazione avrebbe potuto creare problemi nel senso che avrebbe avuto certamente clamore mediatico e poteva essere oggetto di critica poiché eravamo certi che l’intercettazione non era mai stata resa pubblica».Alla fine però la piccola bomba rimase chiusa nell’arsenale: «L’intercettazione non è mai stata ritirata da noi perché il nostro intendimento era di chiedere la copia il giorno prima in cui ritenevamo di volerla esibire e volevamo, in particolare, portarla al Csm il giorno in cui sarebbe cominciata l’eventuale discussione». Ma non ce ne fu bisogno visto lo slittamento del procedimento.Legnini, a Perugia, ha raccontato che Palamara gli parlò «genericamente» di un’intercettazione che avrebbe potuto essere utilizzata per ricusarlo. L’ex vicepresidente, pur essendo certo di non aver «potuto esprimere giudizi negativi su Woodcock», iniziò allora una vera e propria via crucis nei palazzi, ritenendo «fastidioso» che qualcuno potesse «strumentalizzare» a suo danno quel colloquio. «Fu per questo che ritenni opportuno far presente la circostanza riferitami da Palamara al pg Fuzio […] nonché confrontarmi con il dottor Pignatone […] e con il consigliere della presidenza della Repubblica, dottor Erbani». Pignatone e Melillo si sarebbero dimostrati molto «abbottonati», anche se il primo avrebbe lasciato intendere che «qualcosa c’era». Quanto al colloquio con l’uomo del Quirinale Legnini ha detto: «Avvenne nel mese di luglio; si trattava di un momento in cui ero particolarmente dubbioso per questa vicenda e avevo anche pensato alla possibilità di astenermi, pur non conoscendo l’intercettazione. Erbani si limitò ad ascoltarmi e mi disse che secondo lui la soluzione migliore era rimettersi alla decisione della sezione». Anche se nega di aver perorato il rinvio del procedimento contro Woodcock, Legnini ricorda che Fuzio lo informò di aver parlato con il «Quirinale», «termine con cui si riferiva al consigliere del presidente Stefano Erbani» e di aver parlato anche con Pignatone: «Mi fece capire che sarebbe stato consigliabile evitare tensioni nella fase finale della consiliatura e da questo discorso io capii che lui era favorevole a un possibile rinvio». A sua volta Fuzio ha raccontato che Legnini lo aveva informato che Woodcock «aveva prospettato la possibilità di rendere nota l’intercettazione» con il «giudizio malevolo». E ha aggiunto: «Legnini mi disse che ne avrebbe parlato con il presidente della Repubblica […]. Gli dissi di farmi sapere quando ciò fosse accaduto così da poter eventualmente interloquire con il presidente anche io». Nel verbale non viene specificato quanto accadde dopo. Si specifica solo che Fuzio avrebbe saputo da Melillo che Woodcock «aveva prospettato la possibilità di un’iniziativa nei riguardi del vicepresidente Legnini» e che anche il difensore del pm anglonapoletano, Marcello Maddalena, avrebbe parlato dell’intercettazione con l’ex pg.A mettere a posto tutte le tessere del puzzle ci ha pensato Pignatone, oggi presidente del tribunale vaticano: «È vero che in una data che non so precisare, ma che potrebbe essere nei primi di luglio del 2018 Palamara venne da me dicendomi di avere saputo di una intercettazione», quella in cui Pomicino ha riferito i presunti «giudizi poco lusinghieri» di Legnini.L’ex presidente dell’Anm, però, non avrebbe rivelato la fonte, né avrebbe fatto il nome di Cascini, ma Pignatone sostiene di aver potuto «subito replicare […] che essa era in alcuni tratti poco comprensibile e che non si trattava di atto segreto, ma al contrario già depositato (nel 2017, ndr) a disposizione dei difensori». Pignatone sostiene di essere stato informato dell’esistenza di quell’audio, non ancora sbobinato, a fine giugno dagli inquirenti di Napoli insieme con i colleghi Paolo Ielo e Mario Palazzi, contitolari del fascicolo: «Pregai Palazzi di fare eseguire alla sua segreteria un accurato controllo in proposito e all’esito egli mi confermò che quelle fonie erano state depositate e quindi non erano da considerarsi segrete».Pignatone ha concluso ricostruendo anche l’incontro con Legnini: «Dissi anche a lui semplicemente che si trattava di atti non segreti, già depositati a Roma e che per la Procura di Roma erano processualmente irrilevanti».Ma Palamara da chi ha saputo di quell’intercettazione? Difficile pensare che a informarlo siano stati i pm di Napoli, contro cui stava remando. Il cerino resta per questo in mano a Cascini, a Ielo e a Palazzi. Ma Pignatone ha portato tutti in salvo, spiegando che diffondere la notizia di quell’audio non costituiva reato. Adesso la Procura di Perugia ha concluso che neanche a Napoli avrebbero commesso illeciti. Chiudendo, così, il caso dell’intercettazione bomba. In compenso, in Umbria, mercoledì dovrebbe partire il processo contro Palamara e l’ex collega Stefano Fava sulle presunte rivelazioni ai giornali. Il giudice Giuseppe Narducci ha deciso di astenersi a causa di «gravi ragioni di convenienza» per aver sottoscritto sei mesi fa un documento delle toghe progressiste con apprezzamenti negativi su Palamara. Narducci è stato sostituito con il giudice onorario Marino Albani.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco