2020-08-11
«La vera bomba di Beirut scoppierà presto»
L'ex ministro dell'Interno Marco Minniti: «Il caos sociale può innescare un effetto domino su tutti i Paesi del Nord Africa. Rischiamo un'altra impennata migratoria e dobbiamo contrastare gli appetiti di nazioni come la Turchia. Che già ci sta creando problemi per il gas».Onorevole Minniti, lei da una settimana parla solo dell'emergenza in Libano, perché? «Questa crisi pone una grande questione umanitaria, con possibili effetti in tutto il Mediterraneo. La bomba di Beirut è l'epicentro di una nuova crisi che ci riguarderà molto più da vicino di quanto possiamo immaginare». In che senso? «Dovremmo pensare a cosa accade in Africa, e nel Mediterraneo, ogni volta che apriamo un fornello del gas e si accende una fiammella. Dal Libano, come proverò a spiegare, può partire un drammatico effetto domino che rischia di colpire tutti i Paesi del Nord Africa». A Beirut la rivolta è salita di livello, con l'occupazione di due ministeri da parte dei manifestanti anti governativi, le dimissioni dell'esecutivo. «Dobbiamo evitare a tutti i costi che quel Paese finisca nel caos. Quelle immagini e quell'onda d'urto che si propagano alla velocità del suono hanno reso icastica una situazione già drammatica». Lei teme per il sistema-Paese?«Uno Stato così fragile, può collassare da un momento all'altro. Si congiungono inestricabilmente tre grandi emergenze: una sanitaria, una economica e una umanitaria». La più grave pare l'ultima. «Migliaia di feriti, ospedali al collasso. Centinaia di morti, 300.000 sfollati. La vera bomba atomica è questa. Ed è innescata molto più vicino a noi di quanto non sembri». Marco Minniti, ex ministro dell'Interno del Pd, uno dei principali conoscitori della politica estera nella classe dirigente italiana. Uomo di relazioni con tutti i Paesi del Nord Africa, lancia un allarme e spiega che il crollo del Libano trascinerebbe in una spirale tutti i Paesi del Mediterraneo. Minniti denuncia il fatto che le grandi potenze - a partire da Russia e Turchia - stanno aumentando la loro area di influenza negli scacchieri per noi più delicati. Molti italiani considerano il Libano un Paese lontano. «Fanno male. Il Libano è la sede di una delle più importanti missioni militari italiane. E in questi anni è stato il cuscinetto tra la Siria e Israele. Se salta, le conseguenze saranno catastrofiche. Mai come oggi il Mediterraneo rischia di diventare un elemento di instabilità planetaria». Mi dica il pericolo più grande. «Il Libano non deve e non può essere una nuova Siria». Lei pensa che questo possa davvero accadere? In Siria l'effetto scatenante è stato la guerra. (Ride amaro) «Un anno fa avevamo paventato il rischio che la Libia diventasse una nuova Siria. Ora è accaduto». Anche noi abbiamo le nostre responsabilità. «Se un anno fa qualcuno ci avesse detto che avremmo avuto i russi in Cirenaica e i turchi in Tripolitania gli avremmo dato del matto. Oggi è realtà. Nel vuoto del disimpegno americano si sono infilate le ambizioni di potenza di tutti gli altri Stati».Come si può propagare, dal Libano, quello che lei chiama effetto domino?«Visualizzi la linea dei confini in quell'area: Siria, Iran, Libano, Israele. E poi, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco». Tra questi Paesi ci sono situazioni diversissime. «I due più stabili sono Israele e Marocco. L'Algeria sta affrontando il post Abdelaziz Bouteflika, ovvero la scomparsa di una personalità fortissima che aveva tenuto insieme il Paese». E poi c'è la crisi tunisina, per cui noi paghiamo l'effetto migratorio più immediato. «Il Paese era già in una drammatica crisi sociale, oggi amplificata dal Covid. L'infrastruttura turistica era la sua spina dorsale. Ed è stata colpita due volte: prima dal terrorismo e poi dal virus». Lei è molto preoccupato per la Tunisia. «È l'unico Paese delle primavere arabe uscito con un modello democratico». Poi c'è l'Egitto. «Lì la stabilizzazione l'hanno fatta i militari. Ma gli equilibri sono ancora precari». E poi c'è la Libia.«Dove non si ferma la guerra civile: lì le grandi potenze si misurano nascondendosi dietro mercenari e milizie». Tutti questi Paesi sono una polveriera. «Certo. Questa fotografia ci consegna un Mediterraneo instabile, traversato da guerre a bassa intensità, e sempre meno “mare nostrum". È un combinato-disposto da far rizzare i capelli. Per chi li ha...».Torniamo agli Stati Uniti. «Con Donald Trump si sono disimpegnati dal Mediteraneo. Hanno lasciato un vuoto». Se vincesse Joe Biden potrebbe cambiare? «Questa strategia mi pare difficilmente reversibile in tempi brevi». È in questo vuoto che si infilano i russi e i turchi. «È il più grande cambio di equilibrio politici degli ultimi 100 anni. L'Europa non può più rimanere ferma. Mi sembra uno di quei pugili che prende il cazzotto in viso e resta piantato sulle gambe. Ma traballa, e potrebbe crollare». Perché non riusciamo a leggere questo nuovo equilibrio? «Tutti eravamo programmati per una sfida ad Est. Adesso l'Est ha dislocato la sua frontiera: nel Mediterraneo e a Sud. È venuto a combattere una sfida per l'egemonia in casa nostra». Lei parlava del gas, del petrolio. «Sul petrolio basterebbe pensare che l'Eni garantisce il nostro fabbisogno in Libia, proprio dove corre la frontiera dei due nuovi Paesi. E per la prima volta la Turchia rivendica la primazia sui giacimenti di gas nella zona greco-cipriota. Vogliono fare trivellamenti, e con chi confliggono?».Con il cartello di Eni e Total. «Esatto. Ma lei dovrebbe dire meglio: è un conflitto con Italia e Francia. Il nostro gas potrebbe venire anche da lì. Vede che alla fine siamo arrivati al fornello?».Recep Erdogan ha teso la mano anche al Libano, da ex nemico. «Dopo la guerra in Siria vuole guadagnare altra egemonia». Lo ha fatto anche Emmanuel Macron, da ex alleato. «Macron è andato a Beirut: spero che non lo abbia fatto per giocare una partita solitaria. Anzi: spero che sia andato con l'idea di rappresentare l'Europa. Di fronte a questa partita che tiene insieme tutto, nessun Paese europeo può pensare di farcela da solo». Come possiamo competere con Russia Turchia e Iran che usano gli eserciti come arma diplomatica?«Se questo è lo scenario, l'Europa, o un gruppo di Paesi europei, devono attrezzarsi molto velocemente su una dimensione di difesa comune. Una forza capace di una rapida proiezione su quei teatri, per potersi difendere dalle minacce. E poi per far valere la sua forza economica». Soldi contro eserciti? «Le pare poco? La Russia si muove in Libia con i suoi contractor. L'Iran è in Libano con Hezbollah e le milizie sciite. Erdogan combatte con i suoi irregolari a Tripoli. Però questi tre giganti sono tutti attraversati dalla crisi e fragilità economiche: la Turchia ha una drammatica crisi valutaria, in Iran il Covid ha avuto un impatto drammatico, in Russia il crollo del prezzo del petrolio ha terremotato una industria nazionale». Questo significa che sono tigri di carta? «Possono essere corsari sul terreno militare ma non possono diventare un punto di riferimento per la ricostruzione. Quella possiamo farla solo noi europei. Presentando piani di intervento per la Libia, il Libano, la Tunisia». Servirebbero statisti che non si vedono all'orizzonte. «Se non facciamo nulla, la prima arma da cui saremo colpiti è una nuova ondata migratoria». Sarà colpita l'Italia, però. «Nessuno si illuda che riguardi solo noi. E qui torniamo al Libano. Dobbiamo varare subito una nuova politica di governo dei flussi migratori. Si devono creare le condizioni perché il maggior numero di libanesi possano rimanere in Libano».Questo significa che dei profughi ci saranno. «Se così sarà l'Europa deve predisporsi a una straordinaria operazione umanitaria. Con corridoi umanitari?«Sì, assolutamente. Vede, dopo il virus i corridoi sono una necessità. Con il Covid-19 è cambiato un paradigma che riguarda i trasferimenti. Non ho nessun pregiudizio contro i migranti. Tuttavia la diffusione del Covid ha posto in primo luogo il tema di trasferimenti e contatti tra persone. Sia che arrivi in prima classe che con i barconi». Come si può evitare?«Queste sono crisi che vanno governate, non subite. Anche gli interventi umanitari devono coniugare sicurezza sanitaria e accoglienza. Altrimenti sconvolgono i Paesi che li mettono in campo. L'unico modo per aiutare è intervenire attraverso canali trasparenti e legali. Altrimenti illegale è uguale pandemia».Parla del Libano?«Va fatto in Libano. In Libia. In Tunisia. E per farlo bisogna aprire una campagna durissima e senza quartiere contro tutti i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. Se c'è un libanese che non può più vivere a Beirut non può arrivare in Europa con i trafficanti di uomini». E come? «Ce li portano le grandi democrazie, alle loro condizioni». Possiamo accogliere un flusso dal Libano?«Io credo di sì. Anche perché è un flusso temporaneo, come avvenne con il Kosovo». C'è altro da dire?«Sì: deve cadere un ultimo tabù. Bisogna andare oltre la Bossi-Fini. Abbiamo bisogno di canali legali per far entrare in Italia quei lavoratori di cui - come abbiamo visto durante il lockdown - la nostra economia ha bisogno». Come? «Con le nostre ambasciate e nei Paesi di provenienza. Si possono governare i grandi flussi solo con delle quote trasparenti».