2021-05-22
La tregua di Gaza sembra già a rischio. E Hamas esulta insieme agli iraniani
Joe Biden prova a intestarsi il cessate il fuoco, ma sull'escalation ha influito anche la sua strategia di apertura a Teheran.Tregua armata in Medio Oriente. Alle 2 del mattino della giornata di ieri è scattato il cessate il fuoco «reciproco e incondizionato» tra Israele e Hamas dopo undici giorni di conflitto. Un conflitto che, tra raid aerei e circa 4.000 razzi, ha portato in totale a 256 vittime. L'Egitto, che ha negoziato l'accordo, ha annunciato l'invio di due delegazioni per monitorare la tregua. Soddisfazione è stata espressa dalla Casa Bianca che, già a poche ore dall'entrata in vigore del cessate il fuoco, ha cercato di intestarsi il merito del risultato. Joe Biden, in particolare, ha rivendicato l' «intenso sforzo diplomatico» del suo team, oltre a rimarcare di aver avuto sei conversazioni con Benjamin Netanyahu in questi giorni. «Abbiamo tenuto discussioni intense e di alto livello, ora per ora, letteralmente, con l'Egitto, l'Autorità palestinese e altri Paesi del Medio Oriente, per evitare questo tipo di conflitto prolungato», ha precisato. Eppure la situazione continua ad apparire problematica. La tensione resta infatti alta. Ieri si sono registrati degli scontri a Gerusalemme tra polizia e manifestanti musulmani: scontri che hanno portato a quindici feriti. Rivendicando le operazioni militari per «salvaguardare la sicurezza di Israele», Netanyahu ha, in questo quadro, avvertito ieri di essere pronto a ritorsioni, nel caso di violazioni del cessate il fuoco. In secondo luogo, va sottolineato che questo cessate il fuoco sia stato salutato da Hamas come un proprio successo. Di «vittoria» ha parlato il leader dell'organizzazione, Ismail Haniyeh, che ha aggiunto: «Abbiamo distrutto il progetto di convivenza con Israele, di normalizzazione con Israele». Una posizione dura, che va letta anche nel quadro della storica rivalità di Hamas con Al Fatah: non a caso una figura legata proprio ad Al Fatah come il gran muftì di Gerusalemme, Mohammad Hussein, è stata contestata ieri da decine di palestinesi, mentre teneva un sermone nella moschea di Al Aqsa. È quindi plausibile che Hamas abbia spinto Israele a ristabilire la deterrenza, proprio per accreditarsi maggiormente in seno al fronte palestinese. Parole trionfali sono arrivate anche da Hezbollah che, in una nota, ha salutato la «storica vittoria ottenuta contro il nemico sionista». In terzo luogo, l'amministrazione americana ha mostrato una scarsa risolutezza, che si è tradotta in atteggiamenti tentennanti e contraddittori. Innanzitutto questa nuova crisi di Gaza è stata (almeno in parte) favorita dalla politica mediorientale di Biden. Una politica con cui il presidente ha raffreddato i rapporti con l'Arabia Saudita e ha contemporaneamente avviato un processo di distensione con Teheran attraverso il rilancio dell'accordo sul nucleare del 2015 (giusto negli ultimi giorni sono stati annunciati progressi da Vienna in tal senso). Questa linea ha messo a rischio gli accordi di Abramo, isolato Israele e rafforzato indirettamente Hamas: un'organizzazione spalleggiata dall'Iran e, in particolare, dalle Guardie della rivoluzione iraniana. Quegli stessi pasdaran che, con le elezioni del prossimo giugno, mirano a mettere le mani sulla presidenza della Repubblica islamica. Teheran si sta quindi rafforzando politicamente: il che spiega in parte le parole trionfali di Hezbollah e Hamas. Proprio ieri il Tehran Times ha del resto riportato che il capo della Forza Quds, Esmail Qaani, abbia inviato una lettera al comandante di Hamas, Mohammed Deif, dicendogli: «Hai fatto assaporare al nemico usurpatore il sapore della paura, della sconfitta e dell'umiliazione». I pasdaran hanno inoltre presentato ieri un nuovo drone da combattimento chiamato significativamente «Gaza». Un altro aspetto problematico per Biden è stato poi rappresentato dalla politica interna. Il Partito democratico si è infatti spaccato tra un'ala filoisraeliana e una filopalestinese. Quest'ultima, costituita soprattutto da esponenti della sinistra, si è mostrata particolarmente battagliera, criticando duramente Netanyahu ed esortando ripetutamente Biden a invocare un cessate il fuoco. L'obiettivo della tregua non è stato infatti perseguito sin da subito dalla Casa Bianca. Non solo gli Stati Uniti hanno infatti più volte bloccato al Consiglio di sicurezza dell'Onu delle dichiarazioni che andavano in questa direzione, ma il presidente americano ha chiesto esplicitamente un cessate il fuoco soltanto lunedì scorso: all'ottavo giorno di combattimenti e dietro pressione di ventotto senatori della sinistra dem. Quella stessa sinistra che, nel frattempo, ha provato a bloccare al Congresso la vendita a Israele di 735 milioni di dollari di armi: una vendita che era stata approvata dalla stessa Casa Bianca. Dinamiche che stupiscono fino a un certo punto, visto che un sondaggio Gallup di marzo ha evidenziato come un numero crescente di elettori dem nutra posizioni critiche verso Israele. La smania di sconfessare Donald Trump a tutti i costi sull'Iran e le divisioni nel suo stesso partito hanno quindi portato Biden in cortocircuito nell'approccio a Israele. Non sappiamo se e quanto durerà questa tregua. Ma sappiamo - questo sì purtroppo - che, rispetto a sei mesi fa, il Medio Oriente è tornato ad essere una polveriera.