2019-09-11
La tratta delle squillo-rifugiate dalla Nigeria
Arresti a Brescia e nel Mantovano svelano lo stratagemma della mafia africana: portare clandestinamente ragazze qui, avviare le richieste d'asilo, farle ospitare nei centri d'accoglienza, poi metterle in strada. L'incubo di tre giovani tra riti magici e sevizie.Venivano reclutate nei loro villaggi con l'inganno: in Italia avrebbero trovato un lavoro dignitoso e stabile che avrebbe permesso loro di pagare il debito contratto per il viaggio e di mandare una parte dei soldi alle famiglie. Ma già durante il percorso dalla Nigeria alla Libia diventava chiaro che era tutto un terribile imbroglio. Per loro c'era un copione da recitare davanti alle autorità. Perché dopo l'arrivo con il barcone bastava dichiarare di fuggire dalla guerra per avviare le pratiche da richiedenti asilo. Una volta finite in un progetto Sprar l'obiettivo era raggiunto: un paio di anni o tre di permanenza legale sul territorio italiano e tanti soldi per il business dell'organizzazione criminale nigeriana. Per garantire alle giovani ragazze da sfruttare sulla strada la possibilità di restare in Italia senza intoppi i criminali nigeriani le facevano entrare nel sistema d'accoglienza. La banda dedita al traffico di esseri umani e allo sfruttamento della prostituzione, smantellata ieri dalla Procura antimafia di Brescia, aveva capito come mettere a frutto la richiesta di protezione internazionale e riusciva, così, a rendere inespellibili le vittime fino al termine della procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato. Una volta formalizzata la domanda di asilo l'incubo ricominciava: le vittime venivano obbligate a scappare dal centro d'accoglienza e finivano sui bordi delle strade periferiche ad adescare clienti, oppure in appartamenti presi in fitto da prestanome della banda o da fiancheggiatori in pieno centro. In tre sono riuscite a fuggire e per la gang è stata la fine. L'indagine, condotta dagli agenti della Squadra mobile di Brescia, è scattata proprio con la loro denuncia. Le angherie erano cominciate già al momento del reclutamento in Nigeria, sono continuate durante il viaggio, tra violenze fisiche, abusi sessuali e restrizioni forzate nei centri di detenzione libici, e sono arrivate al culmine in Italia. Le ragazze hanno riempito in Questura pagine e pagine di verbali. Raccolti tutti gli elementi, i magistrati antimafia hanno chiesto al gip del Tribunale di Brescia di mettere fine a quello squallido business illegale e, ieri mattina, dei sei indagati tre sono stati arrestati con le accuse di tratta di esseri umani e sfruttamento della prostituzione. Grazie alle intercettazioni telefoniche gli investigatori hanno individuato nella provincia di Brescia i due referenti in Italia (un uomo e una donna) dell'organizzazione con base stabile in Libia e Nigeria. Un'altra donna, che per conto della banda operava a Torino, è stata rintracciata e arrestata nel Mantovano, dove viveva abitualmente.Attraverso la collaborazione dello Sco, il Servizio centrale operativo della polizia di Stato, e tramite i canali di cooperazione attivati con la polizia nigeriana (che da tempo collabora con l'Italia sia per i rimpatri, sia per le inchieste sulla criminalità organizzata nigeriana in Italia), è stato identificato anche uno dei componenti del gruppo che si muoveva all'estero. Secondo gli investigatori aveva il compito di trasferire le vittime della tratta dalla Nigeria alla Libia. Era il caronte che le imbarcava per farle giungere sulle coste italiane. «L'attività d'indagine», hanno spiegato gli investigatori, «ha confermato le caratteristiche tipiche delle organizzazioni nigeriane dedite alla tratta di esseri umani finalizzate allo sfruttamento sessuale». In particolare, segno distintivo di tutte le inchieste di questo genere, è emerso il ricorso a riti magici di tipo juju, tipici della stregoneria tradizionale africana. Le minacce nei confronti dei familiari rimasti in Nigeria costringevano le vittime a versare ai loro aguzzini tra i 20.000 e i 30.000 euro. Era il riscatto, hanno raccontato le tre vittime, per affrancarsi dalla madame alla quale erano state affidate. «Questa indagine», ha detto il deputato leghista Paolo Grimoldi, segretario della Lega lombarda, «evidenzia due aspetti che confermano gli errori e le storture nella nostra macchina dell'accoglienza voluta dal centrosinistra». Una storia, quella raccontata dalle tre vittime, molto simile a quella ricostruita solo qualche mese fa in aula, sempre a Brescia, dalle vittime di un'altra madame nigeriana, Carolyn John, condannata in primo grado a dieci anni di carcere per aver sfruttato decine di ragazze che aveva sottomesso con i riti juju. Il giro in città, stimano gli investigatori, non è da sottovalutare. Gli epicentri: via Milano, via Vallecamonica, via Industriale e via Roncadelle. Negli ultimi 20 mesi tra quelle strade cittadine sono state identificate circa 200 ragazze buttate sul marciapiede. Le più numerose sono proprio le nigeriane. Per impedire la loro fuga, come ha svelato l'operazione della Squadra mobile, bastava un indumento o una ciocca di capelli da fornire allo stregone. L'altra parte del lavoro lo faceva la burocrazia. «Attraverso i meccanismi della commissione e con vari ricorsi prima del rifiuto definitivo», ha spiegato il questore di Brescia Leopoldo Laricchia, «veniva garantito un periodo abbastanza lungo per poter sfruttare le ragazze». E, così, grazie alle falle nel sistema di protezione, i due o tre anni che separavano l'arrivo in Italia dal giorno dell'espulsione diventavano un inferno.