2019-07-14
Quel che non torna nella trappola russa
Tanti punti non tornano in quello che ci raccontano. Non si sa chi ha registrato la conversazione di Gianluca Savoini, né se i cronisti dell'«Espresso» hanno assistito davvero all'incontro. E non ci sono tracce di soldi e petrolio.C'è qualche cosa che non quadra nella vicenda del Russiagate. Qualche cosa che fa sembrare la faccenda una vera e propria trappola. Cominciamo dall'inizio, ovvero dallo scorso febbraio, quando L'Espresso raccontò di un incontro a Mosca che aveva avuto per protagonisti Gianluca Savoini e presunti dignitari russi. Simone De Meo lo ha ricordato ieri sulle pagine della Verità: secondo il settimanale, nell'ottobre dello scorso anno, l'ex giornalista della Padania, da tempo molto vicino a Salvini e alla Russia, incontrò alcuni alti papaveri moscoviti. Fin qui nulla di strano, perché a volte i cronisti riescono a ricostruire riunioni avvenute in gran segreto grazie al resoconto di chi vi ha partecipato. Però L'Espresso, a febbraio, fece capire di essere stato in qualche modo presente all'appuntamento, ricostruendo nel dettaglio non solo l'atmosfera della riunione, ma anche le parole che i convenuti si scambiarono. Ovviamente nessuno fece caso a un dettaglio: ossia come fosse stato possibile che alti dignitari di Vladimir Putin avessero incontrato persone vicine a Salvini in un albergo di Mosca, per parlare di soldi e di finanziamenti segreti, senza curarsi delle orecchie indiscrete che in uno spazio aperto al pubblico avrebbero potuto ascoltare i loro colloqui. I cronisti del settimanale debenedettiano, infatti, riferirono di essere stati testimoni del momento in cui Savoini si sedette al tavolo dei partner russi e di aver trascritto il colloquio. Dunque, che cosa dobbiamo pensare? Che davvero gli emissari del Cremlino e quelli di via Bellerio si siano dati appuntamento nella hall del Metropol di Mosca, cominciando a discutere di percentuali e tangenti, senza curarsi di occhi e orecchi indiscreti e senza notare un paio di giornalisti che trascrivevano ogni parola? Possiamo davvero credere che in un divanetto o in un tavolo a fianco a quello di Savoini, due cronisti siano stati in grado di cogliere parole in russo e in inglese senza perdere un sospiro? Già a febbraio la ricostruzione era parsa poco verosimile, ma adesso lo sembra ancora di più, perché qui non ci sono due giornalisti che hanno orecchiato una conversazione a un altro tavolo: qui esiste una registrazione del colloquio, che può essere stata fatta solo dai partecipanti all'incontro o da terzi. Secondo le ricostruzioni uscite sui giornali, in un angolo del grande albergo moscovita si erano dati appuntamento in sei: tre russi e tre italiani, tra i quali Savoini e alcuni probabili mediatori per un'operazione di compravendita di petrolio che avrebbe dovuto mascherare un finanziamento alla Lega. Il gruppetto avrebbe discusso di percentuali e di tonnellate di petrolio e un microfono indiscreto avrebbe registrato. Ora, escludendo che la captazione del colloquio fosse stata disposta dalla magistratura italiana, per ovvie questioni di giurisdizione (la riunione è avvenuta a Mosca), chi ha registrato la conversazione? Uno dei presenti o qualcun altro?La domanda non è balzana, perché sia che si tratti di uno dei sei che hanno partecipato all'incontro, sia che il discorso sia stato carpito da terzi (dalla magistratura russa, da giornalisti o da altri), i profili giuridici del fatto non sono secondari. Così come non è secondario un altro aspetto, ovvero chi abbia passato la registrazione alla magistratura e poi al sito americano Buzzfeed. Già, perché se l'intercettazione non è stata fatta dai pm italiani (ipotesi poco probabile) o da quelli russi, e non è opera di uno dei sei presenti all'incontro, la registrazione rischia di essere illegale. In base alla legge introdotta dal centrosinistra nel 2017, le captazioni ambientali, se non sono fatte da persone presenti al colloquio che intendano usarle a scopo di difesa o da giornalisti che fanno un'intervista, sono un reato in quanto considerate elemento per screditare l'altrui reputazione. Dunque, torniamo alla questione principale: chi ha registrato il colloquio e, soprattutto, chi lo ha passato alla magistratura? In questa storia di tonnellate di petrolio e di montagne di soldi, finora non si sono visti né le prime né le seconde. Le navi che trasportano petrolio possono caricare fra le 50 e le 200.000 tonnellate. Dunque, per portare in Italia un carico di 3 miliardi di chilogrammi di oro nero sarebbero servite come minimo 15 petroliere. Qualcuno ha notizia di un simile viavai nei porti italiani? Senza contare che 65 milioni di dollari non si nascondono facilmente sotto il letto. Dunque, al momento, l'unico punto fermo non sono le presunte tangenti alla Lega e nemmeno il petrolio: è la registrazione spuntata all'improvviso dopo i successi della Lega.E qui torniamo all'inizio, cioè alla trappola moscovita: chi ha incastrato Savoini? Chi ha registrato il colloquio per poi passarlo prima alla Procura e poi ai giornalisti o viceversa? L'Espresso, quando a febbraio scrisse della riunione all'hotel Metropol, aveva o non aveva ascoltato la registrazione e, nel caso l'avesse ascoltata, chi gliela diede? Il settimanale, tramite i suoi giornalisti, dice di aver avuto fonti affidabili che anticiparono l'incontro. Ma la gola profonda era italiana o straniera? Ed è la stessa fonte che ha provveduto alla registrazione oppure no? Insomma, più ci si addentra in questa storia di oro nero e più si fa fatica a orientarsi nel buio delle ricostruzioni. Una cosa ci pare evidente: Savoini è un tipo finito in un gioco più grande di lui. Forse sognava di fare il brasseur d'affaires per la Lega o forse credeva di fare soldi per sé all'ombra del Carroccio. Sta di fatto che è riuscito solo a fare un gran casino e adesso rischia di pagare per tutti, facendo anche la figura del fesso che all'estero si fa abbindolare. Già, perché solo a guardarlo, si capisce che l'ex giornalista della Padania non è Primo Greganti e nemmeno uno dei burocrati del Pci che sull'oro di Mosca sono campati una vita e ora fanno i moralisti.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)