2021-01-26
Tutte le strade di Arcuri portano in Cina
Andreyna Dayanna (Facebook)
Uno dei mediatori dell'affare mascherine: «Ho io i contatti con Pechino, abbiamo creato una holding». Jorge Edisson Solis San Andres rivela di aver guadagnato più di quanto finora emerso. La triangolazione con la società della figliaI prezzi coreani per le protezioni erano inferiori a quelli cinesi. L'imprenditore Pierluigi Stefani: anche Giuseppe Conte si disinteressò all'offertaLo speciale contiene due articoliCon le guance piene e le labbra tumide quando parla sembra un venditore di empanadas di quelli che si incontrano sulle spiagge della sua Manta. Eppure il cinquantenne ecuadoriano Jorge Edisson Solis San Andres è il personaggio centrale nella vicenda della maxi commessa di mascherine acquistate dalla struttura del commissario straordinario per l'emergenza Domenico Arcuri.Sino a pochi mesi fa era un imprenditore un po' traffichino che si preoccupava con alterne fortune di fare piccoli affarucci. La Guardia di finanza quando è entrata nella sua casa di Ardea, in provincia di Roma (una villetta a due piani con salone, cucina, due bagni e tre camere da letto) ha trovato un faldone rosa contenente pratiche di finanziamento chieste da cittadini stranieri. Due o tre di questi lo hanno pure denunciato sentendosi truffati. Ma nelle stesse stanze le Fiamme gialle hanno sequestrato sei folder contenenti altrettante lettere di incarico per la fornitura di mascherine intestate alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Commissario straordinario per l'emergenza Covid.Il doppio registro di Solis non deve stupire. Domenica sera, durante la trasmissione di Massimo Giletti Non è l'Arena, è venuto per la prima volta allo scoperto e si è preso il merito dell'affare su cui la Procura di Roma ha acceso i riflettori immaginando una gigantesca frode nelle pubbliche forniture. Se l'Italia ha messo in magazzino 801 milioni di mascherine a prezzi non proprio di saldo è grazie a lui.Con la giornalista si è mostrato quasi infastidito che in giro si dicesse che aveva incassato la miseria di 3,8 milioni di euro: «Questa è un'esclusiva per Giletti, Giletti sei forte!» ha proclamato scimmiottando Adriano Celentano. «Quei 3,8 milioni, che in realtà sono 5,8 milioni, mi sono arrivati dalla Wenzhou light. Allora io faccio fattura con la società di mia figlia alla Wenzhou light e la Wenzhou light paga mia figlia che lavora con me». Però in un altro passaggio Solis ci tiene a far sapere che la Guernica con l'affare non c'entra proprio niente: «Perché noi non facciamo né importazioni né esportazioni con la Guernica».In effetti dall'1 marzo 2019, fino al giorno del primo bonifico di 300.000 euro (dell'8 maggio 2020) da parte della Wenzhou light, sul conto corrente della Guernica erano entrati solo 4.194,53 euro e la transazione più alta era stata di 500 euro; l'ultimo pagamento di 18 euro era arrivato il 2 gennaio 2020. Ma da maggio su due diversi conti sono affluiti 3,8 milioni. La commercialista C. B. ha dichiarato agli investigatori: «La società risulta amministrata dalla figlia Dayanna, ma chi si occupa di tutto è il padre Jorge. Per quanto ne so la società si occupa di vendita di prodotti di canapa, ma è stata operativa fino alla fine del 2019 […] disconosco il fatto che la Guernica abbia contatti con società cinesi e che si sia occupata di dispositivi di protezione individuali». Ma se la Guernica è questa, con che società è stato fatto l'affare Solis? Il neo milionario si impettisce: «Io lavoro per la Cina. Abbiamo creato una holding, la Wenzhou light… la Luokai è una figlia della mamma che è la Wenzhou che paga a tutti noi la provvigione». La giornalista gli fa notare che la figlia è stata creata in fretta e furia a cinque giorni dalla firma del contratto. Solis è spiazzante: «La Luokai […] fu creata per una questione fiscale, come succede in Italia, perché con una società piccola non puoi fatturare tanto. È normale […] perché avevamo un appalto grande». Un gioco delle tre carte su cui sembra che nessuno abbia fatto controlli. E così a questa strana multinazionale della mascherina sembra che siano arrivate decine e decine di milioni di euro di commissioni. A giudizio di Solis, meritatissimi. I 59 milioni all'ingegnere Andrea Vincenzo Tommasi? «È il più forte nella logistica. Lui è la persona a cui abbiamo dato più provvigioni». Anche se sotto sotto, pure in questo caso, Solis sembra volersi prendere il merito: «Ok il contatto con Tommasi sono io. Io sono el l'uomo della mascherina». Prova a sminuire anche il ruolo di Mario Benotti, il giornalista Rai in aspettativa che conosceva direttamente Arcuri: «Allora, no, questa storia che il dottor Benotti ha messo (in contatto, ndr) con il dottor Arcuri è una bugia» giura Solis, forse pensando di fare un favore al socio d'affari, il quale, però, da tempo rivendica di essere stato messo in pista dal commissario in persona. Continua Solis: «Io con il gruppo mio abbiamo detto: “Al dottor Benotti dobbiamo dare una provvigione per il lavoro che… si è impegnato… non ha mai chiesto un euro niente». In realtà nell'ufficio di Benotti i finanzieri hanno trovato un documento intitolato «fee agreement» intestato alla Microproducts di Benotti, risalente al 15 marzo 2020, oltre a 34 fatture emesse tra il 6 aprile e il 13 luglio per un importo complessivo di 12 milioni di euro. Messo alle strette, Solis giustifica il pagamento in un modo che quasi commuove: «Allora se la torta è grande, una fetta di torta è normale che ogni persona che sta nel gruppo […] Il dottor Benotti mi ha contactato per aiutare l'Italia, lui mi ha detto guarda adesso c'è molta crisi. Sta tutto registrato in Whatsapp che la Finanza ha… lui mi ha messo in contatto… il dottor Benotti ha messo la faccia per l'Italia, perché quando nessuno voleva dar credito all'Italia ha detto: “Aiutami, voi siete le uniche persone che mi possono aiutare, io garantisco per l'Italia"». Sembra di udire l'inno di Mameli sullo sfondo. «Lui ha comunicato no ad Arcuri, ha comunicato alla Protezione civile che aveva trovato a Jorge Solis e ad Andrea Tommasi». E uno dei più stretti collaboratori del commissario, Antonio Fabbrocini si sarebbe fatto vivo: «Sono di Invitalia. Io voglio che lei aiuti l'Italia. Io garantisco che la mia banca paga». A quel punto Solis avrebbe scomodato le sue conoscenze. A partire da un cinese con residenza nell'italianissimo e popolarissimo quartiere romano del Quadraro, Zhongkai Cai. «Io sono quello con i contatti con la Cina… venti anni insomma… siamo amici siamo un gruppo de cinesi, sono pure cristiani, conosciamo moglie figli, tutti» scandisce Jorge, detto Giorgio. Certo non è facile immaginare questa comunità cino-ecuadoriana-cristiana che fa affari miliardari con Arcuri, ma cerchiamo di non essere provinciali e procediamo oltre. «Io lavoro per la Cina, io lavoro per il signor Ho, per la Wenzhou light, come si chiama la società. Il signor Ho è il direttore generale di tutte le società. A me, a tutti noi ci ha pagato la Wenzhou light». Quando compulsiamo le visure delle ditte di import export che hanno importato le mascherine troviamo un Ho Pan Chiu: è il rappresentante legale della Shanghai Prince international da cui sembrano dipendere, in uno schema di scatole rigorosamente cinesi, la Wenzhou light, la Wenzhou Moon-Ray e la Luokai trade.Il rappresentante legale della Wenzhou light è, invece, Gao Wu. Nelle mail scambiate tra Solis e Cai, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, l'ecuadoriano annunciava fantasmagoriche commissioni.A voler credere a quei messaggi le provvigioni intascate dai mediatori non sarebbero di 72 milioni, pari al 5,76 per cento del valore delle forniture, ma ammonterebbero ad almeno 203 milioni, ovvero il 16,24 per cento del costo della commessa. L'articolo 1755, codice civile stabilisce che il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l'affare è concluso per effetto del suo intervento, e il compenso del mediatore si aggira intorno al 5%. Un guadagno del 20% pertiene all'attività di impresa. E dal 2020, forse, anche a chi fa il lobbista con lo Stato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-torta-e-grande-una-fetta-a-tutti-lecuadoriano-incastra-i-soci-in-tv-2650134029.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-proposta-da-seul-per-risparmiare-centinaia-di-milioni-snobbata-da-arcuri" data-post-id="2650134029" data-published-at="1611614163" data-use-pagination="False"> «La proposta da Seul per risparmiare centinaia di milioni snobbata da Arcuri» Emergono nuovi particolari sul sistema di fornitura di mascherine cinesi per l'emergenza Covid 19 e ancora una volta si scopre che l'operato del commissario Domenico Arcuri non è proprio trasparente e tantomeno strategico. «L'Italia non ha risparmiato sulle mascherine», ha dichiarato l'imprenditore Pierluigi Stefani, a Non è l'Arena. I dispositivi Ffp2 si potevano comprare a circa un terzo di quanto speso, acquistandoli da un'azienda della Corea del Sud, ma l'Italia ha preferito le più costose mascherine cinesi. Durante il programma televisivo il manager, attivo nel business degli eventi musicali e con sede anche a Seul, ha spiegato che «ai primi di marzo, da un'azienda primaria coreana è arrivata una proposta dedicata a enti e istituzioni italiane, non privati, per la fornitura di mascherine ffp2 certificate a 7 centesimi l'una (contro i 2,20 euro delle cinesi, ndr) con una consegna garantita entro 8 mesi dalla proposta di 100 milioni di mascherine». Il numero era comunque indicativo, «potevano essere di meno o di più, bastava che lo chiedessero», ha spiegato Stefani. I numeri sono noti. La cinese Wenzhou Moon-Ray faceva pagare 2,20 euro ogni mascherina Ffp2. Per la fornitura di 10 milioni di mascherine, l'Italia paga 22 milioni di euro. Stefani, in Corea, ha molti amici che, data l'emergenza, si rendono disponibili a creare dei contatti per la fornitura di mascherine Ffp2. Una primaria azienda è in grado di fornire lo stesso identico prodotto cinese a 0,70 euro. Considerando che si era a marzo del 2020, quindi a inizio pandemia, l'imprenditore si è subito attivato informando i contatti che aveva: la Protezione civile, di cui è commissario straordinario Arcuri, Assolombarda, Regione Toscana, Regione Campania, il senatore Massimo Mallegni. La proposta aveva tutte le carte in regola per essere una buona opportunità a un costo decisamente più contenuto. «Io non sono un venditore né di saponette né di mascherine», precisa Stefani, «mi sono solo reso disponibile fornendo il numero di telefono di chi contattare e dato disponibilità per eventuale supporto con l'inglese». Quindi, da normale cittadino si è messo a disposizione senza nessun altro fine, anche perché, per una storia personale, è grato al sistema sanitario. Ha cercato tutti, ha bussato a tutte le porte, ma nessuno ha risposto. «Mi aspettavo che qualcuno chiamasse l'ambasciata italiana a Seul e, attraverso l'ambasciata, si informasse sull'azienda e prendesse un aereo per fare un contratto». Niente di stratosferico. In piena pandemia, la proposta di recuperare in tempi brevi dei dispositivi di protezione certificati a prezzi tre volte inferiori di altre offerte, in un Paese normale, avrebbe suscitato almeno un minimo interesse. Insospettito dal silenzio delle istituzioni, il manager si è prodigato a verificare che l'informazione fosse arrivata. Quando ha chiesto notizie ad Assolombarda, pensando che fosse impossibile che non interessasse a nessuno, l'associazione ha assicurato che «la proposta è stata inoltrata a Dipartimento della protezione civile», ma è tutto in mano al commissario Arcuri «che però decidere liberamente, non è tenuto a dare riscontro». Inascoltato è stato anche il senatore Mallegni che, avuta l'informazione, «ha scritto a Conte, Borrelli, a tutti», ricorda il manager, ma niente da fare. Lo stesso senatore, chiamando in trasmissione conferma l'incredibile disinteresse delle istituzioni ad avere mascherine a prezzi più bassi. «La storia è particolarmente preoccupante», ha dichiarato Mallegni. «Quando Stefani mi ha segnalato la questione delle mascherine, in un tempo in cui non si trovavano, diligentemente, da senatore della Repubblica, ho preso la carta intestata del Senato e ho scritto al presidente del Consiglio, nella sua mail privata, ho scritto al capo della Protezione civile, ho scritto al commissario Arcuri non una non due, ma più di una mail per segnalare la questione». Il risultato? «Non mi hanno mai risposto», ma il commissario Arcuri «mi ha telefonato personalmente», ricorda il senatore. Nel contenuto della telefonata c'è l'essenza di questa gestione. Di fronte alla possibilità di avere in un momento di estrema necessità un accesso rapido, diretto a dei dispositivi che costavano un terzo di quelli poi acquistati, Arcuri, come dice il senatore Mallegni si è giustificato affermando che «i tecnici della sua struttura hanno ritenuto l'offerta non particolarmente vantaggiosa e che avrebbero guardato altrove». Un altrove che, oltre a far pagare la stessa mascherina il triplo allo Stato - quindi ai cittadini - avrebbe fatto intascare oltre 200 milioni di provvigioni a soggetti che pretendono di farci credere di aver fatto risparmiare all'Italia. Una storia che non sta in piedi, ma del resto non ci si può aspettare di meglio da un commissario investito in pompa magna da un governo che perde i pezzi. Proprio un esempio di democrazia e trasparenza, da parte del governo Conte, di dare a una sola persona, non solo la possibilità di decidere liberamente, ma di non dover rispondere, su scelte che interessano la salute pubblica.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)