2018-12-18
La tassa sulle auto riappare e colpisce i Suv
L'imposta è certa per vetture di grossa cilindrata, ma potrebbe riguardare pure veicoli con emissioni superiori a 155 grammi, come la 500 L. Confermati i tagli alle pensioni d'oro e la mancata indicizzazione degli assegni. Alle aziende contributi Inail ridotti del 30%.Commissione Ue, discussione slittata: «È troppo presto». Ma la procedura d'infrazione incombe.Lo speciale contiene due articoli.Nonostante le dichiarazioni di Matteo Salvini e gli emendamenti a firma leghista, l'ecotassa non scompare. Resta in manovra, stando alle dichiarazioni del leader grillino, Luigi Di Maio, e finirà con il colpire i Suv e le auto di grossa cilindrata. Al tempo stesso sarà previsto un bonus per chi acquista macchine con basse emissioni, uno sconto che arriverà fino a 4.000 euro (dovrebbe essere abbassato il tetto massimo inizialmente previsto in 6.000 euro) per le meno inquinanti, quelle con emissioni vicine allo zero, prevalentemente ibride ed elettriche. L'intenzione è anche quella di aumentare l'installazione delle colonnine per la ricarica di auto elettriche, infrastruttura fondamentale perché proprio l'assenza di una rete di ricarica veloce è stato finora uno dei maggiori limiti alla loro diffusione. In pratica stimolare il piano di lancio previsto dal numero uno dell'Enel, Francesco Starace. Al momento i condizionali restano d'obbligo. Non tanto sulla nuova tassa che è confermata (la Lega ieri non è insorta), ma sulle modalità di applicazione. Secondo le indiscrezioni circolate ieri, la soglia di caduta tra il bonus e il malus resterebbe sempre la quota di emissioni. Da 110 grammi di CO2 per chilometro si passerebbe a 155. Il che non indica in alcun modo il prezzo e il valore dell'auto acquistata nel concessionario. Al contrario eleva semplicemente il livello di emissioni. Con tale criterio la Fiat 500 L 1.400 16 valvole, per esempio, pagherebbe il malus. Così come accadrebbe ad alcuni modelli della Giuletta e pure del Suv della Nissan Qashqai. Prezzi che superano i 20.000 euro, ma lungi dall'essere da nababbi. Non a caso contro la nuova misura insorgono le associazioni dei produttori di auto e dei concessionari. «La nuova tassa ricorda il superbollo, non ha effetti sulla riduzione dell'inquinamento, crea un ammanco nel bilancio dello Stato e impatterà sull'occupazione del Paese», affermano Anfia, Federauto e Unrae, che chiedono al governo «di eliminare dalla manovra di bilancio di ogni ulteriore gravame fiscale a carico degli automobilisti» e di rinviare tutto al 2020. Le associazioni delle case automobilistiche sostengono che con queste misure, le entrate dello Stato, che per i veicoli venduti nel 2017 erano state di 9,4 miliardi (Iva e imposte accessorie), potrebbero scendere anziché salire. Non commenta per ora Fca che nei giorni scorsi ha minacciato di rivedere il piano industriale da 5 miliardi annunciato per gli stabilimenti italiani.Nella stesura approvata alla Camera le misure di bonus e malus si coprirebbero a vicenda, con incassi della tassa stimati in 300 milioni di euro nel 2019 (e di poco superiori negli anni successivi) da destinare agli incentivi per elettriche, ibride o poco inquinanti. Si legge che il bonus sarà suddiviso in tre fasce. Avrà uno sconto di 1.500 euro chi comprerà auto che emettono tra 70 e 90 grammi di CO2 al chilometro, ad esempio la Skoda Citigo, mentre il bonus sarà di 3.000 euro per le vetture con emissioni tra 20 e 70 grammi al chilometro, come l'Audi A3 Etron o la Toyota Yaris 1.5 hybrid. Il massimo incentivo riguarda i modelli con emissioni tra 0 e 20 grammi al chilometro: la Citroen C0, la Renault Nose o la Volkswagen egolf. Però il testo non è definitivo e potrebbe oltre a riservare brutte sorprese anche lasciare scoperte aree di budget, tanto da dover ricorrere a clausole di salvaguardia. La partita in ogni caso dovrebbe essere ancora aperta, almeno nella definizione delle auto penalizzate. Stesso discorso per i pensionati cosiddetti d'oro. Coloro che incassano più di 90.000 euro lordi annui, (circa 4.500 netti al mese) subiranno una decurtazione della parte che eccede alla soglia compresa tra il 10 e il 40%. Lo scaglione più severo riguarda i possessori di assegni superiori ai 500.000 euro annui. È in corso una trattativa con la Lega per innalzare a 100.000 la soglia minima per il taglio, in ogni caso l'intervento coprirebbe le spese di Opzione donna (l'incentivo all'uscita dal mondo del lavoro) anche per i prossimi tre anni. Non si capisce come i 5 stelle anche ieri abbiano insistito sulla cifra di 1 miliardo di euro, che a detta del Movimento finirebbe nel budget da destinare alle pensioni minime. Il risparmio dall'intervento sulle pensioni d'oro difficilmente supererà i 250 milioni di euro al netto delle imposte, per quadruplicare la cifra è facile immaginare a quale soglia di pensione si debba scendere. Tanto più che il governo ha confermato quanto più volte la Verità ha riportato, cioè che dal 2019 ci sarà pure un blocco dell'indicizzazione degli assegni, a partire dai 1.500 euro lordi mensili. La strada verso il reddito di cittadinanza è irta e piena di cure dimagranti. Due elementi positivi: confermato il taglio del 30% dei contributi Inail e il saldo stralcio per le cartelle esattoriali.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-tassa-sulle-auto-riappare-e-colpisce-i-suv-2623679004.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-commissione-si-riunisce-domani-la-legge-di-bilancio-non-e-in-agenda" data-post-id="2623679004" data-published-at="1758065686" data-use-pagination="False"> La Commissione si riunisce domani, la legge di bilancio non è in agenda Tutto aperto e situazione veramente imprevedibile tra Roma e Bruxelles. Quando sembrava che tirasse aria di intesa, come una doccia fredda ieri sera la riunione dei capi di gabinetto della Commissione Ue, convocata per preparare la riunione in programma domani, ha fatto sapere che «il negoziato continua ed è troppo presto per sapere che cosa succederà». L'ordine del giorno potrebbe essere modificato anche all'ultimo momento dal presidente Jean-Claude Juncker, ma questa ipotesi sembra molto improbabile. Sono dunque possibili due scenari opposti. Il primo, favorevole all'Italia, vedrebbe un sostanziale arretramento della Commissione. Dopo il vertice dell'altra notte a Palazzo Chigi, il governo ha trasmesso a Bruxelles uno schema che conferma il deficit al 2,04%. Ieri fonti del Mef hanno parlato di ulteriori colloqui telefonici tra il ministro dell'wconomia Giovanni Tria e i commissari Ue Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis, con l'obiettivo di «finalizzare l'accordo». E per la prima volta, contrariamente a un copione consolidato da tre mesi, da Bruxelles non erano giunte - in prima battuta - dichiarazioni incendiarie. Anzi: gran silenzio di Moscovici e Dombrovskis, e a metà giornata perfino una nota distensiva di uno dei portavoce della Commissione, Margaritis Schinas: «I commissari sono in contatto con il ministro Tria. La Commissione deciderà i prossimi passi sulla base dei risultati di questo dialogo. Il lavoro continua a tutti i livelli e non diamo dettagli». È evidente che, se così fosse, l'ultima manche della partita sarebbe favorevole per l'Italia per tre ragioni. Primo: il deficit resterebbe quello comunicato da Giuseppe Conte nel weekend. Secondo: quota 100 partirebbe secondo lo stanziamento corretto ormai da diverse settimane (leggermente inferiore a 5 miliardi). Terzo: la limatura sul reddito di cittadinanza sarebbe solo quella che è stata annunciata dalla Verità da ben due mesi, cioè un mero slittamento temporale (inizio ad aprile) e un conseguente minor esborso (6 miliardi circa, più 1 per i centri per l'impiego, invece dei 9 inizialmente previsti). Morale: al di là delle diverse letture possibili e indipendentemente dai giudizi politici sulle singole misure, se questa ipotesi risultasse confermata ci sembrerebbe di poter concludere che Bruxelles, dopo aver chiuso due occhi sulla Francia, si sarebbe persuasa di essere obbligata a chiuderne almeno uno pure sull'Italia. Si svelerebbe dunque il carattere tutto politico, cioè discrezionale e arbitrario, delle regole e dei parametri europei: presentati come «sacri» nei giorni pari, ma liberamente interpretabili nei giorni dispari. Non un figurone per la Commissione, insomma. Dopo la riunione dei capi di gabinetto della Commissione, va tuttavia preso in considerazione anche un altro scenario ben diverso, quello preferito dai «poliziotti cattivi» a Bruxelles, e pure auspicato dalle opposizioni, preda ieri di nuove tentazioni anti italiane. Su questo fronte, si fa osservare che il deficit strutturale per il 2019 aumenterebbe (diversamente da quello nominale), che il rapporto deficit/Pil degli anni successivi non sarebbe modificato, allontanando così il pareggio di bilancio, e che non ci sarebbe una discesa dello stock di debito. Senza dire che il rallentamento economico e il presumibile minor aumento del Pil renderebbe tutto più difficile. Su questa base, la procedura contro l'Italia potrebbe - anzi dovrebbe - essere aperta. Se Bruxelles decidesse in questo senso, si tratterebbe davvero di un gesto da piromani. Da giorni i rendimenti dei titoli pubblici italiani (quindi il costo del finanziamento per lo Stato) sono in discesa e la Borsa (tranne ieri) è in risalita, con uno spread più stabilizzato. Perché allora mettere mano a fiammiferi e taniche di benzina? Sarebbe difficile per la Commissione dare la colpa ad altri di un eventuale terremoto sui mercati, a quel punto, o aggrapparsi a uno 0,06% di differenza per giustificare la propria impuntatura contro i gialloblù. Di qui l'avvertimento di ieri sera di Matteo Salvini: «Mi auguro che a Bruxelles ci sia buonsenso e non figli e figliastri: all'Italia contano anche i peli del naso, e alla Francia di Emmanuel Macron fanno fare quel che gli pare. Mi auguro che la partita sia chiusa. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare: se ci chiedono di tagliare ancora, diciamo no. Basta». Sta di fatto che, in attesa dell'auspicata stretta di mano finale con gli uomini di Bruxelles, ieri è slittata la commissione bilancio del Senato, che tornerà a lavorare oggi, mentre l'approdo in Aula della manovra potrebbe slittare a venerdì.