
Dal Figaro al Financial Timesi tutti i grandi giornali si sono accorti che a Bruxelles, col nuovo governo, la musica è cambiata. È la dimostrazione che durante i vertici Ue non è obbligatorio dire sempre «signorsì» e piegarsi ai diktat di Francia e Germania.Tutti i principali giornali europei - chi con realismo, chi con una punta di ammirazione, chi con un retrogusto di sarcasmo - hanno dovuto riconoscere la centralità della posizione italiana al vertice di Bruxelles. Ha cominciato l'altra sera, a vertice appena concluso, l'edizione online del francese Figaro («Italia e Austria nuovi capofila in Europa»). Raccogliendo indiscrezioni da fonti diplomatiche, il Financial Times è andato oltre: «Conte ha usato tattiche procedurali di blocco, e questa scommessa ha messo a dura prova la pazienza degli altri leader». Senza nominare Conte, il premier bulgaro Borisov ha aggiunto: «Abbiamo visto cosa accade quando qualcuno prova a porre veti su tutto». Stessa musica sul Telegraph: «Il primo ministro italiano Conte ha messo in campo una modalità combattiva, minacciando di bloccare il comunicato finale del summit». Versione confermata dal Times: «Il governo italiano ha ripetutamente minacciato di porre il veto a un'intesa complessiva». E ancora, in questo caso dando voce a un anonimo consigliere di un altro primo ministro: «Il comportamento degli italiani è stato una disgrazia, e l'Ue non potrà funzionare se vanno avanti così».Ora, che qualcuno si sia irritato è perfino una buona notizia: si sono finalmente accorti della presenza italiana. Non è vero che ai vertici Ue bisogna solo dire «signorsì». Non è vero che occorre sempre e comunque allinearsi ai diktat francotedeschi. È invece possibile minacciare un veto, costringere tutti a una trattativa serrata, mettersi al centro del ring in modo positivo. Troppe volte, negli anni passati, l'Italia era stata sì al centro delle discussioni, ma nei panni del grande imputato: per le banche, per il debito, per le manovre in deficit. Stavolta, e questo è un indubbio merito di governo e maggioranza, siamo stati al centro del dibattito come attore positivo, come protagonista che pone questioni e vuole siano risolte. Ma, anche al di là dello specifico italiano, il fatto che basti un po' di durezza da parte di un nuovo arrivato per creare panico a Bruxelles, dovrebbe indurre gli eurolirici a riflettere sulla fragilità, per non dire sull'inconsistenza, dell'intero edificio europeo, che ci avevano descritto per anni come una casa antisismica. La verità (troppo a lungo negata dagli euroentusiasti) è che le regole, le procedure, perfino l'architettura istituzionale dell'Unione Europea, sono state costruite pensando che avremmo sempre potuto godere di bel tempo: nessuna grave crisi, bonaccia perenne, e accordo unanime, senza rompiscatole a porre problemi all'asse francotedesco.Ora, al contrario, alla prima tempesta, scopriamo che il re (a Bruxelles) è nudo. E che quelle regole, quelle procedure, quell'architettura, non sono in grado di reggere. Per carità, va riconosciuto: la crisi dell'immigrazione è una sfida enorme, un problema epocale. Ma da anni i leader europei hanno fallito perfino nel fare in tempo la cosa più elementare: una chiara distinzione tra rifugiati e migranti economici, con procedure chiare e sicure. Eppure, a ben vedere, anche quando si è presentato un problema di dimensione molto inferiore, l'effetto di panico è stato lo stesso. Dopo otto anni, ad esempio, si è appena formalmente chiusa (ma con costi elevatissimi per Atene) la crisi greca. Però occorrerà dire che quella vicenda investiva appena una percentuale minima del Pil europeo (poco più o poco meno dell'1%). Ciononostante, anche dinanzi a un ostacolo così limitato, prima il costo dell'inazione europea, e poi il costo di molti inefficaci e dannosi cerotti, hanno perfino reso le cose peggiori.Ecco perché questa Ue non funziona più. La buona notizia della due giorni di Bruxelles è che (su tutto) i piani di ulteriore centralizzazione sono stati messi in archivio: a partire dalla sciagurata ipotesi (caldeggiata in particolare da Macron) del ministro delle Finanze unico, che avrebbe imposto un vero e proprio pilota automatico economico e finanziario a 27 paesi, dalla Finlandia al Portogallo, svuotando ogni margine di manovra per parlamenti e governi nazionali. È venuto il momento, dunque, per una svolta antiaccentratrice, antisuper Stato.Un'antica regola del buon senso dice che, se c'è un'enorme distanza tra i desideri di alcuni (da una parte) e la realtà (dall'altra), puoi trovarti di fronte a due tipi di leader politici: quelli pragmatici cercano di cambiare le loro decisioni, quelli ossessionati dall'ideologia cercano di cambiare la realtà. Questo è ciò che è accaduto in Europa per troppo tempo: per molti leader a Bruxelles, l'Unione Europea è divenuta un fine in se stessa, a dispetto della realtà. Questo castello sta crollando, adesso. Ora, tocca a questi stessi leader scegliere se insistere in modo ossessivo con il loro mantra («ci vuole più Europa»), o se invece accettare l'evidenza: occorre un'Europa che faccia meno cose, che le faccia meglio, e che su tutto il resto riconosca e accetti le diversità.
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