
Solo adesso Pedro Sánchez propone all'Ong iberica di fare rotta verso Algeciras. Il comandante si impunta: «Non è possibile, i migranti devono scendere a terra subito». E l'imbarcazione chiede l'ingresso urgente a Lampedusa. Matteo Salvini: «Incredibile e inaccettabile».L'ennesima puntata del melodramma in alto mare, a più voci dissonanti e con protagonisti 107 migranti che nessuno vuole, dimostra come il premier spagnolo Pedro Sánchez stia gestendo la vicenda Open arms per il suo unico tornaconto politico. Dopo 17 giorni, ieri il presidente del governo facente funzioni (in attesa di probabili nuove elezioni a settembre) si è risvegliato dal vergognoso letargo e ha twittato che sì, la Spagna è pronta ad accogliere la Ong che batte bandiera iberica perché il Paese «sempre dà risposte di fonte alle emergenze umanitarie». Ha indicato il porto di Algeciras, in provincia di Cadice (Andalusia), come approdo per l'imbarcazione ferma al largo di Lampedusa. Óscar Camps, il fondatore della organizzazione non governativa ha detto no, indifferente al comunicato con cui la Moncloa rispondeva dopo settimane anche ai suoi appelli di intervenire nell'emergenza Open arms. «L'inconcepibile risposta delle autorità italiane, e nel concreto del suo ministro dell'Interno Matteo Salvini, di chiudere tutti i porti e le difficoltà espresse da altri Paesi del Mediterraneo centrale hanno indotto la Spagna a essere nuovamente protagonista di una risposta umanitaria», si leggeva nel documento ufficiale del governo socialista. Poche righe, autocelebrative della funzione spagnola svolta nei salvataggi in alto mare, a partire dal porto di Valencia offerto all'Aquarius nel giugno dello scorso anno, in realtà operazione puramente mediatica per l'allora neonato governo di Sánchez. La Spagna rioffre Algeciras, come accadde nell'agosto 2018 con gli 87 migranti di Open arms che vagavano per il Mediterraneo, ma la Ong ha rifiutato. «Dopo 26 giorni di missione e 17 giorni di attesa», con oggi 18, Camps non vuole fare 5 giorni di navigazione per raggiungere il porto all'estremo Sud dell'Andalusia. Anzi, la nave ha chiesto l'ingresso urgente a Lampedusa per problemi psicofisici dei passeggeri. Pensate che abbia a cuore le condizioni di salute dei migranti? A parte il fatto che nessuno sta male, così come non erano in pericolo di vita i 13 naufraghi fatti sbarcare nei giorni scorsi «per motivi medici» e di cui uno solo soffriva di otite, secondo il responsabile del poliambulatorio di Lampedusa, la verità è che il catalano di Open arms ha ben altre preoccupazioni. In Spagna non vuole tornare perché ad aspettarlo c'è una multa da 300.000 fino a 901.000 euro, per aver trasgredito l'ordine del governo spagnolo di non salvare i migranti. La somma sarà riscossa quando la nave arriverà in un porto iberico, dal quale non potrà ripartire. Addio, allora, operazioni mediatiche applaudite anche da personaggi dello spettacolo come Richard Gere, Antonio Banderas, Javier Bardem oltre che dalla paladina della Ong, la «sindachessa» di Barcellona Ada Colau che ha nuovamente attaccato il ministro Salvini accusandolo di assenza di umanità e di razzismo. Salvini le aveva ricordato che se Barcellona avesse accolto la Ong, in due settimane Open arms sarebbe andata e tornata un paio di volte. Óscar Camps preferisce dunque lasciare i profughi a bordo e risponde picche al premier Sánchez. Anche in Spagna non è stata ben accolta la mossa del leader socialista: la critica più dura è arrivata dal governatore dell'Andalusia Juan Manuel Moreno, che lo scorso dicembre aveva messo fine a 37 anni di egemonia del Psoe e oggi amministra la Regione autonoma assieme a Ciudadanos, con l'appoggio del partito nazionalista Vox, che ottenne quasi l'11,5% dei voti. Il presidente andaluso ha risposto al premier con un tweet, affermando che la sua «è una Regione solidale e che accoglie, ma ha anche dignità. Pedro Sánchez è tornato a disprezzare l'Andalusia offrendo il porto di Algeciras a Open arms senza chiederlo alla Regione autonoma. Basta colpi bassi, pretendiamo lealtà istituzionale, coordinazione e rispetto». Sullo stesso tono la reazione del segretario territoriale del Partito popolare, Antonio González Terol, che ha dichiarato: «La politica sull'immigrazione non può essere sdoganata con un tweet da Doñana», alludendo al parco naturale dove si trova la finca Las Marismillas, luogo di villeggiatura di Sánchez. Il premier socialista passa sopra all'autonomia andalusa certo come ritorsione per il tonfo alle amministrative del dicembre 2018, quando la Regione rossa passò nelle mani del primo presidente non socialista dopo quasi 37 anni. Terol ha anche dato voce a un interrogativo che tormenta molti spagnoli: «Si accoglieranno tutte le Open arms che vorranno sbarcare sulle nostre coste?», ha chiesto il segretario del Pp, mostrando una preoccupazione non diversa dal nostro ministro dell'Interno. Sulla gestione dell'immigrazione in Spagna si levano da più parti voci allarmate. L'associazione per i diritti civili dell'Andalusia nel suo rapporto 2019 parla di almeno 1.064 persone che nel 2018 persero la vita cercando di raggiungere il territorio spagnolo. Dei 64.120 migranti che giunsero in Spagna lo scorso anno, 57.537 arrivarono via mare. Il territorio iberico fu utilizzato solo come transito: il 62% degli arrivi lo scorso anno era di persone di nazionalità subsahariana, ma nessuna risulta residente in Spagna. Non ci sono politiche serie per i minori, che rappresentano l'11% degli arrivi. Lo scorso anno il governo, che ha chiuso i porti spagnoli, stanziò 40 milioni di euro per i governi locali disposti a occuparsi dei mena, acronimo di minori stranieri non accompagnati. Nel rapporto si legge che «solo l'1,9% delle regioni autonome si mostrò disposto ad accoglierli». Vogliono più soldi per occuparsi di emigranti minorenni, viste le problematiche che comportano e la penuria di centri abilitati. Ieri pomeriggio Salvamento marítimo, l'organizzazione di soccorso e sicurezza in mare, dopo il no di Camps ha ordinato a Open arms di far rotta su Algeciras. Intanto la Francia si è detta disposta ad accogliere 40 degli stranieri che sono a bordo. Il tormentone d'agosto sui migranti non accenna a finire.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Ansa)
Un tempo la sinistra invocava le dimissioni (Leone) e l’impeachment (Cossiga) dei presidenti. Poi, volendo blindarsi nel «deep State», ne ha fatto dei numi tutelari. La verità è che anche loro agiscono da politici.
Ci voleva La Verità per ricordare che nessun potere è asettico. Nemmeno quello del Quirinale, che, da quando è espressione dell’area politico-culturale della sinistra, pare trasfigurato in vesti candide sul Tabor. Il caso Garofani segnala che un’autorità, compresa quella che si presenta sotto l’aura della sterilità, è invece sempre manifestazione di una volontà, di un interesse, di un’idea. Dietro l’arbitro, c’è l’arbitrio. In certi casi, lo si può e lo si deve esercitare con spirito equanime.
Elly Schlein (Ansa)
Critiche all’incauto boiardo. Eppure, per «Domani» e i deputati, la vittima è Schlein.
Negli ultimi giorni abbiamo interpellato telefonicamente numerosi esponenti del centrosinistra nazionale per sondare quali fossero gli umori veri, al di là delle dichiarazioni di facciata, rispetto alle dichiarazioni pronunciate da Francesco Saverio Garofani, consigliere del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, riportate dalla Verità e alla base della nuova serie di Romanzo Quirinale. Non c’è uno solo dei protagonisti del centrosinistra che non abbia sottolineato come quelle frasi, sintetizzando, «se le poteva risparmiare», con variazioni sul tema del tipo: «Ma dico io, questi ragionamenti falli a casa tua». Non manca chi, sempre a sinistra, ammette che il caso Garofani indebolirà il Quirinale.
Vincenzo Spadafora ed Ernesto Maria Ruffini (Imagoeconomica)
L’operazione Ruffini, che Garofani sogna e forse non dispiace a Mattarella, erediterebbe il simbolo di Tabacci e incasserebbe l’adesione di Spadafora, già contiano e poi transfuga con Di Maio. Che per ora ha un’europoltrona. Però cerca un futuro politico.
Ma davvero Garofani ha parlato solo una volta? No. Francesco Saverio Garofani, il consigliere per la Difesa del presidente Mattarella, non ha parlato di politica solo una volta. Possiamo dire che solo una volta le sue parole sono uscite. Così, la sua incontenibile fede giallorossa si è avvitata all’altra grande passione, la politica, provocando il cortocircuito.
Roberta Pinotti, ministro della Difesa durante il governo Renzi (Ansa)
Per 20 anni ha avuto ruoli cruciali nello sviluppo del sistema di sicurezza spaziale. Con le imprese francesi protagoniste.
Anziché avventurarsi nello spazio alla ricerca delle competenze in tema di Difesa e sicurezza del consigliere del Colle, Francesco Saverio Garofani, viene molto più semplice restare con i piedi per terra, tornare indietro di quasi 20 anni, e spulciare quello che l’allora rappresentante dell’Ulivo diceva in commissione.Era il 21 giugno 2007 e la commissione presieduta dal poi ministro Roberta Pinotti, era neanche a dirlo la commissione Difesa. Si discuteva del programma annuale relativo al lancio di un satellite militare denominato SICRAL-1B e Garofani da bravo relatore del programma ritenne opportuno dare qualche specifica.






