2019-09-22
La società dei Narcisi genera figli impauriti
L'affettività malata delle nuove generazioni non si capisce senza guardare alla crisi della famiglia. Accusata di autoritarismo e ostacolata in ogni modo, è la cellula fondamentale che permette ai bimbi di sviluppare una personalità. Perché è gratuità pura.Che l'affettività delle nuove generazioni non sia messa benissimo lo negano in pochi. Ancora meno però sono disposti ad andare a vedere, e soprattutto denunciare, da dove vengano queste difficoltà, e magari fare qualcosa per diminuirle. Eppure non è così complicato. Ricerche condotte ormai su larga scala in tutto l'Occidente nel corso degli anni hanno individuato nella destrutturazione. La crisi della famiglia, realizzata anche con le leggi a essa dedicate negli ultimi cinquant'anni, è il risultato dell'orientamento individualista e vuotamente edonista della società occidentale e della svalutazione che in essa avviene del dono. Ma è la capacità donativa a esprimersi nello scambio famigliare: senza il dono di sé non c'è famiglia. Ai molti tra voi che si formano e lavorano nel volontariato propongo di vedere la famiglia come l'aspetto di questa vostra preziosa pratica che ha per oggetto il rapporto donna-uomo e la generazione e crescita dei bambini. Questa scelta volontaria ha però un forte costo per i nostri aspetti più egoici (ampiamente ripagato dall'arricchimento dell'intera personalità), perché ostacola l'egoismo e l'edonismo individualistico della società dell'immagine e dei consumi, mentre è invece molto nutriente per gli aspetti più profondi della persona e della società.Dobbiamo anche riconoscere che una parte della capacità creativa della famiglia, decisiva per lo sviluppo affettivo, poggia, come ogni dono all'altro, su una disponibilità al sacrificio. Un maestro della sociologia del Novecento, Georg Simmel, ricorda che: «Non solo facciamo sacrifici per ciò che amiamo, ma anche, alla rovescia, amiamo ciò per cui abbiamo fatto dei sacrifici». Il sacrificio funziona da moltiplicatore dell'amore: amiamo di più le persone e le cose per le quali ci siamo sacrificati di più. È quando l'amore per l'altra persona ci spinge a donarci nella vita che c'è famiglia, generazione disinteressata, e ciò produce energia in tutto la società.In famiglia il bambino entra nel mondo e si forma attraverso la fondamentale esperienza del legame affettivo: con la madre, che già prima l'ha accolto nel proprio corpo, e dopo la nascita lo aiuta a riconoscersi come soggetto autonomo, separato da lei; con il padre, i fratelli, i nonni, i parenti. L'incontro con i membri della famiglia nutre con l'esperienza calda e sicura dell'intimità le nuove relazioni personali del bambino, e ne fa gradualmente un essere pienamente sociale. Per questo la famiglia continua a essere la prima cellula fondativa del corpo della società. Ma è la società stessa che ha poi spesso un atteggiamento ambivalente verso la famiglia, e ciò crea disturbi nell'affettività. Da una parte la società infatti apprezza e usa le capacità creative e organizzative della famiglia, dall'altra teme però la forza dei rapporti che in essa si costituiscono: non a caso le grandi dittature del secolo scorso ebbero sempre un atteggiamento di controllo e sostanziale diffidenza verso di essa. Sull'esperienza affettiva del legame con i familiari poggia infatti l'intero sviluppo personale e sociale. È soprattutto in famiglia che all'inizio della vita sperimentiamo il rapporto con la realtà fuori di noi, che ci costituisce come soggetti umani. La famiglia fondata da un uomo e una donna è poi il vero luogo di incontro e legame tra diversi: femminile e maschile, adulti e bambini, affini ed esterni alla famiglia. È lì che avviene la prima e profonda educazione agli altri, alla scoperta dei loro sentimenti, all'alterità, alla diversità da sé. La famiglia, oggi accusata di autoritarismo perché come ogni forma che fonda identità pone delle regole (i confini), nella realtà è dunque il primo luogo di confronto con il diverso: i «grandi», gli adulti si confrontano coi piccoli, le donne con gli uomini (e viceversa), i giovani coi vecchi. Ciò è però scandaloso nella cultura del narcisismo delle società occidentali, orientate sulle gratificazioni dell'Ego, cui sono rivolte anche la maggior parte degli interventi pubblici, presentati come politica dei diritti (dei bambini, delle donne eccetera), creando così elementi di divisione. L'impegno donativo per l'altro è visto come pesante e antiquato: si formano così le associazioni tra coppie «free child», libere dai figli, in esse programmaticamente evitati. Nella società che si chiude al dono all'altro (a cominciare dal bambino) i vecchi vengono portati in ospizio, e la stessa relazione donna-uomo è sempre più malvista in quanto impegnativa. Questo processo di celebrazione di un Ego che svaluta la ricchezza dell'impegno verso l'altro indebolisce e sterilizza, naturalmente, il campo dell'affettività nel suo complesso e la stessa ricchezza della società. L'io per svilupparsi si nutre degli incontri/confronti con gli altri, diversi da sé, che la famiglia offre nell'intimità quotidiana. Nel necessario confronto con l'altro e il diverso, la famiglia è così il miglior antidoto alla patologia psicologica oggi più sviluppata e gravemente dannosa a un equilibrato sviluppo dell'affettività: il narcisismo. Il narcisismo, la fissazione sulla propria immagine e il bisogno di ricondurre tutte le relazioni all'interesse verso di sé, ha un'importante funzione di rassicurazione nella primissima infanzia, dove prepara la formazione dell'Io personale, ma in seguito porta allo sviluppo di successivi disagi. In quel periodo il narcisismo è necessario perché in essa il bimbo riceve l'attenzione della madre e del padre e in questa «passività felice» si sente amato, e potrà quindi accettare poi di distanziarsi dalla madre (con la quale è ancora in parte identificato), passaggio indispensabile allo sviluppo di un Io personale. Nella cultura del narcisismo però l'individuo viene lasciato sempre in questa «passività felice», che continua a essere vissuta non solo verso altre figure femminili ma verso tutto il resto del mondo. Il giovane narcisista rimane così nel bisogno di essere continuamente al centro dell'attenzione e approvato, e se ciò non accade cade nell'inquietudine, ansia, frustrazione e a volte aggressività. In questo modo la separazione dalla madre non viene mai completata, l'autonomia dell'Io dagli altri resta solo parziale e frammentata, e tutti gli altri diventano un prolungamento materno, che deve continuamente confermargli la sua approvazione.Non affrontando mai la prova della distanza, della solitudine, e di una conseguente ricerca autenticamente personale, l'Io rimane così dipendente dall'approvazione di qualsiasi altra persona con la quale interagisca. Il non essere approvato o amato lo ferisce a morte. L'interesse per l'altro come altro - chi sia veramente costui, che tipo di esperienze e storie ci porti - in realtà nel narcisista, tre quarti circa di noi occidentali, non c'è. E la società diventa un'associazione di Narcisi, incapaci di dono.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)