2020-11-21
La sinistra si rimangia anni di insulti al Cav
Per il Pd e gli intellò è sempre stato il «Caimano» in odore di fascismo, «pericolo» numero uno per la democrazia. Oggi però Silvio Berlusconi può essere utile ai giochi di palazzo. E chi lo ha sempre infangato, da Nicola Zingaretti a Romano Prodi, si mette in fila per lodarlo.Il premio al più veloce «neo berlusconiano», se non addirittura «berlusconiano antemarcia» spetta di diritto a Nicola Zingaretti: mesi fa, è stato lui il primo a decidere che si poteva trasformare il Belzebù nero nell'aureo San Michele arcangelo. Oggi, fingendo di aver dimenticato offese, aggressioni, ostracismi, a sinistra quasi tutti vorrebbero portare al governo Silvio Berlusconi, l'uomo che fino a ieri i più generosi in quel campo definivano amichevolmente «il Caimano». Ma è innegabile: il segretario dem è stato il primo. È da giugno che, poveretto, Zingaretti si sbraccia per cancellare anni di demonizzazione: «Quelle del leader di Fi sono parole importanti», dichiarava già cinque mesi fa, dopo un invito del Cav al «dialogo costruttivo». Ha ragione da vendere Zinga, se oggi rivendica la primogenitura del suo anomalo apprezzamento: «Lo dico da tempo che con Berlusconi bisogna aprire un dialogo», protesta, «fa bene a chiedere di combattere insieme per salvare l'Italia». E pensare che appena due mesi fa Zinga accusava il Cav di parafascismo per la scelta di un candidato alle regionali in Toscana: «Non mi aspettavo», si indignava allora, «potesse mettere in lista chi scrive “Boia chi molla" sulla mascherina».La stessa illuminazione sulla strada di Arcore turba oggi la potente inventiva di un Goffredo Bettini, ex eurodeputato del Pd e intelligenza dominante nei salotti romani che contano, il quale da qualche tempo s'è messo a proporre un esplicito rimpasto: «Occorre superare ogni prudenza o valutazione di opportunità», ha dichiarato Bettini, con alate parole, «e chiamare anche all'interno del governo le energie migliori per competenza e forza politica». Tra i «competenti e forti», insomma, l'uomo che un tempo sussurrava a Walter Veltroni pare aver deciso di collocare anche qualche esponente di Forza Italia, cioè quegli stessi che fino a ieri la sua parte politica trattava come gli squallidi lacché dell'orrido Caimano. Costoro, all'improvviso, divengono indispensabili alla maggioranza soltanto perché il Pd di Bettini, dopo 14 mesi di sconfortante convivenza governativa con l'abisso mentale dei grillini, scopre che c'è un centrodestra di «competenti». Per intenderci, Bettini è lo stesso che sosteneva che «Donald Trump è come Berlusconi», e il giudizio era tutto tranne che un complimento. È paradossale, se non ridicolo, che a tendere la mano al «competente» Berlusconi sia proprio Bettini, che è stato il grande ispiratore dell'«alleanza strutturale» tra il Pd e il M5s, il teorico del governo giallorosso che ci sta facendo affogare sotto la seconda ondata di Covid. Ma se oggi riesce a blandire il Cav perfino Romano Prodi, cioè il politico che più di ogni altro ha considerato Berlusconi il suo peggiore avversario, be', allora c'è da aspettarsi di tutto: «Per me non c'è nessun tabù», dichiara il fondatore dell'Ulivo, «anche perché la vecchiaia porta la saggezza». È vero che dopo quella frase metà del Paese è rimasto appeso alla domanda su quale fosse la «vecchiaia» cui si riferiva Prodi, se la sua o quella del Cav, ma nessuno si sarebbe mai aspettato di sentire tanta carezzevole gentilezza. Resta agli atti un indimenticabile faccia a faccia tv del 2006, dove Prodi definì il premier uscente «un ubriaco che si attacca ai lampioni». Allo stesso modo, anche Andrea Marcucci, che è capogruppo dem al Senato, oggi può serenamente affermare che «il senso istituzionale di Berlusconi in questi mesi è stato apprezzato» e quindi «ora si può pensare a un dialogo sul futuro», anche perché «le idee e i valori di una parte di Fi possono essere di grande utilità». Va detto che da mesi Marcucci va dichiarando che Berlusconi ha «un approccio che dimostra più senso dello Stato rispetto ai suoi alleati» e suggerisce a «tutte le forze d'opposizione» di «prendere esempio da lui». Resti tra noi, ma Marcucci è lo stesso che quando Berlusconi era al governo lo accusava di aver prodotto «leggi ad personam, per salvarsi e per salvare le sue aziende». Marcucci, nel pieno della clamorosa bufala mediatico giudiziaria passata alla storia come Rubygate, raccoglieva firme per cacciare il Cav da Palazzo Chigi, sostenendo fosse «privo di dignità» e che i nostri ambasciatori nel mondo «piangevano per la vergogna» di rappresentare l'Italia berlusconiana. Marcucci era arrivato perfino a denunciare in Senato l'incredibile dubbio che l'allora premier avesse nascosto «alcune tombe fenicie nel parco di villa Certosa». Allo stesso modo, oggi anche il presidente dei deputati del Pd, Graziano Delrio, scopre che l'ex nemico non è soltanto uno statista e un sincero democratico. Ma è perfino intelligente. «Abbiamo sempre detto che c'era bisogno di tutte le intelligenze possibili in un momento di emergenza», dichiara Delrio, e bacchetta i 5 stelle che si oppongono all'inclusione del Cav perché, così facendo, «peccano di presunzione». Quando era ancora sindaco di Reggio Emilia, nel 2011, Delrio agiva già in tandem con il compagno Marcucci e passava il tempo a chiedere le dimissioni di Berlusconi: «I suoi festini», proclamava nove anni fa, «sono oggetto delle chiacchiere dell'Italia da tempo. È triste, dovrebbe farsi un esame di coscienza su dove sta portando il Paese». Oggi Delrio dice: «Ci vuole uno scatto d'ascolto verso le esigenze dell'opposizione». È bello sapere abbia cambiato idea rispetto all'autunno 2013, quando fu il più inflessibile nel negare la minima possibilità a una soluzione politica che evitasse l'infamia della decadenza di Berlusconi da senatore, dopo la discussa condanna per evasione fiscale sui diritti tv. Allora lo «scatto d'ascolto» verso il leader dell'opposizione era impossibile, stabilì Delrio, in quel momento autorevole ministro. Ma allora il Cav andava eliminato. Oggi è tornato utile.