
Il Pd occupa il Senato per il ritardo e sbraita per la fiducia, strumento cui Matteo Renzi ricorreva spesso e volentieri, mentre Mario Monti sconfina nel paradossale e parla di resa a Bruxelles. La stampa si accoda e ulula: il giudizio non è sulle misure, ma su chi le adotta.Stupore, disgusto, allarme democratico al doppio malto con tanto di Pd che minaccia okkupazioni d'aula per i ritardi della manovra. La reazione dei grandi media alla manovra somiglia alla gradazione delle birre, ha qualcosa di vagamente alcolico e sta dentro la non nuova narrazione della catastrofe imminente. L'importante è esagerare, cantava Enzo Jannacci. Ed è esattamente iperbolico tendente al grottesco il presepe apparecchiato dalla stampa mainstream in collaborazione con la sinistra renziana e un tecnocrate bocconiano in loden per stroncare oggi ciò che veniva applaudito ieri e auspicato l'altroieri dall'opposizione quando era maggioranza.Il Partito democratico, che fino al marzo scorso ha governato 6 anni e non 6 minuti, grida allo scandalo per il rinnovo delle clausole di salvaguardia e alla dittatura per il salto della discussione in Commissione bilancio, con votazione diretta in aula. L'ex premier Mario Monti, evidentemente a corto di autoironia, gronda indignazione per la presunta resa a Bruxelles. E non sapendo a cosa aggrapparsi, un autorevole giornale come il Corriere della Sera s'indigna per le privatizzazioni light dell'esecutivo Movimento 5 stelle-Lega.Premesso che si poteva fare di più, che il reddito di cittadinanza rimane un incubo sociale e che le batterie di missili spread hanno raffreddato non poco gli ardori espansivi dell'esecutivo, c'è da aggiungere che la campagna d'inverno del premier Giuseppe Conte a Bruxelles si è rivelata più dignitosa di quella messa in scena da Matteo Renzi quattro e tre anni fa per evitare il procedimento d'infrazione. Ricordiamo tutti gli strepiti e i pianti, le frasi giustamente sovraniste che adesso getta contro i sovranisti: «Se restiamo fermi», diceva ad Angela Merkel fingendo, «prigionieri di regolamenti e burocrazia, l'Europa è finita». Ci fu una scena imbarazzante in piena estate, con la copertina dell'Economist che lo ritraeva come un Giamburrasca al torrone e lui che si faceva fotografare mentre gustava un gelatino di Grom. La parte da commedia dell'arte che anticipava la sua predisposizione teatrale, mosse al riso gli austeri gnomi di Bruxelles e pure i titolari di Grom, pronti a vendere appena possibile a Unilever la decantata sorbetteria italiana. Per quanto riguarda Enrico Letta e Paolo Gentiloni, ogni paragone è uno sfregio; avendo loro l'inginocchiatoio incorporato, la discussione sulle loro manovre durava come l'igiene dentale, una ventina di minuti. Quanto all'autonomia di Monti, l'argomento è ormai un genere letterario. È lucida la risposta del presidente della commissione Finanze, Alberto Bagnai: «Quello che oggi preoccupa l'Europa non è il deficit economico, ma il deficit di subalternità che questo governo ha rispetto al passato».Le contraddizioni più stupefacenti riguardano tre temi. Primo, le clausole di salvaguardia, vale a dire il temuto aumento dell'Iva a sostegno del debito. Oggi per gli economisti di area progressista quelle clausole sarebbero depressive e vergognose. Ma allora perché ieri, quando le rinnovava regolarmente (lo ha fatto per quattro anni) l'allora ministro Piercarlo Padoan che non era populista, erano considerate semplici strumenti di politica economica in divenire? Erano liquidate con la battuta: «Sono ipotesi astrali, agitarle significa allarmare i mercati per niente». Agitando e mescolando, si arriva alla seconda contraddizione, quella del deficit democratico, del voler andare avanti a colpi di maggioranza. Maurizio Martina è preoccupatissimo: «È arrivato un maxiemendamento, con scelte devastanti per la tenuta sociale e per quella economico-finanziaria del Paese, che non si può discutere». Il presidente dei senatori dem, Andrea Marcucci, considera la vicenda «un atto ostile nei confronti del Paese». Forse non ricordano le decine di volte in cui - sul Jobs act, sulla legge elettorale, perfino su temi etici - il governo Renzi pose la fiducia e nessuno di loro si spettinò. Nel dicembre 2011 Monti fece passare la sua manovra che conteneva caramelle al miele come la legge Fornero (con l'appoggio del Partito democratico e di Forza Italia) dopo un dibattito ridicolo, condizionato dal terrore dello spread a 574.La terza contraddizione riguarda le privatizzazioni mascherate. L'idea di «spostare altre quote di Eni, Enel, Leonardo e Poste in Cassa depositi e prestiti» è considerata un punto oscuro della manovra dal vicedirettore del Corriere della Sera, Federico Fubini, perché c'è il rischio «che aumenti ancora il debito». La notazione è curiosa perché quando il gioco delle tre carte (azienda pubblica venduta a banca pubblica) fu inventato e applicato da Monti per raggranellare 8 miliardi e rotti nessuno eccepì. Allora la privatizzazione finta veniva considerata dai Bocconi Boys una trovata geniale per evitare la scalata di aziende strategiche.Stupore, disgusto, allarme democratico. Anche da parte di chi si accorge che di una manovra, di una legge, di un pensiero oggi non sono importanti l'impianto e il contenuto. Ma il nome di chi esplica, firma, sostiene. Se è Renzi va bene, se è Gentiloni va benissimo. Ma se sono Giovanni Tria o Paolo Savona con dietro l'ombra dei detestati sovranisti, vergogna. Allora l'indignazione al doppio malto è d'obbligo. E questa è coerenza.
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.
Maurizio Landini (Ansa)
La Cgil proclama l’ennesima protesta di venerdì (per la manovra). Reazione ironica di Meloni e Salvini: quando cade il 12 dicembre? In realtà il sindacato ha stoppato gli incrementi alle paghe degli statali, mentre dal 2022 i rinnovi dei privati si sono velocizzati.
Sembra che al governo avessero aperto una sorta di riffa. Scavallato novembre, alcuni esponenti dell’esecutivo hanno messo in fila tutti i venerdì dell’ultimo mese dell’anno e aperto le scommesse: quando cadrà il «telefonatissimo» sciopero generale di Landini contro la manovra? Cinque, dodici e diciannove di dicembre le date segnate con un circoletto rosso. C’è chi aveva puntato sul primo fine settimana disponibile mettendo in conto che il segretario questa volta volesse fare le cose in grande: un super-ponte attaccato all’Immacolata. Pochi invece avevano messo le loro fiches sul 19, troppo vicino al Natale e all’approvazione della legge di Bilancio. La maggioranza dei partecipanti alla serratissima competizione si diceva sicura: vedrete che si organizzerà sul 12, gli manca pure la fantasia per sparigliare. Tant’è che all’annuncio di ieri, in molti anche nella maggioranza hanno stappato: evviva.
Nel riquadro in alto l'immagine dei postumi dell’aggressione subìta da Stephanie A. Nel riquadro in basso un frame del video postato su X del gambiano di 26 anni che l'ha aggredita (iStock)
L’aggressore è un gambiano con una lunga fila di precedenti, però si era visto accordare la protezione speciale per restare in Italia. I clandestini sono 50 volte più pericolosi, ma sinistra e magistrati legano le mani agli agenti.
Vittime sacrificali di criminali senza pietà o effetti collaterali della «inevitabile» migrazione di massa? In questo caso il grande abbraccio che tanto intenerisce la Cei si concretizza con un pugno, una bottigliata, un tentativo di strangolamento, qualche calcione mentre era a terra, sputi, insulti. «Mi diceva che mi avrebbe ammazzata», scrive sui social Stephanie A., modella di origini brasiliane, aggredita lunedì sera nello scompartimento di un treno regionale Trenord della linea Ponte San Pietro-Milano Garibaldi, nella zona di Arcore. La giovane ha postato gli scatti dei colpi subìti ma anche alcune foto che ritraggono l’aggressore, fondamentali per identificarlo. Il suo appello non è caduto nel vuoto.
Per la sinistra, il crimine aumenta a causa dei tagli alle forze dell’ordine. Il governo ha assunto uomini, però polizia e carabinieri hanno le mani legate. Mentre le toghe usano i guanti di velluto con facinorosi e stranieri.
Ogni giorno ha la sua rapina e la sua aggressione. La maggior parte delle quali fatte da clandestini. L’ultima è quella compiuta da uno straniero su un treno lombardo ai danni di una modella. Ma nonostante l’evidenza dei fatti c’è ancora chi si arrampica sugli specchi per negare la realtà. Non sono bastati gli ultimi dati del ministero dell’Interno, che mostrano un aumento dei reati commessi da immigrati quasi sempre senza permesso di soggiorno o addirittura con in tasca un foglio di espulsione dal Paese.




