
Esce il film di Gianni Amelio su Bettino, una esplorazione tutto sommato noiosa del lato umano dell'ex segretario socialista. Sembra una sorta di riconciliazione postuma con il vecchio nemico. L'astio verso di lui si è soltanto diretto su nuovi bersagli.Gli americani, per fare i conti con la Storia, spesso e volentieri si affidano a Hollywood. Della serie: «Ok, abbiamo sterminato i nativi americani e abbiamo confinato i superstiti nelle riserve. Adesso però esce Balla coi lupi e siamo pari, no?». Hammamet di Gianni Amelio, da oggi nelle sale, potrebbe quasi sembrare un'operazione di questo tipo, ma non funziona. Certo non ci aspettiamo che un film basti per fare i conti con l'ingombrante figura di Bettino Craxi. Ma la trepidazione con cui la pellicola è stata attesa e il clamore mediatico con cui è stata annunciata facevano sperare in qualcosa di meglio. Prima gli aspetti positivi, però. La recitazione di Pierfrancesco Favino è strabiliante. Il trucco fa molto, ma la voce, la postura, la gestualità sono davvero impressionanti. Il lavoro d'attore è allo stesso tempo sprecato - perché meritava un contorno migliore - ed eccessivo, perché alla fine l'ammaliante Favino finisce per fagocitare tutto. È onnipresente, è il sole abbagliante che sovrasta ogni cosa. Gli altri personaggi sono meteore, appena abbozzati salvo la figlia (Stefania nella realtà, Anita sullo schermo, interpretata da Livia Rossi), che paga comunque la strabordante presenza faviniana. «I nomi non si fanno perché si conoscono», ha detto Amelio a Repubblica. «Nei miei film raramente metto nomi, alcuni personaggi sono un insieme di diverse persone del partito. I nomi sono troppo ovvi e poi io ho cercato di non fare cronaca, ho tentato di alzare lo sguardo oltre la cronaca. La figlia si chiama Anita per Anita Garibaldi, perché Bettino Craxi venerava Giuseppe Garibaldi». Il fatto che Bettino occupi così tanto spazio e così tante energie, tuttavia, permette di affezionarsi alla persona e al personaggio. Ne scorgiamo i lati profondamente umani, a tratti commoventi. È affettuoso con il nipotino, un bravo nonno. Si prodiga per aiutare una famiglia tunisina in difficoltà. Si fa carico dello stralunato figlio del compagno di partito che si è suicidato perché travolto dalle inchieste. Questo Bettino ci spinge alla comprensione, ci fa vedere il lato dolce sotto il carattere spigoloso, l'arroganza mai sopita e le esplosioni di rabbia. Poi c'è, appunto, il rapporto con i figli. Bobo è quasi assente, i contrasti con il genitore sono giusto tratteggiati, mai approfonditi, e nel complesso l'uomo non ne esce benissimo. Molto più respiro, dicevamo, è concesso alla figlia. Sempre in prima linea, sempre accanto al padre. Una donna d'acciaio che pare non cedere mai. Il legame tra Bettino e Anita/Stefania è il cuore e anche la parte migliore di Hammamet. Trasuda amore, svela una corda robusta che tiene avvinti i due personaggi, nonostante le frizioni e gli strattoni. Purtroppo avrebbe meritato un esame più approfondito, e invece si perde un po', specie quando intervengono altri personaggi marginali a confondere le acque. Claudia Gerini nei panni dell'amante (forse Patrizia Caselli, forse Ania Pieroni) risulta del tutto superflua, e di nuovo è un peccato. Silvia Cohen nei panni della «moglie del presidente» è ridotta a una comparsa, o poco più. Il risultato finale, dunque, è per lo meno interlocutorio e in fondo anche un po' noioso. Non si capisce bene dove Amelio volesse andare a parare. E nell'incertezza, si affida totalmente alle magie di Favino, che però non sono sufficienti a reggere sulle spalle tutta la pellicola. Sembra che, per tutta la durata del film, il regista voglia comunicarci che sì, anche Bettino Craxi era un essere umano. Questo, però, eravamo in grado di comprenderlo da soli, senza bisogno della compassione di celluloide. La politica è quasi completamente assente, rimane sfocata sullo sfondo. L'universo socialista ci viene appena fatto annusare. Vediamo giusto un sofferente Giuseppe Cederna nei panni dell'ex operaio diventato uomo di partito, come per ribadire che il Psi ha sfasciato il socialismo. Però c'è il tempo per una sfuriata di Bettino contro Silvio Berlusconi, pure quella buttata nella sceneggiatura quasi per caso (o per punzecchiare il Cavaliere). Un bilancio dell'esperienza politica craxiana non è nemmeno tentato. Prevale una sorta di senso comune di tendenza progressista, del tipo «tutti rubavano, ma questi hanno esagerato, anche se in fondo in fondo non erano poi dei mostri». È questo atteggiamento, questa sensazione che il film suscita di soppiatto a irritare più di ogni altra cosa. Perciò viene quasi da pensare che Hammamet sia il Balla coi lupi della sinistra nei confronti del craxismo. Dopo decenni di odio feroce e acritico verso Craxi, verso i socialisti e tutti i loro eredi veri o presunti, ecco arrivare una mezza assoluzione da parte dell'intellettuale di buon cuore e di giuste idee. Poco giustizialismo, sì. Ma anche troppa pietà non richiesta verso il leader isolato e in disarmo, che sembra anelare soltanto un piatto di pasta e qualche dolcetto. Nessuna riabilitazione del nemico morto, nessun onore delle armi. Solo una strana forma di umana comprensione. «Si possono esprimere opinioni contrarie in modo non fazioso», ha spiegato ancora Amelio. «A me non interessava raccontare Bettino Craxi degli anni Ottanta, io non l'ho mai visto come una star, ma come un politico negli ultimi sei o sette mesi della sua vita. Il film descrive la lunga agonia di un uomo che ha perso il potere e va verso la morte. Il passato ritorna in questo eremo tra gli ulivi delle colline tunisine dove non si è messo in salvo ma coltiva rimorsi, rimpianti e rabbia. Un uomo macerato fino all'autodistruzione». In verità la tragedia manca quasi del tutto. Il film è sempre nel mezzo, un eterno e veltroniano «ma anche». Sul cui fondale rimane comunque un residuo di superiorità morale. L'avversario di un tempo, ferocemente odiato e violentemente infamato, a 20 anni esatti dalla morte viene congedato con un buffetto e un rimprovero. Da che pulpito, poi... Nel frattempo, gli avversari vivi continuano a essere odiati e infamati. Forse, tra un ventennio, ci toccherà un film del genere anche su qualche esponente del centrodestra e della destra di oggi (Favino nei panni dal Capitano, che ridere). L'odio di ieri, a quanto pare, non ha insegnato nulla. Ha solo cambiato bersaglio. Adesso si può «assolvere» Craxi: ci sono altri da detestare.
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Sebastien Lai, figlio di Jimmy Lai, incarcerato a Hong Kong nel 2020 (Getty Images)
Sebastien Lai, figlio del giornalista in carcere dal 2020 a Hong Kong: «Per aver difeso la democrazia, rischia l’ergastolo. Ringrazio Trump per il sostegno e l’impegno per il suo rilascio. Spero che anche il Vaticano si faccia sentire».





