2020-07-22
La sinistra contro le culle per la vita. In Italia solo 60 e sempre osteggiate
In alcune regioni non ce n'è traccia. Eppure, se un neonato viene salvato dal cassonetto, come è capitato a Bari, tutti gioiscono. Quando venne realizzata la prima un deputato del Pd fece una denuncia in tribunale.Sessanta, solo 60 culle termiche in tutto il territorio nazionale per accogliere bambini altrimenti destinati al cassonetto, sono un'altra vergognosa realtà di questo Paese dove la natalità è quasi azzerata. Senza avere la pretesa di sostituire le procedure del parto in anonimato, che permettono alla madre di non riconoscere il neonato lasciandolo in ospedale perché venga adottato, rappresentano comunque un'antica, misericordiosa soluzione per il bimbo non voluto. Consentono di salvare una vita, dopo un abbandono traumatico, quando una donna partorisce in segreto, ha una paura folle di rivolgersi a una struttura pubblica e può decidere la soppressione del figlio. Invece, suonando un campanello si apre una finestra basculante e si adagia la creatura in una morbida culla: un allarme attivato da un sensore avvertirà chi è deputato al controllo. Non è un meccanismo complicato, eppure nel Lazio ci sono solo 3 culle, così pure in Emilia Romagna; sono 5 in Piemonte, 10 in Lombardia, in Veneto 5, in Campania 2, in Puglia 3, in Sicilia sono 6. In Regioni come la Sardegna, il Friuli Venezia Giulia, la Basilicata, il Molise non c'è traccia di depositi salvavita né in ospedali, né fuori da istituti religiosi o associazioni. Poi, con la consueta ipocrisia, se un piccolo viene salvato come è successo qualche giorno fa a Bari perché dei genitori hanno per fortuna deciso, nella loro disperazione materiale o mentale, di lasciare il figlioletto in una di queste strutture posizionata davanti alla chiesa di San Giovanni Battista, tutti applaudono. Bravo il parroco, don Antonio Ruccia, che cinque anni fa aveva voluto il dispositivo salva vita, meno male che il piccolo Luigi è stato deposto al sicuro e potrà fare la gioia di nuovi genitori, intona il coro. Già, ma perché ci sono così poche culle in Italia? Forse costa troppo, questa versione moderna della Ruota degli esposti di epoca medievale, ma che per secoli è stata l'alternativa alla morte per gli infanti abbandonati fuori da strutture assistenziali? «Macché, con 6.000 euro si possono approntare senza problemi», esclama Rosa Rao, che per vent'anni è stata responsabile nazionale del progetto culle del Movimento per la vita. «Possono essere strutture semplicissime, l'importante è il collegamento con una videosorveglianza. A Palermo eravamo riusciti anche a coinvolgere il 118. Purtroppo non abbiamo mai ricevuto un contributo pubblico nazionale, nessun finanziamento statale sollecitato tante volte». La signora, ex insegnante di lettere, ricorda di aver partecipato nel 2010 a un'audizione alla commissione Igiene del Senato, dove veniva esaminato il disegno di legge «Istituzione e disciplina dei punti di accoglienza del neonato», presso i presidi ospedalieri o presso altre strutture accreditate del Servizio sanitario nazionale, presentato due anni prima dal senatore della Lega, Massimo Garavaglia. La somma prevista era di un milione di euro ogni anno, da ripartirsi tra tutti i Comuni. Spiccioli, ma non se ne fece nulla. «Già quando venne realizzata la prima culla per la vita, nel 1992 a Casale Monferrato, ci furono proteste politiche», ricorda Rosa Rao. «L'allora deputato di Rifondazione comunista, Angelo Muzio (poi passato al Pd, è deceduto nel 2017, ndr) aveva presentato un esposto perché “lo sportello" avrebbe violato vincoli urbanistici e norme sanitarie. Tre anni dopo l'esposto fu archiviato e il tribunale sentenziò che la culla rappresenta “l'extrema ratio in condizioni di assoluta ignoranza e disperazione al fine di evitare la commissione di gravi reati di cui talora tratta la cronaca quotidiana"». Se quel parere della magistratura fosse stato condiviso su tutto il territorio, forse meno ostacoli ci sarebbero alla diffusione di questi dispositivi salvavita. Invece, quando nel 2018 il senatore sempre della Lega, Simone Pillon, presenta un altro disegno di legge che prevedeva punti di accoglienza del neonato in tutti i Comuni, tutto ancora si blocca. «Perché chiunque metta in discussione la legge 194, seppur per sostenere bambino e mamma, viene aggredito per questioni ideologiche», commenta Pillon. La signora Rao ricorda come tanti bambini rifiutati, se non uccisi, finiscono nel mercato nero. «Qui a Palermo li chiamano malacarne, sono creature segnate da un tristissimo destino. Le loro mamme, più che essere informate sull'aborto, dovrebbero essere aiutate, assistite». Dieci bambini sono stati salvati dalle culle per la vita, dal 1992 ad oggi. Potevano essere infinitamente di più, ma quel numero è già una vittoria preziosa. Questo dispositivo tanto poco applicato è l'ultimo, piccolo, potente alleato conto l'infanticidio quando disperazione e solitudine possono spingere una donna a compiere gesti estremi.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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