
La nuova tendenza vuole cancellare la fatica e l'impegno, rappresentati dal peso dei libri di carta. In questo modo, invece di aiutare i ragazzi si finisce solo per far aumentare noia, frustrazioni e disturbi mentali. Anche per colpa degli apparecchi digitali fra i banchi.Sta per inghiottire i nostri figli e nipoti il programma di lavaggio scolastico con ammollo prolungato, simpaticamente denominato: «Scuola senza zaino». Praticamente un ossimoro: perché uno dei compiti più importanti della scuola sarebbe proprio quello di insegnarti a portare dei pesi. Tutto il pensiero moderno forte (da Arthur Schopenhauer a Friedrich Nietzsche a Henri Bergson a Martin Heidegger alle ultime neuroscienze) ce lo ricorda: senza pesi e sforzi non si diventa grandi, ma stupidi. Dal secondo dopoguerra in poi però è proibito dirlo, soprattutto in Italia, ed è anche per rinviare ulteriormente l'urgente riscoperta dello sforzo che sono nate le scuole senza zaino.«Scuola senza zaino parte dal gesto simbolico dell'eliminazione dello zaino dal corredo scolastico degli studenti» spiega fieramente il coordinamento senza zaino di Lucca. Pare una questione di abbigliamento ma è più grave. Si fa fuori lo zaino contenitore per eliminare il contenuto, cioè i libri, e trasformare la scuola in chiacchiera (ed è già un bel guaio). Ma è l'ambiente zaino che non piace. Infatti spiegano puntigliosamente i senza zaino citando il vocabolario Devoto Oli, lo zaino è un «sacco di tela robusta rinforzato e munito di cinghie per essere portato a spalla, sia da soldati che da alpinisti, escursionisti... eccetera». Brutta gente, insomma, che si porta dietro roba forte come uno zaino, perché va in cerca di guai. E spiegano: «Lo zaino richiama alla mente l'idea di un viaggio verso un luogo sconosciuto, estraneo se non ostile, impervio». Come se la vita, a cui la scuola dovrebbe preparare, non fosse proprio questo. La scuola senza zaino invece, non è «un posto in cui si è di passaggio, per affrontare il quale è necessario possedere un bagaglio a mano pesante, munito di attrezzi che consentono di fronteggiare prove, controlli, ostacoli»: roba inutile. Infatti la scuola senza fatica né avventura, né scalate da fare, né sforzi cui sottoporsi, è il tipo di scuola comodona e blandamente deprimente, senza sforzi e senza rischi, da cui non si esce mai. È talmente priva di idee e contenuti forti che gli studenti non riescono neppure a concluderla, con tardiva disperazione dei genitori che non capiscono perché quel ragazzo/a non abbia voglia di uscire dalla scuola e finalmente, lavorare, sposarsi, vivere. Senza zaino è la scuola perfetta per la generazione I gen, cresciuta con Internet e l'iPhone (raccontata bene da Jean Twenge), che studiano ancora meno delle generazioni precedenti e non vogliono grane di nessun tipo, né lavoretti o esperienze lavorative che affianchino la scuola nel prepararli a un'etica del lavoro. I formatori senza zaino non tollerano «l'enorme quantità di carta che lo zaino trasporta e ben rappresenta l'immagine di una scuola formalistica, libresca, nozionistica» cui contrappongono «le suggestioni» dei «grandi autori» delle pedagogie moderne, Johann Pestalozzi, John Dewey, il comunista dissidente Célestin Freinet, Rudolf Steiner, Maria Montessori. A parte che queste persone non hanno dato «suggestioni» magiche, ma autentiche esperienze educative: scuole, laboratori, libri, corsi: tutta roba solida. Di cui però non c'è traccia nella comunicazione di questi pretesi nipoti intrisi di vaghezze ideologiche e privi dell'attenzione umana e spirituale al bambino comune ai maestri (tranne naturalmente Jean-Jacques Rousseau, il preferito del sanguinario Maximilien Robespierre, che infatti portò al brefotrofio i suoi cinque bimbi, uno dopo l'altro).Scuola senza zaino ha in compenso (potevano mancare?) tre «valori manifesto»: ospitalità, responsabilità, comunità. Tre bei concettoni super astratti e ipersociali, lontani dall'attività personalissima della scuola primaria e secondaria. È questa socializzazione così pervasiva e asfissiante a far sì che i ragazzini più svegli delle nostre società si chiudano in camera e non vogliano più vedere nessuno (come gli hikikomori, anche italici). I maestri delle scuole attive, a cominciare da Pestalozzi, si impegnavano nell'impresa ardua (alpinistica) di riconoscere la «forza dell'aspirazione alla vita» di cui ogni singolo bambino è portatore, le «forze del cuore», e quelle della testa e della mano. Questi tardi epigoni invece annoiano i bimbi chiedendo loro di discutere, come al partito. I maestri delle pedagogie d'avanguardia rimarrebbero di stucco scoprendo che nelle scuole senza zaino gli spazi di aule o laboratori o giardini delle loro amate scuole attive (i kindergarten nacquero in giardino) sono sono sostituiti da open space, come qualsiasi Mondadori o multinazionale, anticipo precoce di successive nevrosi. I vecchi muri e siepi indicavano i confini: che non sono un optional ma uno strumento indispensabile per la formazione di ogni personalità. I grandi pedagoghi sarebbero poi inorriditi scoprendo che nelle scuole senza zaino oltre all'«agorà» (dove andare a discutere fingendosi Socrate), c'è l'angolo digitale, dove i bimbi piccoli possono cominciare a infettarsi con la principale malattia del nostro tempo: gli strumenti elettronici che si sostituiscono al rapporto faccia a faccia, svuotando gradualmente il gusto e capacità dei bambino di avere relazioni da persona a persona. I formatori senza zaino non sembrano conoscere i lavori di medici, psicologi, neuroscienziati su malattie, disturbi cognitivi e comportamentali, problemi psichici e di relazione molto gravi, come depressioni e i disturbi dello spettro autistico, in forte e continua ascesa nei giovanissimi per l'uso precoce dei dispositivi digitali Come racconta Jean Twenge in Iperconnessi: «Questa improvvisa impennata si è verificata pressoché in contemporanea con la diffusione capillare degli smartphone e il crollo dell'interazione personale concreta. Coincidenza troppo precisa per non capire che questi trend sono collegati tra di loro». Lo smartphone non fa bene. Non per niente nelle 2.600 scuole steineriane sparse per il mondo angoli digitali non ce ne sono, così come nelle altre pedagogie attive, di cui parlo in Curare l'anima. Psicologia dell'educazione scritto con Paolo Ferliga e tradotto questa settimana anche in Brasile.Naturalmente, come ogni cosa in Italia, le scuole senza zaino significano anche burocrazia e stipendi pubblici. C'è una rete, c'è un Ordine. (Come farne a meno, nel Paese dei dritti e del Diritto)? Sono quasi tutte pubbliche, e la maggior parte dei formatori è emiliana o toscana, Regioni con solide tradizioni di sottogoverno. Non si capisce però quanto sfondino: su Internet l'anno scorso la sola Toscana ne dichiarava 130, oggi pare siano un centinaio in tutta Italia. Punto dolente nelle proteste è lo scarso materiale (matite, fogli, eccetera). Ma la vera povertà non è nelle risorse. È nella pretesa di eliminare la fatica e l'impegno, strumenti indispensabili per accendere nel bambino la «fiamma spirituale» della libertà che ispirava Maria Montessori e le grandi pedagogie libere. Che non avevano «valori manifesto», ma la passione personale per quell'essere straordinario che è il bambino.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






