
Attivisti indignati per la loro pagina oscurata su Facebook. Chiudere quelle vicine alla destra invece era lecito.Nella serata di domenica, le sardine sono finite nella rete (anzi, nel Web) della censura: la pagina principale e quella di riserva del movimento di opposizione a Matteo Salvini sono state oscurate da Facebook, per essere ripristinate dopo qualche ora, in seguito alle proteste e al mail bombing di altri gruppi social, solidali con i pescetti. I manifestanti sono convinti di essere stati bersaglio di segnalazioni partite da account sovranisti: «Un attacco sistematico quanto vile», hanno commentato le vittime della purga informatica. Che hanno rilanciato: «Molti hanno deciso che scenderanno in piazza proprio a causa di queste nuove prepotenze squadriste». Al solito, è colpa del fascismo che torna. E per lamentarsi del ban su Facebook si scomoda addirittura lo «squadrismo» (che ha deposto manganello e olio di ricino per imbracciare mouse e tastiera).Per una notte, insomma, le sardine hanno provato sulla loro pelle quanto sia fastidioso subire le epurazioni social, quanto arbitrari possano essere i meccanismi di controllo di queste piattaforme sui contenuti pubblicati dagli utenti. Speriamo che l'esperienza insegni qualcosa ai pescetti, visto che dalle loro parti s'è giubilato ogni volta che la mannaia del Web ha decapitato la destra. Senza menzionare le infinite polemiche sulla «Bestia» salviniana, la macchina della propaganda online dell'ex vicepremier, basterebbe ricordarsi della chiusura, lo scorso maggio, di 23 pagine, cui era stata contestata la pubblicazione di fake news, molte delle quali vicine alla Lega e al M5s (che essendo ancora al governo con il Carroccio, era annoverato tra i reprobi). Allora fu una Ong, Avaaz, a premurarsi di segnalare i gruppi, che contavano quasi 2,5 milioni di follower. Nessuna manifestazione di solidarietà da sinistra. Nessuna denuncia di nuovi squadrismi. In fondo, quelle pagine diffondevano bufale, direte voi. Ma non è che su quelle delle sardine non si trascenda mai il buongusto. La sezione del Friuli Venezia Giulia, ad esempio, aveva condiviso un'orrida vignetta in cui si vede Heidi scaraventare da un dirupo la sua amichetta in sedia a rotelle, che le confessava di essere una fan di Salvini. E non dimentichiamo l'organizzatrice dell'evento di Modena, che mesi fa aveva pubblicato un post con il capo leghista a testa in giù e la scritta: «Avremmo bisogno di un giustiziere sociale». La giovane, Samar Zaoui, si è giustificata spiegando che era solo un «post ironico». Se uno del Carroccio avesse fatto una battuta alla Marco Van Basten, scrivendo Sieg Heil, le sardine sarebbero state altrettanto clementi?D'altra parte, è curioso che gli intellò si siano accorti delle falle sui social in merito a gestione dei dati degli utenti e diffusione di fake news, solo dopo il referendum sulla Brexit e lo scandalo di Cambridge analytica, che coinvolgeva il cerchio magico di Donald Trump. L'indignazione è sempre a targhe alterne.L'ideale è non godere quando a essere censurato è l'avversario politico, per poi piangere quando si finisce in prima persona nelle maglie della «repressione». Ci si confronti con intelligenza, dantescamente «guardando e passando» oltre gli eventuali leoni da tastiera. Se si fa la gara al più puro che epura, si rischia sempre di finire epurati...
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.