2021-12-05
La santa alleanza delle democrazie per tarpare le ali al Dragone rosso
Nella nuova architettura mondiale, l’America resta leader ma ha bisogno di una vasta rete di partner leali. Il summit di Washington è l’occasione per mettere in minoranza la Cina e gli Stati satelliti della Via della seta.Ci siamo. Chi scrive invoca, dagli anni Novanta, un’alleanza globale tra le democrazie per rafforzare ciascuna e costruire un complesso democratico sufficientemente grande per esercitare una forte pressione democratizzante nel mondo, consolidandolo via costruzione graduale di un mercato delle democrazie (free community) con standard comuni: la transizione dalla pax americana, cioè dall’impero statunitense che è ormai troppo piccolo per gestire il globo, ad una nova pax dove l’America resti leader, ma aprendosi ad un multilateralismo selettivo dove le nazioni del capitalismo democratico si organizzano per rendere più socialmente efficace il loro modello interno e sconfiggere quelle del capitalismo autoritario e autocrazie, capitanante dalla Cina nazionalsocialista. Quando lo scrivente presentò a Tokyo, nel 1996, in un seminario dello Yomiuri Shimbun, il progetto di mercato delle democrazie per rispondere alla domanda degli industriali e politici nipponici se al Giappone fosse convenuto convergere con la Cina emergente o restare legato all’Occidente, vide un rappresentante di Pechino saltare sulla sedia. Edward Luttwak, vicino di tavolo, disse ridendo: «Carlo, hai dichiarato guerra alla Cina». Ma la risposta fu: «No, ho presentato l’idea di come le democrazie potranno vincere, unendosi per creare qualcosa di più grande della Cina». Tante delusioni: divergenza tra Usa e Ue, cedimenti mercantilistici alla Cina, risposte deboli alla Russia neo imperiale, abbandono dei combattenti per la libertà di Hong Kong, ecc. Un momento di luce nel programma del repubblicano John McCain del 2008 quando vi inserì il progetto di «Lega delle democrazie» simile al progetto dello scrivente nel libro The Grand Alliance (2007), ma Barack Obama vinse le elezioni. Altro momento di luce quando Obama propose nel 2013 un mercato delle democrazie nel Pacifico (Tpp) e con l’Ue (Ttip), escludendo Cina e Russia, ma presto spento dall’evidenza che l’America voleva tenere separate le democrazie alleate mettendosi al centro delle due alleanze. Fu una doccia gelida l’eccesso unilateralista di Donald Trump che distrusse la costruzione, pur malfatta, di Obama, ma attutita dal fatto che nel 2017 l’America dichiarò finalmente, con modalità bipartisan, la Cina come nemico. E ci fu un ritorno della luce quando Mike Pompeo portò Trump, negli ultimi mesi del suo mandato, a rinforzare l’alleanza tra democrazie.Dal 9 al 10 dicembre ci sarà a Washington il primo summit globale delle democrazie con la missione di strutturare un piano di lavoro comune da confermare nel dicembre 2022. L’amministrazione Biden è sospettabile di poca incisività e consistenza, ma bisogna riconoscere che sta accettando l’idea che l’America ha bisogno di alleati (un primo passo verso la nova pax) e le democrazie di sostegno reciproco. Quindi chi scrive propone un atteggiamento iniziale di fiducia e sostegno all’iniziativa con modi bipartisan, considerando che è dal 1941, quando Winston Churchill propose un’alleanza strutturata tra democrazie, che non si riesce ad organizzare un forum globale con intenti strategici tra democrazie stesse. Al momento sono oggetto di analisi gli inviti. Washington ha invitato circa 110 nazioni, dando a ciascuna uno spazio di intervento, novità positiva perché enfatizza il concetto di nazione - il vero mattone delle relazioni internazionali - e lascia voce alle micro nazioni con meno di un milione di abitanti, circa 30. Tra le nazioni invitate il 69% sono nazioni con democrazia funzionante, il 28% semi-funzionante e il 3% senza ancora democrazia. Tale composizione ha suscitato critiche da parte dei puristi. Ma la logica è necessariamente geopolitica. Il Pakistan è stato invitato perché il suo arci nemico, l’India, non poteva non esserlo. Le Filippine e il Kenya che hanno punteggi bassi di democraticità hanno avuto l’invito perché in ambedue ci saranno elezioni nel 2022 ed è parso utile rinforzare i pro democrazia. Taiwan ha l’invito, ma la coraggiosa presidente Tsai Ing-wen non parlerà, sostituita dal ministro per il Digitale, per non sfidare troppo apertamente la Cina. Israele, democrazia piena, ci sarà, ma accompagnata per la regione mediorientale dall’Iraq che è una democrazia solo nominale, tuttavia presenza necessaria per metterci almeno un arabo. Cosa ci fanno Angola, Congo e Zambia? Sono regimi autoritari in fase di aggancio anticinese e quindi oggetto di pressione da parte del fronte democratico. Perché Orban ed Erdogan non sono stati invitati? È un chiaro segnale da parte di Washington (e dell’Ue) che non li vuole rieletti, cosa che qualcuno in Italia dovrebbe annotare. In sintesi, il criterio democratico è stato adattato a quello (geo)politico, ma è segno di concretezza strategica. Per esempio, l’invito a tante piccole nazioni equiparate alle grandi ha lo scopo, che mai sarà dichiarato, di ottenere la maggioranza all’Assemblea generale dell’Onu mettendo in minoranza le nazioni conquistate, via contratti orrendi, dalla Cina. Se riuscisse, questo sarebbe un risultato eccezionale perché darebbe all’Onu un indirizzo democratizzante che è sempre mancato.L’Ue? Parteciperà anche come tale. Ha appena lanciato l’iniziativa «Global Gateway» (300 miliardi) contro la Via della seta (finora spesi 140). La speranza è che converga con le iniziative statunitensi (e britanniche) per rendere l’alleanza euroamericana motore concreto di tutto il complesso democratico. L’Italia? Ha l’enorme opportunità di presiedere uno dei gruppi di lavoro. Il sogno? Aggiungere la bandiera della democrazia a quella nazionale entro un secolo in 200 nazioni del pianeta.www.carlopelanda.com