2018-10-04
La rottamazione coatta degli Euro 3 è una tassa occulta sulla povertà
Tredici milioni di auto in Italia messe fuorilegge dalle misure antismog. Una patrimoniale che a ogni famiglia costerà svariate migliaia di euro per sostituire la vettura. Senza preavviso, né un piano di trasporto alternativo. Nel totale nazionale, il calo della vendita di vetture diesel tra i privati è del 15,8%.C'è un euro che va sicuramente difeso. Tuttavia non è quello di cui molto si discuteva fino a ieri, quello della Banca centrale europea, ma piuttosto è quello che nei bilanci degli italiani è contrassegnato dal numero 3. È un euro non valutario, ma motoristico, che costerà caro a 13 milioni di italiani, un quarto della popolazione attiva. Euro 3 - infatti - è la categoria a cui risponde una macchina su tre di quelle che circolano in Italia oggi, una sigla che presto si trasformerà nella causa di una enorme rottamazione coatta, e subito dopo in una «patrimoniale» occulta che costerà alle famiglie come un prelievo forzoso da diverse migliaia di euro. È davvero incredibile che nell'anno in cui destra e sinistra tutti si sono riempiti la bocca di belle parole contro la povertà, nel nome (presunto) dell'ecologia, si faccia pagare a 13 milioni di italiani una tassa mascherata sulla povertà senza che nessuno sollevi un solo dubbio, senza un dibattito, senza che nemmeno per un attimo si finga di porsi il problema. Il punto, come è noto, è questo: Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto hanno annunciato questa settimana di comune accordo (seguite da decisioni autonome di Roma e Lazio) lo stop indiscriminato a tutti gli autoveicoli che fino a ieri circolavano nella piena legalità. Un colpo particolarmente duro per gli italiani: un terzo del nostro parco auto attualmente circolante (37 milioni di veicoli) è a rischio da subito. Parliamo di circa 13 milioni di macchine (o furgoni) che non si potranno di fatto più usare, da un giorno all'altro, pena il rischio di una salata e reiterabile multa (80 euro a controllo). Si tratta di numeri incredibili, che stanno già producendo danni sul mercato dell'automotive di prima mano. Nei primi 8 mesi di quest'anno, nel comune di Milano - tanto per fare un esempio - la flessione delle immatricolazioni di auto diesel a privati è del 28,6%, a Roma del 22,3% e sale al 37,4% a Torino. Nel totale nazionale, il calo della vendita di vetture diesel tra i privati è del 15,8%. Bene, si dirà, compreranno altri tipi di motorizzazioni, sicuramente meno inquinanti. La risposta per ora è no, purtroppo, perché in questo momento il calo del diesel produce il calo di tutto il mercato. Ma il vero nodo di iniquità riguarda i diritti e la condizione di chi una macchina l'ha già comprata. Anziani che non hanno i soldi per comprare una vettura e percorrono pochissimi chilometri l'anno, per esempio; giovani, famiglie, pendolari a basso reddito che hanno potuto dotarsi di un'auto solo sul mercato dell'usato. Se volete avere un'idea di questo volume, basta consultare il termometro potentissimo di subito.it, dove l'oggetto più venduto in Italia (dopo il divano) è una macchina. Ecco la prima follia: sulla testa di questo popolo, dalla mattina alla sera si abbatte una mannaia. Per Piemonte, Lombardia e Veneto (metà del Paese a quattro ruote) il bando colpirà dal gennaio 2019 le vetture Euro 0, 1, 2 e 3 a gasolio. Secondo l'accordo di programma sulla qualità dell'aria nel «bacino padano», ci saranno blocchi della circolazione auto solo per i diesel. Le prossime tappe prevedono il blocco delle Euro 4 entro il 2020 e delle Euro 5 (immatricolate teoricamente tra il 2011 e l'agosto 2015) entro il 2025. In Emilia-Romagna è già scattato da lunedì 1 ottobre il blocco alla circolazione per i veicoli più inquinanti nei 30 Comuni che hanno sottoscritto l'accordo regionale «antismog». La prima domanda è: si può accettare una violazione così plateale del diritto di proprietà? Senza nemmeno aver varato un piano straordinario del trasporto pubblico? Si può farlo con così poco preavviso (ottobre è già passato, gennaio è dietro l'angolo)? Non voglio nemmeno addentrarmi nel discorso sulla presunta tossicità del diesel (contestato con ottimi argomenti da studi di serissimi) né sul costo più alto del alternative (vorremo tutti un'auto elettrica, se avessimo da 30.000 a 60.000 euro per comprarla domani e le colonnine per rifornire ovunque). Nemmeno voglio ricordare che parte di questi cittadini-consumatori sono quelli che negli anni Novanta spesero mediamente 1 milione in più su ogni auto per le famose marmitte catalitiche, e - negli anni Duemila - migliaia di euro per i famosi filtri antiparticolati imposti dalle normative e dagli esperti dell'epoca (che si sono rivelati una delle più imponenti fregature mai viste: costosi, vulnerabili e inefficaci). Dico solo che se io con l'auto ci vado al lavoro, ci campo, ci sfamo la mia famiglia, ci risolvo il mio problema di mobilità, nessuno può cambiarmi le regole del gioco sotto il naso mentre il campionato è in corso. Se devo vendere o buttare l'auto con cui vado al lavoro entro gennaio, nessuno ha il diritto di impormi una spesa (da 4.000 euro o in su) per sostituire la mia auto, dalla mattina alla sera. Ma il paradosso dei paradossi, sul piano della riflessione sociale, è questo: stiamo discutendo se non sia troppo un reddito di cittadinanza, e poi chiediamo alle famiglie di spendere domani i capitali che servono per acquistare 13 milioni di nuove auto messe fuori legge con una parola e un numero? E davvero possiamo distruggere a cuor leggero, dalla mattina alla sera, il valore d'uso delle macchine (pagate con il risparmio) e in particolar modo di quelle utilizzate dei più poveri?Io non voglio un sussidio di povertà, voglio che non si mettano le ganasce bollate alle ruote della macchine di chi guadagna meno. Io non voglio uno Stato che si finge virtuoso ed ecosostenibile con i soldi degli altri, ma delle istituzioni che immaginino piani di sostituzione anche cronologicamente sostenibili. Quando gli italiani avranno davvero capito cosa sta accadendo sulle loro teste, passeremo dal dibattito sul reddito di cittadinanza a quello sul salario di mobilità, sapendo bene che non ci saranno soldi né per il primo che per il secondo.
Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)