2019-02-05
La rivoluzione di Sesto San Giovanni: le case popolari vanno agli italiani
Il Tar ha dato ragione al sindaco dell'ex feudo rosso, che ha cambiato il regolamento per le assegnazioni. Risultato: con la sinistra andavano agli immigrati 29 appartamenti su 36, ora solamente 2 su 39 disponibili.Le case popolari? Prima agli italiani. E con il beneplacito del Tar. La giunta comunale di Sesto San Giovanni, guidata, dal 2017, dal sindaco di centrodestra, Roberto Di Stefano, aveva imposto agli stranieri che facevano richiesta per ottenere alloggi popolari un obbligo abbastanza banale: presentare la documentazione che attestasse le loro proprietà nei Paesi d'origine, necessaria a calcolare l'indice Isee per la graduatoria degli assegnatari. Contro la decisione aveva fatto ricorso una cittadina dell'Ecuador, che si era vista negare l'agognata abitazione. Venerdì scorso, però, il Tribunale amministrativo di Milano ha dato ragione al Comune. Nessuna discriminazione, secondo i giudici. I quali hanno ribadito che, «nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell'accesso ai pubblici servizi», italiani e stranieri devono essere sottoposti agli stessi obblighi. Sciùra e señorita devono presentare gli stessi documenti. Nel caso specifico, il problema non era che la donna ecuadoriana fosse una grande immobiliarista in patria. Il fatto è che nel Paese sudamericano non c'è un registro nazionale delle proprietà, che consenta di comprovare l'appartenenza di beni immobili. Insomma, la signora non poteva dimostrare il proprio stato patrimoniale. E, di certo, non per colpa dello Stato italiano. Ricorso respinto e grande giubilo di Matteo Salvini.Il leader del Carroccio, che fa parte della coalizione che sostiene il primo cittadino di Sesto, ha commentato: «Gli stranieri che vogliono una casa popolare devono dimostrare di non avere proprietà all'estero. È una richiesta di buon senso, che pochi giorni fa è stata approvata dal Tar».Quello che bisogna sottolineare, in effetti, è che da parte dell'amministrazione comunale lombarda non c'è alcun intento persecutorio nei confronti degli immigrati. In realtà, non si tratta tanto di mettere «prima gli italiani», quanto di impedire che vengano sempre «dopo». Come ha spiegato alla Verità Di Stefano, il sindaco di Sesto, «fino a quando ha governato la sinistra, per motivi ideologici, si consentiva agli stranieri di presentare un'autocertificazione, mentre gli italiani erano tenuti a dimostrare di non essere proprietari di altri immobili. Ovviamente, gli stranieri si dichiaravano sempre nullatenenti e scavalcavano regolarmente in graduatoria i nostri connazionali». Un «trucchetto», come lo ha definito il primo cittadino, che ha avuto conseguenze esplosive: «Con l'ultima assegnazione della giunta di sinistra, agli immigrati sono stati dati 29 appartamenti su 36 disponibili. Da quando abbiamo introdotto i nuovi obblighi, agli stranieri sono andati 2 alloggi su 39». In parole povere, dal momento in cui gli stranieri hanno dovuto comprovare di non avere a disposizione altre case nelle loro nazioni di provenienza, misteriosamente le graduatorie si sono ribaltate: la maggior parte degli assegnatari degli appartamenti sono stati i veri poveri italiani.Certo, qualcuno potrebbe obiettare che le case degli stranieri sono all'estero. E quindi, di fatto, indisponibili. Ma il sindaco Di Stefano racconta alla Verità di un altro trucchetto. «Quando abbiamo fatto i controlli negli appartamenti degli stranieri, abbiamo scoperto che in molti di questi c'erano anche dieci posti letto, subaffittati a immigranti, talora irregolari». Il giochino era semplice: «Queste persone venivano in Italia con le famiglie. Autocertificavano di non avere beni immobili in patria e ottenevano l'alloggio. Poi, una volta presa la casa, tornavano nei loro Paesi, lasciando negli appartamenti di volta in volta un solo membro del nucleo familiare, che gestiva il business dei subaffitti. La maggior parte di questi furbetti era di nazionalità egiziana».Ecco spiegato perché la ex Stalingrado d'Italia, l'enclave quasi sovietica della sinistra operaia, due anni fa abbia cambiato colore. Gli italiani si saranno sentiti cornuti e mazziati. Altro che razzismo: avranno pensato di essere loro i veri discriminati. Senza contare, ha commentato Di Stefano, che «prima c'erano zone di Sesto con il coprifuoco: la gente aveva paura di uscire dopo una certa ora. Noi abbiamo allontanato centinaia di stranieri, abbiamo lavorato molto sul tema della sicurezza». Il centrodestra, in parole povere, vince con le sue battaglie storiche. Sul rispetto delle regole. Sulla lotta ai regalini e ai favoritismi inopinati che i dem hanno praticato nei confronti dei «nuovi» italiani. «Se poi, in Forza Italia, c'è qualcuno che cambia linea, non è un problema mio», ha concluso il sindaco di Sesto, con ovvio riferimento all'avventura di Stefania Prestigiacomo sulla Sea Watch 3: «I miei concittadini mi hanno votato per un motivo preciso e io sto rispettando il mandato elettorale».Effettivamente, Di Stefano si è fatto da subito notare per le sue posizioni determinate. Appena eletto, in un'intervista a Repubblica si definì «sindaco contro l'islamizzazione» (la sua città era candidata a ospitare la più grande moschea d'Italia) e rivendicò la sua scelta di rescindere i legami con la rete di associazioni Lgbt, Ready. Ora, sulla questione case popolari, pure le toghe hanno dovuto avallare la sua linea della fermezza. Perché la legge, stranieri o italiani, è ancora uguale per tutti.
Charlie Kirk (Getty Images)