2020-05-08
La ricetta di Orlando in stile Soviet
Il vicesegretario dem vuole l'ingresso dello Stato nelle aziende in cambio di aiuti. Francesco Boccia sposa l'idea. Il Pd tenta di smentire ma è chiaro il sogno di controllare i privati.Peggio la toppa del buco, peggio il dibattito della dichiarazione in sé, peggio le intenzioni della frase pura e semplice. Tutto nasce da un'intervista alla Stampa del vicesegretario del Pd Andrea Orlando, sintetizzata con il titolo: «Se lo Stato finanzia le aziende, deve avere un posto nei cda». Capito il grosso guaio in cui l'ex ministro si era cacciato, venendo selvaggiamente infilzato per metà giornata sui social network, l'ufficio stampa del Pd ha tirato fuori un grande classico: una nota per contestare il titolo scelto dal giornale, definito «totalmente privo di fondamento». E in effetti non era un titolo letterale, questo è vero: non era cioè un esatto virgolettato attribuibile a Orlando. E però è inutile girarci intorno, l'equivoco nasce proprio da ciò che Orlando ha detto a chiare lettere: «Il capitale delle imprese non deve essere partecipato dallo Stato per corrispondere a un astratto modello ideologico. Il tema è valutare se lo Stato debba entrare per un determinato periodo, in modo da garantire che l'impresa mantenga gli impegni assunti nel momento in cui riceve finanziamenti a fondo perduto da parte dello Stato». Lasciamo da parte il ritorno ossessivo (tre volte in poche righe) della parola Stato scritta con tanto di maiuscola: non a caso Luigi Einaudi raccomandava invece la minuscola, e la sua era un'osservazione di limpida impronta liberale. Quel che conta è la forma mentis, il mindset, la mentalità manifestata da Orlando: di pura scuola comunista. L'idea, cioè, di un interventismo pubblico pervasivo, di una mano pubblica pronta - attraverso l'escamotage di un aiuto momentaneo - a infilarsi nell'intrapresa privata, a orientarla, a dirigerla, a controllarla.I nostri post comunisti non cambiano mai. Certo, hanno preso da una trentina d'anni a indossare eleganti camicie all'americana, modello button-down con cravatta Brooks Brothers; hanno fatto i clintoniani e i blairiani della «terza via»; hanno fatto pure i privatizzatori (in più di qualche caso, a onor del vero, gli svenditori); ci hanno inflitto saggi e convegni sulle virtù del mercato (spiegate da loro, che per decenni erano stati anti mercato) e sul «liberismo di sinistra», con tanto di sfilata di professori bocconiani . Ma poi, al momento della verità, come si direbbe a Napoli, sono «usciti al naturale», tirando fuori l'anima pianificatrice, centralizzatrice, dirigista, sospettosa verso l'iniziativa privata e in ultima analisi fautrice di un rigido controllo pubblico. Il confronto con quanto accade in giro per il mondo è perfino impietoso: ovunque (sotto governi conservatori o progressisti) si pratica la strada di un intervento a fondo perduto per sostenere le imprese in un momento così difficile, per iniettare liquidità, per offrire risorse e sostegno, ma nessuno si è sognato di ipotizzare riflessi sulla governance delle imprese. La strada della presenza diretta in cda sarebbe perfino surreale: migliaia di nominati dalla mano pubblica, una cosa sovietica o da Ddr. Dice il Pd: ma questo Orlando non l'ha proposto. E allora cosa immagina il vicesegretario del Pd, quali astruse tecnicalità? Carlo Calenda lo ha giustamente criticato per forma e contenuto della proposta, mentre la gran difesa statalista di un entusiasta Francesco Boccia ha addirittura aggravato la posizione di Orlando. Peraltro, giova ricordare due cose, e non si tratta certo di due dettagli. Primo: le imprese non hanno ancora visto un euro, e ci si aspetterebbe che questa fosse la priorità. Secondo: il gran gioco dirigista sognato dal Pd avverrebbe con i soldi delle tasse degli italiani. Diceva la sempre grande Margaret Thatcher: «Non esiste il denaro pubblico, esiste solo il denaro dei contribuenti». Frase che in Italia andrebbe affissa in tutti i ministeri e in ogni ufficio pubblico: si sta parlando del denaro degli italiani, non di altro.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».