2022-02-26
Le restrizioni folli del green pass sopravvivono
Lo sbandierato ritorno alla normalità è una bugia. Italiani meno liberi dei turisti stranieri Come dimostra la compagnia assicurativa tedesca Bkk, la vigilanza passiva non fotografa la reale entità degli effetti avversi Stessa criticità in Italia, dove i rischi del siero son calcolati in base alle poche segnalazioni. Ma l’Agenzia non cambia approccio.Lo speciale contiene due articoli. Quando dicono di voler chiudere tutto, chiudono tutto davvero, mentre quando dicono di voler riaprire, non riaprono un bel niente. In capo a due anni di pandemia, questo modo di agire da parte del ministro Roberto Speranza e delle autorità sanitarie si può ormai definire collaudato. Ed è evidentissimo proprio in questo frangente, laddove a fronte di una retorica da «liberi tutti» seguita all’annuncio del premier Mario Draghi di non voler prorogare oltre il prossimo 31 marzo lo stato d’emergenza, a guardare bene le carte si direbbe che l’impianto delle restrizioni, comprese quelle più severe e quelle partorite al punto più alto della curva dei contagi resta intatto. Con uno scenario, inoltre, che si trasformerà in paradossale quando i turisti extra-Schengen, una volta entrati nel nostro Paese, si troveranno ad avere più diritti e più libertà di movimento dei cittadini italiani. Ma andiamo per ordine: si sta parlando insistentemente di ritorno alla normalità, il che indurrebbe a pensare che si sia in procinto di abbandonare le norme più invasive, e cioè il super green pass obbligatorio per tutti i lavoratori over 50. Niente di tutto ciò, perché le norme attualmente in vigore e in procinto di essere convertite in legge al Senato nei prossimi giorni ci dicono che l’obbligo di vaccinazione per gli over 50 resterà almeno fino al 15 giugno. Stessa cosa per il super green pass obbligatorio per una serie di categorie lavorative, che continuerà a essere richiesto fino alla stessa data. Tutto ciò, a dispetto della crescente pressione politica di una parte ormai cospicua della stessa maggioranza, in primis della Lega che per ben due volte in Parlamento (prima in commissione poi in aula) ha cercato di portare a casa l’abolizione del green pass a partire dal primo aprile. Cos’è, dunque, che in concreto si potrà fare di più all’indomani della fine dello stato d’emergenza? Non molto, se è vero che per iniziare si dovrebbe «concedere» di mangiare nei locali all’aperto a chi avrà il green pass base, e non il super green pass come adesso. E chi ha parlato, ragionevolmente, della possibilità di eliminare del tutto la certificazione per i pasti consumati outdoor, è stato bollato come fautore di pericolose fughe in avanti. Sempre parlando di attività all’aperto, dal primo aprile non ci vorrà più il super green pass per palestre e piscine, bensì il pass base, mentre per entrare nei negozi non sarà più necessaria la certificazione. Sul fronte trasporti, poi, vige l’incertezza perché se da un lato cadrà dal primo aprile l’obbligo di super green pass per i mezzi di trasporto a lunga percorrenza, al momento non è chiaro se per i trasporti pubblici locali continuerà a servire il green pass rafforzato. Contraddizioni e incongruenze che raggiungono il picco, come accennato, sulla questione della (giusta) riapertura ai turisti extra-Ue, dal primo marzo. Questi, infatti, non dovranno più sottoporsi a quarantena e, al pari di quelli comunitari, potranno accedere a una serie di luoghi e attività previo tampone negativo, cosa che è ancora preclusa agli italiani. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-riapertura-e-una-presa-in-giro-lavoro-e-socialita-restano-negati-2656797561.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="aifa-immobile-sulle-reazioni-sottostimate" data-post-id="2656797561" data-published-at="1645887912" data-use-pagination="False"> Aifa immobile sulle reazioni sottostimate La denuncia, che abbiamo pubblicato ieri, di una grande compagnia di assicurazione tedesca, la Bkk ProVita con sede a Monaco di Baviera, che confuta i dati ufficiali delle segnalazioni avverse in Germania, giudicandoli sottostimati di almeno dodici volte, impone una seria riflessione su come viene gestito il monitoraggio delle reazioni post vaccino anti Covid. Andreas Schöfbeck, amministratore delegato dell’istituto finanziario che opera nel settore sanitario, ha scritto a Paul Cichutek, presidente del Paul Ehrlich Institut, (Pei), l’Istituto federale per i vaccini e la biomedicina che fa capo al ministero della Salute tedesco, allegando i risultati di una ricerca condotta in sette mesi e mezzo. Ben 216.695 assicurati, su un campione 10,9 milioni, ha avuto bisogno di cure e di assistenza medica, mentre il Pei ha pubblicato nel suo rapporto annuale solo 244.576 segnalazioni di reazioni avverse dopo aver vaccinato in 14 mesi 61,4 milioni di persone contro il Covid. Se da inizio 2021 alla metà del terzo trimestre, 216.695 tedeschi hanno avuto bisogno di ricorrere al medico dopo aver fatto la puntura anti Covid, Schöfbeck afferma di considerare «realistici fino ad oggi 400.000 visite dal medico da parte dei nostri assicurati a causa di complicazioni». Ma soprattutto ha proiettato i dati sull’intera popolazione germanica, ipotizzando che «sarebbero tre milioni i tedeschi che hanno sofferto di reazioni» post inoculazione. Il Pei ha poi risposto, in ritardo e in maniera molto evasiva, sostenendo che «le informazioni contenute nella lettera del Bkk sono generiche», che «non è specificato quanti dei casi siano lievi e quanti si riferiscono a reazioni gravi» e che non è chiaro «se effettivamente è stato stabilito un nesso causale con la vaccinazione». La «correlabilità» o meno di patologie invalidanti, disturbi gravi e decessi, segnalate dopo l’inoculazione, è una delle questioni che mettono in dubbio l’efficacia della farmacovigilanza così come viene condotta, assieme alla certezza che, se è al 94,8% passiva (di tipo spontaneo) e non attiva, quindi non da studi che registrano le reazioni avverse, le segnalazioni che arrivano all’Aifa saranno sempre in numero irrisorio. Ma attenzione, non è che solo emerga un quadro delle reazioni avverse non corrispondente alla realtà in quanto sottostimato, perciò inutile. Se vengono minimizzati o esclusi eventi seppur gravi, il messaggio sarà quello che il vaccino anti Covid funziona a meraviglia. Il Consiglio di Stato, nella sentenza dello scorso 20 ottobre in cui stabiliva che l’obbligo vaccinale imposto ai sanitari risponde a un «dovere di solidarietà», guarda caso teneva conto dei dati pubblicati a settembre dall’Aifa, nel nono rapporto di farmacovigilanza sui vaccini contro il Covid-19. Su 101.110 segnalazioni allora arrivate, quelle gravi corrispondevano al 14,4% del totale, affermava l’agenzia regolatoria, e per l’organo di consulenza giuridico amministrativa «le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile e i danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il Sars-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi gravi e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica». Capite bene che se le segnalazioni fossero state in numero maggiore, e se non ci si limitasse ad applicare l’algoritmo dell’Oms, da tempo inadeguato a stabilire la connessione tra una reazione avversa e il vaccino inoculato, perché se c’è un’altra causa che può averlo scatenato (come infarto, diabete, tumore) esclude la correlazione, mentre nessun evento andrebbe sottostimato quando si somministra un farmaco che può dare reazioni non prevedibili, avremmo una panoramica ben diversa di quello che sta accadendo con le vaccinazioni anti Covid. Secondo il rapporto annuale dell’Aifa, pubblicato con enorme ritardo una ventina di giorni fa, le segnalazioni arrivate sono state 117.920 su quasi 49 milioni di italiani vaccinati, delle quali appena 19.055 gravi (il 16,2% del totale). Il nesso di causalità con il vaccino è risultato correlabile nel 35,9% di tutte le gravi e indeterminato nel 37,7% di eventi avversi che hanno causato ospedalizzazione, pericolo immediato di vita, invalidità, anomalie congenite, decesso o «altra condizione clinicamente rilevante» solo perché c’è poca letteratura scientifica a riguardo. In questa situazione grottesca, che esclude ai più il riconoscimento di danni subiti, ci chiediamo perché a nessuno sia venuto in mente di chiedere alle compagnie assicurative sanitarie italiane di fornire dati sui rimborsi presentati dai medici, come ha pensato bene di controllare la Bkk. Schöfbeck ha anche dichiarato che simili cifre possono essere «convalidate in modo relativamente semplice dal Pei e anche con breve preavviso, chiedendo ad altri tipi di assicurazione di valutare i dati a loro disposizione di chi ha chiesto assistenza post vaccino». Perché l’Aifa non lo fa? Sapete che cosa ha risposto il Paul Ehrlich Institut? Che dopo 14 mesi dall’inizio delle vaccinazioni di massa contro il Covid, dovrebbe «partire a breve» uno studio non interventistico sostenuto e promosso dal ministero della Salute nel quale «dovrebbero essere valutate le indicazioni di diagnosi», nelle richieste di rimborsi medici pervenute alle assicurazioni, mettendoli in relazione con i dati del monitoraggio digitale della quota vaccinati». In Italia, comunque, nemmeno lo stanno progettando uno studio analogo.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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