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2022-02-26
Le restrizioni folli del green pass sopravvivono
(Ansa)
Quando dicono di voler chiudere tutto, chiudono tutto davvero, mentre quando dicono di voler riaprire, non riaprono un bel niente. In capo a due anni di pandemia, questo modo di agire da parte del ministro Roberto Speranza e delle autorità sanitarie si può ormai definire collaudato. Ed è evidentissimo proprio in questo frangente, laddove a fronte di una retorica da «liberi tutti» seguita all’annuncio del premier Mario Draghi di non voler prorogare oltre il prossimo 31 marzo lo stato d’emergenza, a guardare bene le carte si direbbe che l’impianto delle restrizioni, comprese quelle più severe e quelle partorite al punto più alto della curva dei contagi resta intatto.
Con uno scenario, inoltre, che si trasformerà in paradossale quando i turisti extra-Schengen, una volta entrati nel nostro Paese, si troveranno ad avere più diritti e più libertà di movimento dei cittadini italiani. Ma andiamo per ordine: si sta parlando insistentemente di ritorno alla normalità, il che indurrebbe a pensare che si sia in procinto di abbandonare le norme più invasive, e cioè il super green pass obbligatorio per tutti i lavoratori over 50. Niente di tutto ciò, perché le norme attualmente in vigore e in procinto di essere convertite in legge al Senato nei prossimi giorni ci dicono che l’obbligo di vaccinazione per gli over 50 resterà almeno fino al 15 giugno.
Stessa cosa per il super green pass obbligatorio per una serie di categorie lavorative, che continuerà a essere richiesto fino alla stessa data. Tutto ciò, a dispetto della crescente pressione politica di una parte ormai cospicua della stessa maggioranza, in primis della Lega che per ben due volte in Parlamento (prima in commissione poi in aula) ha cercato di portare a casa l’abolizione del green pass a partire dal primo aprile.
Cos’è, dunque, che in concreto si potrà fare di più all’indomani della fine dello stato d’emergenza? Non molto, se è vero che per iniziare si dovrebbe «concedere» di mangiare nei locali all’aperto a chi avrà il green pass base, e non il super green pass come adesso. E chi ha parlato, ragionevolmente, della possibilità di eliminare del tutto la certificazione per i pasti consumati outdoor, è stato bollato come fautore di pericolose fughe in avanti. Sempre parlando di attività all’aperto, dal primo aprile non ci vorrà più il super green pass per palestre e piscine, bensì il pass base, mentre per entrare nei negozi non sarà più necessaria la certificazione. Sul fronte trasporti, poi, vige l’incertezza perché se da un lato cadrà dal primo aprile l’obbligo di super green pass per i mezzi di trasporto a lunga percorrenza, al momento non è chiaro se per i trasporti pubblici locali continuerà a servire il green pass rafforzato.
Contraddizioni e incongruenze che raggiungono il picco, come accennato, sulla questione della (giusta) riapertura ai turisti extra-Ue, dal primo marzo. Questi, infatti, non dovranno più sottoporsi a quarantena e, al pari di quelli comunitari, potranno accedere a una serie di luoghi e attività previo tampone negativo, cosa che è ancora preclusa agli italiani.
Aifa immobile sulle reazioni sottostimate
La denuncia, che abbiamo pubblicato ieri, di una grande compagnia di assicurazione tedesca, la Bkk ProVita con sede a Monaco di Baviera, che confuta i dati ufficiali delle segnalazioni avverse in Germania, giudicandoli sottostimati di almeno dodici volte, impone una seria riflessione su come viene gestito il monitoraggio delle reazioni post vaccino anti Covid. Andreas Schöfbeck, amministratore delegato dell’istituto finanziario che opera nel settore sanitario, ha scritto a Paul Cichutek, presidente del Paul Ehrlich Institut, (Pei), l’Istituto federale per i vaccini e la biomedicina che fa capo al ministero della Salute tedesco, allegando i risultati di una ricerca condotta in sette mesi e mezzo.
Ben 216.695 assicurati, su un campione 10,9 milioni, ha avuto bisogno di cure e di assistenza medica, mentre il Pei ha pubblicato nel suo rapporto annuale solo 244.576 segnalazioni di reazioni avverse dopo aver vaccinato in 14 mesi 61,4 milioni di persone contro il Covid. Se da inizio 2021 alla metà del terzo trimestre, 216.695 tedeschi hanno avuto bisogno di ricorrere al medico dopo aver fatto la puntura anti Covid, Schöfbeck afferma di considerare «realistici fino ad oggi 400.000 visite dal medico da parte dei nostri assicurati a causa di complicazioni».
Ma soprattutto ha proiettato i dati sull’intera popolazione germanica, ipotizzando che «sarebbero tre milioni i tedeschi che hanno sofferto di reazioni» post inoculazione. Il Pei ha poi risposto, in ritardo e in maniera molto evasiva, sostenendo che «le informazioni contenute nella lettera del Bkk sono generiche», che «non è specificato quanti dei casi siano lievi e quanti si riferiscono a reazioni gravi» e che non è chiaro «se effettivamente è stato stabilito un nesso causale con la vaccinazione».
La «correlabilità» o meno di patologie invalidanti, disturbi gravi e decessi, segnalate dopo l’inoculazione, è una delle questioni che mettono in dubbio l’efficacia della farmacovigilanza così come viene condotta, assieme alla certezza che, se è al 94,8% passiva (di tipo spontaneo) e non attiva, quindi non da studi che registrano le reazioni avverse, le segnalazioni che arrivano all’Aifa saranno sempre in numero irrisorio. Ma attenzione, non è che solo emerga un quadro delle reazioni avverse non corrispondente alla realtà in quanto sottostimato, perciò inutile. Se vengono minimizzati o esclusi eventi seppur gravi, il messaggio sarà quello che il vaccino anti Covid funziona a meraviglia.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza dello scorso 20 ottobre in cui stabiliva che l’obbligo vaccinale imposto ai sanitari risponde a un «dovere di solidarietà», guarda caso teneva conto dei dati pubblicati a settembre dall’Aifa, nel nono rapporto di farmacovigilanza sui vaccini contro il Covid-19. Su 101.110 segnalazioni allora arrivate, quelle gravi corrispondevano al 14,4% del totale, affermava l’agenzia regolatoria, e per l’organo di consulenza giuridico amministrativa «le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile e i danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il Sars-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi gravi e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica». Capite bene che se le segnalazioni fossero state in numero maggiore, e se non ci si limitasse ad applicare l’algoritmo dell’Oms, da tempo inadeguato a stabilire la connessione tra una reazione avversa e il vaccino inoculato, perché se c’è un’altra causa che può averlo scatenato (come infarto, diabete, tumore) esclude la correlazione, mentre nessun evento andrebbe sottostimato quando si somministra un farmaco che può dare reazioni non prevedibili, avremmo una panoramica ben diversa di quello che sta accadendo con le vaccinazioni anti Covid.
Secondo il rapporto annuale dell’Aifa, pubblicato con enorme ritardo una ventina di giorni fa, le segnalazioni arrivate sono state 117.920 su quasi 49 milioni di italiani vaccinati, delle quali appena 19.055 gravi (il 16,2% del totale). Il nesso di causalità con il vaccino è risultato correlabile nel 35,9% di tutte le gravi e indeterminato nel 37,7% di eventi avversi che hanno causato ospedalizzazione, pericolo immediato di vita, invalidità, anomalie congenite, decesso o «altra condizione clinicamente rilevante» solo perché c’è poca letteratura scientifica a riguardo.
In questa situazione grottesca, che esclude ai più il riconoscimento di danni subiti, ci chiediamo perché a nessuno sia venuto in mente di chiedere alle compagnie assicurative sanitarie italiane di fornire dati sui rimborsi presentati dai medici, come ha pensato bene di controllare la Bkk. Schöfbeck ha anche dichiarato che simili cifre possono essere «convalidate in modo relativamente semplice dal Pei e anche con breve preavviso, chiedendo ad altri tipi di assicurazione di valutare i dati a loro disposizione di chi ha chiesto assistenza post vaccino». Perché l’Aifa non lo fa?
Sapete che cosa ha risposto il Paul Ehrlich Institut? Che dopo 14 mesi dall’inizio delle vaccinazioni di massa contro il Covid, dovrebbe «partire a breve» uno studio non interventistico sostenuto e promosso dal ministero della Salute nel quale «dovrebbero essere valutate le indicazioni di diagnosi», nelle richieste di rimborsi medici pervenute alle assicurazioni, mettendoli in relazione con i dati del monitoraggio digitale della quota vaccinati». In Italia, comunque, nemmeno lo stanno progettando uno studio analogo.
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Lo sbandierato ritorno alla normalità è una bugia. Italiani meno liberi dei turisti stranieri Come dimostra la compagnia assicurativa tedesca Bkk, la vigilanza passiva non fotografa la reale entità degli effetti avversi Stessa criticità in Italia, dove i rischi del siero son calcolati in base alle poche segnalazioni. Ma l’Agenzia non cambia approccio.Lo speciale contiene due articoli. Quando dicono di voler chiudere tutto, chiudono tutto davvero, mentre quando dicono di voler riaprire, non riaprono un bel niente. In capo a due anni di pandemia, questo modo di agire da parte del ministro Roberto Speranza e delle autorità sanitarie si può ormai definire collaudato. Ed è evidentissimo proprio in questo frangente, laddove a fronte di una retorica da «liberi tutti» seguita all’annuncio del premier Mario Draghi di non voler prorogare oltre il prossimo 31 marzo lo stato d’emergenza, a guardare bene le carte si direbbe che l’impianto delle restrizioni, comprese quelle più severe e quelle partorite al punto più alto della curva dei contagi resta intatto. Con uno scenario, inoltre, che si trasformerà in paradossale quando i turisti extra-Schengen, una volta entrati nel nostro Paese, si troveranno ad avere più diritti e più libertà di movimento dei cittadini italiani. Ma andiamo per ordine: si sta parlando insistentemente di ritorno alla normalità, il che indurrebbe a pensare che si sia in procinto di abbandonare le norme più invasive, e cioè il super green pass obbligatorio per tutti i lavoratori over 50. Niente di tutto ciò, perché le norme attualmente in vigore e in procinto di essere convertite in legge al Senato nei prossimi giorni ci dicono che l’obbligo di vaccinazione per gli over 50 resterà almeno fino al 15 giugno. Stessa cosa per il super green pass obbligatorio per una serie di categorie lavorative, che continuerà a essere richiesto fino alla stessa data. Tutto ciò, a dispetto della crescente pressione politica di una parte ormai cospicua della stessa maggioranza, in primis della Lega che per ben due volte in Parlamento (prima in commissione poi in aula) ha cercato di portare a casa l’abolizione del green pass a partire dal primo aprile. Cos’è, dunque, che in concreto si potrà fare di più all’indomani della fine dello stato d’emergenza? Non molto, se è vero che per iniziare si dovrebbe «concedere» di mangiare nei locali all’aperto a chi avrà il green pass base, e non il super green pass come adesso. E chi ha parlato, ragionevolmente, della possibilità di eliminare del tutto la certificazione per i pasti consumati outdoor, è stato bollato come fautore di pericolose fughe in avanti. Sempre parlando di attività all’aperto, dal primo aprile non ci vorrà più il super green pass per palestre e piscine, bensì il pass base, mentre per entrare nei negozi non sarà più necessaria la certificazione. Sul fronte trasporti, poi, vige l’incertezza perché se da un lato cadrà dal primo aprile l’obbligo di super green pass per i mezzi di trasporto a lunga percorrenza, al momento non è chiaro se per i trasporti pubblici locali continuerà a servire il green pass rafforzato. Contraddizioni e incongruenze che raggiungono il picco, come accennato, sulla questione della (giusta) riapertura ai turisti extra-Ue, dal primo marzo. Questi, infatti, non dovranno più sottoporsi a quarantena e, al pari di quelli comunitari, potranno accedere a una serie di luoghi e attività previo tampone negativo, cosa che è ancora preclusa agli italiani. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-riapertura-e-una-presa-in-giro-lavoro-e-socialita-restano-negati-2656797561.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="aifa-immobile-sulle-reazioni-sottostimate" data-post-id="2656797561" data-published-at="1645887912" data-use-pagination="False"> Aifa immobile sulle reazioni sottostimate La denuncia, che abbiamo pubblicato ieri, di una grande compagnia di assicurazione tedesca, la Bkk ProVita con sede a Monaco di Baviera, che confuta i dati ufficiali delle segnalazioni avverse in Germania, giudicandoli sottostimati di almeno dodici volte, impone una seria riflessione su come viene gestito il monitoraggio delle reazioni post vaccino anti Covid. Andreas Schöfbeck, amministratore delegato dell’istituto finanziario che opera nel settore sanitario, ha scritto a Paul Cichutek, presidente del Paul Ehrlich Institut, (Pei), l’Istituto federale per i vaccini e la biomedicina che fa capo al ministero della Salute tedesco, allegando i risultati di una ricerca condotta in sette mesi e mezzo. Ben 216.695 assicurati, su un campione 10,9 milioni, ha avuto bisogno di cure e di assistenza medica, mentre il Pei ha pubblicato nel suo rapporto annuale solo 244.576 segnalazioni di reazioni avverse dopo aver vaccinato in 14 mesi 61,4 milioni di persone contro il Covid. Se da inizio 2021 alla metà del terzo trimestre, 216.695 tedeschi hanno avuto bisogno di ricorrere al medico dopo aver fatto la puntura anti Covid, Schöfbeck afferma di considerare «realistici fino ad oggi 400.000 visite dal medico da parte dei nostri assicurati a causa di complicazioni». Ma soprattutto ha proiettato i dati sull’intera popolazione germanica, ipotizzando che «sarebbero tre milioni i tedeschi che hanno sofferto di reazioni» post inoculazione. Il Pei ha poi risposto, in ritardo e in maniera molto evasiva, sostenendo che «le informazioni contenute nella lettera del Bkk sono generiche», che «non è specificato quanti dei casi siano lievi e quanti si riferiscono a reazioni gravi» e che non è chiaro «se effettivamente è stato stabilito un nesso causale con la vaccinazione». La «correlabilità» o meno di patologie invalidanti, disturbi gravi e decessi, segnalate dopo l’inoculazione, è una delle questioni che mettono in dubbio l’efficacia della farmacovigilanza così come viene condotta, assieme alla certezza che, se è al 94,8% passiva (di tipo spontaneo) e non attiva, quindi non da studi che registrano le reazioni avverse, le segnalazioni che arrivano all’Aifa saranno sempre in numero irrisorio. Ma attenzione, non è che solo emerga un quadro delle reazioni avverse non corrispondente alla realtà in quanto sottostimato, perciò inutile. Se vengono minimizzati o esclusi eventi seppur gravi, il messaggio sarà quello che il vaccino anti Covid funziona a meraviglia. Il Consiglio di Stato, nella sentenza dello scorso 20 ottobre in cui stabiliva che l’obbligo vaccinale imposto ai sanitari risponde a un «dovere di solidarietà», guarda caso teneva conto dei dati pubblicati a settembre dall’Aifa, nel nono rapporto di farmacovigilanza sui vaccini contro il Covid-19. Su 101.110 segnalazioni allora arrivate, quelle gravi corrispondevano al 14,4% del totale, affermava l’agenzia regolatoria, e per l’organo di consulenza giuridico amministrativa «le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile e i danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il Sars-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi gravi e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica». Capite bene che se le segnalazioni fossero state in numero maggiore, e se non ci si limitasse ad applicare l’algoritmo dell’Oms, da tempo inadeguato a stabilire la connessione tra una reazione avversa e il vaccino inoculato, perché se c’è un’altra causa che può averlo scatenato (come infarto, diabete, tumore) esclude la correlazione, mentre nessun evento andrebbe sottostimato quando si somministra un farmaco che può dare reazioni non prevedibili, avremmo una panoramica ben diversa di quello che sta accadendo con le vaccinazioni anti Covid. Secondo il rapporto annuale dell’Aifa, pubblicato con enorme ritardo una ventina di giorni fa, le segnalazioni arrivate sono state 117.920 su quasi 49 milioni di italiani vaccinati, delle quali appena 19.055 gravi (il 16,2% del totale). Il nesso di causalità con il vaccino è risultato correlabile nel 35,9% di tutte le gravi e indeterminato nel 37,7% di eventi avversi che hanno causato ospedalizzazione, pericolo immediato di vita, invalidità, anomalie congenite, decesso o «altra condizione clinicamente rilevante» solo perché c’è poca letteratura scientifica a riguardo. In questa situazione grottesca, che esclude ai più il riconoscimento di danni subiti, ci chiediamo perché a nessuno sia venuto in mente di chiedere alle compagnie assicurative sanitarie italiane di fornire dati sui rimborsi presentati dai medici, come ha pensato bene di controllare la Bkk. Schöfbeck ha anche dichiarato che simili cifre possono essere «convalidate in modo relativamente semplice dal Pei e anche con breve preavviso, chiedendo ad altri tipi di assicurazione di valutare i dati a loro disposizione di chi ha chiesto assistenza post vaccino». Perché l’Aifa non lo fa? Sapete che cosa ha risposto il Paul Ehrlich Institut? Che dopo 14 mesi dall’inizio delle vaccinazioni di massa contro il Covid, dovrebbe «partire a breve» uno studio non interventistico sostenuto e promosso dal ministero della Salute nel quale «dovrebbero essere valutate le indicazioni di diagnosi», nelle richieste di rimborsi medici pervenute alle assicurazioni, mettendoli in relazione con i dati del monitoraggio digitale della quota vaccinati». In Italia, comunque, nemmeno lo stanno progettando uno studio analogo.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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