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2022-02-26
Le restrizioni folli del green pass sopravvivono
(Ansa)
Quando dicono di voler chiudere tutto, chiudono tutto davvero, mentre quando dicono di voler riaprire, non riaprono un bel niente. In capo a due anni di pandemia, questo modo di agire da parte del ministro Roberto Speranza e delle autorità sanitarie si può ormai definire collaudato. Ed è evidentissimo proprio in questo frangente, laddove a fronte di una retorica da «liberi tutti» seguita all’annuncio del premier Mario Draghi di non voler prorogare oltre il prossimo 31 marzo lo stato d’emergenza, a guardare bene le carte si direbbe che l’impianto delle restrizioni, comprese quelle più severe e quelle partorite al punto più alto della curva dei contagi resta intatto.
Con uno scenario, inoltre, che si trasformerà in paradossale quando i turisti extra-Schengen, una volta entrati nel nostro Paese, si troveranno ad avere più diritti e più libertà di movimento dei cittadini italiani. Ma andiamo per ordine: si sta parlando insistentemente di ritorno alla normalità, il che indurrebbe a pensare che si sia in procinto di abbandonare le norme più invasive, e cioè il super green pass obbligatorio per tutti i lavoratori over 50. Niente di tutto ciò, perché le norme attualmente in vigore e in procinto di essere convertite in legge al Senato nei prossimi giorni ci dicono che l’obbligo di vaccinazione per gli over 50 resterà almeno fino al 15 giugno.
Stessa cosa per il super green pass obbligatorio per una serie di categorie lavorative, che continuerà a essere richiesto fino alla stessa data. Tutto ciò, a dispetto della crescente pressione politica di una parte ormai cospicua della stessa maggioranza, in primis della Lega che per ben due volte in Parlamento (prima in commissione poi in aula) ha cercato di portare a casa l’abolizione del green pass a partire dal primo aprile.
Cos’è, dunque, che in concreto si potrà fare di più all’indomani della fine dello stato d’emergenza? Non molto, se è vero che per iniziare si dovrebbe «concedere» di mangiare nei locali all’aperto a chi avrà il green pass base, e non il super green pass come adesso. E chi ha parlato, ragionevolmente, della possibilità di eliminare del tutto la certificazione per i pasti consumati outdoor, è stato bollato come fautore di pericolose fughe in avanti. Sempre parlando di attività all’aperto, dal primo aprile non ci vorrà più il super green pass per palestre e piscine, bensì il pass base, mentre per entrare nei negozi non sarà più necessaria la certificazione. Sul fronte trasporti, poi, vige l’incertezza perché se da un lato cadrà dal primo aprile l’obbligo di super green pass per i mezzi di trasporto a lunga percorrenza, al momento non è chiaro se per i trasporti pubblici locali continuerà a servire il green pass rafforzato.
Contraddizioni e incongruenze che raggiungono il picco, come accennato, sulla questione della (giusta) riapertura ai turisti extra-Ue, dal primo marzo. Questi, infatti, non dovranno più sottoporsi a quarantena e, al pari di quelli comunitari, potranno accedere a una serie di luoghi e attività previo tampone negativo, cosa che è ancora preclusa agli italiani.
Aifa immobile sulle reazioni sottostimate
La denuncia, che abbiamo pubblicato ieri, di una grande compagnia di assicurazione tedesca, la Bkk ProVita con sede a Monaco di Baviera, che confuta i dati ufficiali delle segnalazioni avverse in Germania, giudicandoli sottostimati di almeno dodici volte, impone una seria riflessione su come viene gestito il monitoraggio delle reazioni post vaccino anti Covid. Andreas Schöfbeck, amministratore delegato dell’istituto finanziario che opera nel settore sanitario, ha scritto a Paul Cichutek, presidente del Paul Ehrlich Institut, (Pei), l’Istituto federale per i vaccini e la biomedicina che fa capo al ministero della Salute tedesco, allegando i risultati di una ricerca condotta in sette mesi e mezzo.
Ben 216.695 assicurati, su un campione 10,9 milioni, ha avuto bisogno di cure e di assistenza medica, mentre il Pei ha pubblicato nel suo rapporto annuale solo 244.576 segnalazioni di reazioni avverse dopo aver vaccinato in 14 mesi 61,4 milioni di persone contro il Covid. Se da inizio 2021 alla metà del terzo trimestre, 216.695 tedeschi hanno avuto bisogno di ricorrere al medico dopo aver fatto la puntura anti Covid, Schöfbeck afferma di considerare «realistici fino ad oggi 400.000 visite dal medico da parte dei nostri assicurati a causa di complicazioni».
Ma soprattutto ha proiettato i dati sull’intera popolazione germanica, ipotizzando che «sarebbero tre milioni i tedeschi che hanno sofferto di reazioni» post inoculazione. Il Pei ha poi risposto, in ritardo e in maniera molto evasiva, sostenendo che «le informazioni contenute nella lettera del Bkk sono generiche», che «non è specificato quanti dei casi siano lievi e quanti si riferiscono a reazioni gravi» e che non è chiaro «se effettivamente è stato stabilito un nesso causale con la vaccinazione».
La «correlabilità» o meno di patologie invalidanti, disturbi gravi e decessi, segnalate dopo l’inoculazione, è una delle questioni che mettono in dubbio l’efficacia della farmacovigilanza così come viene condotta, assieme alla certezza che, se è al 94,8% passiva (di tipo spontaneo) e non attiva, quindi non da studi che registrano le reazioni avverse, le segnalazioni che arrivano all’Aifa saranno sempre in numero irrisorio. Ma attenzione, non è che solo emerga un quadro delle reazioni avverse non corrispondente alla realtà in quanto sottostimato, perciò inutile. Se vengono minimizzati o esclusi eventi seppur gravi, il messaggio sarà quello che il vaccino anti Covid funziona a meraviglia.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza dello scorso 20 ottobre in cui stabiliva che l’obbligo vaccinale imposto ai sanitari risponde a un «dovere di solidarietà», guarda caso teneva conto dei dati pubblicati a settembre dall’Aifa, nel nono rapporto di farmacovigilanza sui vaccini contro il Covid-19. Su 101.110 segnalazioni allora arrivate, quelle gravi corrispondevano al 14,4% del totale, affermava l’agenzia regolatoria, e per l’organo di consulenza giuridico amministrativa «le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile e i danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il Sars-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi gravi e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica». Capite bene che se le segnalazioni fossero state in numero maggiore, e se non ci si limitasse ad applicare l’algoritmo dell’Oms, da tempo inadeguato a stabilire la connessione tra una reazione avversa e il vaccino inoculato, perché se c’è un’altra causa che può averlo scatenato (come infarto, diabete, tumore) esclude la correlazione, mentre nessun evento andrebbe sottostimato quando si somministra un farmaco che può dare reazioni non prevedibili, avremmo una panoramica ben diversa di quello che sta accadendo con le vaccinazioni anti Covid.
Secondo il rapporto annuale dell’Aifa, pubblicato con enorme ritardo una ventina di giorni fa, le segnalazioni arrivate sono state 117.920 su quasi 49 milioni di italiani vaccinati, delle quali appena 19.055 gravi (il 16,2% del totale). Il nesso di causalità con il vaccino è risultato correlabile nel 35,9% di tutte le gravi e indeterminato nel 37,7% di eventi avversi che hanno causato ospedalizzazione, pericolo immediato di vita, invalidità, anomalie congenite, decesso o «altra condizione clinicamente rilevante» solo perché c’è poca letteratura scientifica a riguardo.
In questa situazione grottesca, che esclude ai più il riconoscimento di danni subiti, ci chiediamo perché a nessuno sia venuto in mente di chiedere alle compagnie assicurative sanitarie italiane di fornire dati sui rimborsi presentati dai medici, come ha pensato bene di controllare la Bkk. Schöfbeck ha anche dichiarato che simili cifre possono essere «convalidate in modo relativamente semplice dal Pei e anche con breve preavviso, chiedendo ad altri tipi di assicurazione di valutare i dati a loro disposizione di chi ha chiesto assistenza post vaccino». Perché l’Aifa non lo fa?
Sapete che cosa ha risposto il Paul Ehrlich Institut? Che dopo 14 mesi dall’inizio delle vaccinazioni di massa contro il Covid, dovrebbe «partire a breve» uno studio non interventistico sostenuto e promosso dal ministero della Salute nel quale «dovrebbero essere valutate le indicazioni di diagnosi», nelle richieste di rimborsi medici pervenute alle assicurazioni, mettendoli in relazione con i dati del monitoraggio digitale della quota vaccinati». In Italia, comunque, nemmeno lo stanno progettando uno studio analogo.
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Lo sbandierato ritorno alla normalità è una bugia. Italiani meno liberi dei turisti stranieri Come dimostra la compagnia assicurativa tedesca Bkk, la vigilanza passiva non fotografa la reale entità degli effetti avversi Stessa criticità in Italia, dove i rischi del siero son calcolati in base alle poche segnalazioni. Ma l’Agenzia non cambia approccio.Lo speciale contiene due articoli. Quando dicono di voler chiudere tutto, chiudono tutto davvero, mentre quando dicono di voler riaprire, non riaprono un bel niente. In capo a due anni di pandemia, questo modo di agire da parte del ministro Roberto Speranza e delle autorità sanitarie si può ormai definire collaudato. Ed è evidentissimo proprio in questo frangente, laddove a fronte di una retorica da «liberi tutti» seguita all’annuncio del premier Mario Draghi di non voler prorogare oltre il prossimo 31 marzo lo stato d’emergenza, a guardare bene le carte si direbbe che l’impianto delle restrizioni, comprese quelle più severe e quelle partorite al punto più alto della curva dei contagi resta intatto. Con uno scenario, inoltre, che si trasformerà in paradossale quando i turisti extra-Schengen, una volta entrati nel nostro Paese, si troveranno ad avere più diritti e più libertà di movimento dei cittadini italiani. Ma andiamo per ordine: si sta parlando insistentemente di ritorno alla normalità, il che indurrebbe a pensare che si sia in procinto di abbandonare le norme più invasive, e cioè il super green pass obbligatorio per tutti i lavoratori over 50. Niente di tutto ciò, perché le norme attualmente in vigore e in procinto di essere convertite in legge al Senato nei prossimi giorni ci dicono che l’obbligo di vaccinazione per gli over 50 resterà almeno fino al 15 giugno. Stessa cosa per il super green pass obbligatorio per una serie di categorie lavorative, che continuerà a essere richiesto fino alla stessa data. Tutto ciò, a dispetto della crescente pressione politica di una parte ormai cospicua della stessa maggioranza, in primis della Lega che per ben due volte in Parlamento (prima in commissione poi in aula) ha cercato di portare a casa l’abolizione del green pass a partire dal primo aprile. Cos’è, dunque, che in concreto si potrà fare di più all’indomani della fine dello stato d’emergenza? Non molto, se è vero che per iniziare si dovrebbe «concedere» di mangiare nei locali all’aperto a chi avrà il green pass base, e non il super green pass come adesso. E chi ha parlato, ragionevolmente, della possibilità di eliminare del tutto la certificazione per i pasti consumati outdoor, è stato bollato come fautore di pericolose fughe in avanti. Sempre parlando di attività all’aperto, dal primo aprile non ci vorrà più il super green pass per palestre e piscine, bensì il pass base, mentre per entrare nei negozi non sarà più necessaria la certificazione. Sul fronte trasporti, poi, vige l’incertezza perché se da un lato cadrà dal primo aprile l’obbligo di super green pass per i mezzi di trasporto a lunga percorrenza, al momento non è chiaro se per i trasporti pubblici locali continuerà a servire il green pass rafforzato. Contraddizioni e incongruenze che raggiungono il picco, come accennato, sulla questione della (giusta) riapertura ai turisti extra-Ue, dal primo marzo. Questi, infatti, non dovranno più sottoporsi a quarantena e, al pari di quelli comunitari, potranno accedere a una serie di luoghi e attività previo tampone negativo, cosa che è ancora preclusa agli italiani. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-riapertura-e-una-presa-in-giro-lavoro-e-socialita-restano-negati-2656797561.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="aifa-immobile-sulle-reazioni-sottostimate" data-post-id="2656797561" data-published-at="1645887912" data-use-pagination="False"> Aifa immobile sulle reazioni sottostimate La denuncia, che abbiamo pubblicato ieri, di una grande compagnia di assicurazione tedesca, la Bkk ProVita con sede a Monaco di Baviera, che confuta i dati ufficiali delle segnalazioni avverse in Germania, giudicandoli sottostimati di almeno dodici volte, impone una seria riflessione su come viene gestito il monitoraggio delle reazioni post vaccino anti Covid. Andreas Schöfbeck, amministratore delegato dell’istituto finanziario che opera nel settore sanitario, ha scritto a Paul Cichutek, presidente del Paul Ehrlich Institut, (Pei), l’Istituto federale per i vaccini e la biomedicina che fa capo al ministero della Salute tedesco, allegando i risultati di una ricerca condotta in sette mesi e mezzo. Ben 216.695 assicurati, su un campione 10,9 milioni, ha avuto bisogno di cure e di assistenza medica, mentre il Pei ha pubblicato nel suo rapporto annuale solo 244.576 segnalazioni di reazioni avverse dopo aver vaccinato in 14 mesi 61,4 milioni di persone contro il Covid. Se da inizio 2021 alla metà del terzo trimestre, 216.695 tedeschi hanno avuto bisogno di ricorrere al medico dopo aver fatto la puntura anti Covid, Schöfbeck afferma di considerare «realistici fino ad oggi 400.000 visite dal medico da parte dei nostri assicurati a causa di complicazioni». Ma soprattutto ha proiettato i dati sull’intera popolazione germanica, ipotizzando che «sarebbero tre milioni i tedeschi che hanno sofferto di reazioni» post inoculazione. Il Pei ha poi risposto, in ritardo e in maniera molto evasiva, sostenendo che «le informazioni contenute nella lettera del Bkk sono generiche», che «non è specificato quanti dei casi siano lievi e quanti si riferiscono a reazioni gravi» e che non è chiaro «se effettivamente è stato stabilito un nesso causale con la vaccinazione». La «correlabilità» o meno di patologie invalidanti, disturbi gravi e decessi, segnalate dopo l’inoculazione, è una delle questioni che mettono in dubbio l’efficacia della farmacovigilanza così come viene condotta, assieme alla certezza che, se è al 94,8% passiva (di tipo spontaneo) e non attiva, quindi non da studi che registrano le reazioni avverse, le segnalazioni che arrivano all’Aifa saranno sempre in numero irrisorio. Ma attenzione, non è che solo emerga un quadro delle reazioni avverse non corrispondente alla realtà in quanto sottostimato, perciò inutile. Se vengono minimizzati o esclusi eventi seppur gravi, il messaggio sarà quello che il vaccino anti Covid funziona a meraviglia. Il Consiglio di Stato, nella sentenza dello scorso 20 ottobre in cui stabiliva che l’obbligo vaccinale imposto ai sanitari risponde a un «dovere di solidarietà», guarda caso teneva conto dei dati pubblicati a settembre dall’Aifa, nel nono rapporto di farmacovigilanza sui vaccini contro il Covid-19. Su 101.110 segnalazioni allora arrivate, quelle gravi corrispondevano al 14,4% del totale, affermava l’agenzia regolatoria, e per l’organo di consulenza giuridico amministrativa «le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile e i danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il Sars-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi gravi e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica». Capite bene che se le segnalazioni fossero state in numero maggiore, e se non ci si limitasse ad applicare l’algoritmo dell’Oms, da tempo inadeguato a stabilire la connessione tra una reazione avversa e il vaccino inoculato, perché se c’è un’altra causa che può averlo scatenato (come infarto, diabete, tumore) esclude la correlazione, mentre nessun evento andrebbe sottostimato quando si somministra un farmaco che può dare reazioni non prevedibili, avremmo una panoramica ben diversa di quello che sta accadendo con le vaccinazioni anti Covid. Secondo il rapporto annuale dell’Aifa, pubblicato con enorme ritardo una ventina di giorni fa, le segnalazioni arrivate sono state 117.920 su quasi 49 milioni di italiani vaccinati, delle quali appena 19.055 gravi (il 16,2% del totale). Il nesso di causalità con il vaccino è risultato correlabile nel 35,9% di tutte le gravi e indeterminato nel 37,7% di eventi avversi che hanno causato ospedalizzazione, pericolo immediato di vita, invalidità, anomalie congenite, decesso o «altra condizione clinicamente rilevante» solo perché c’è poca letteratura scientifica a riguardo. In questa situazione grottesca, che esclude ai più il riconoscimento di danni subiti, ci chiediamo perché a nessuno sia venuto in mente di chiedere alle compagnie assicurative sanitarie italiane di fornire dati sui rimborsi presentati dai medici, come ha pensato bene di controllare la Bkk. Schöfbeck ha anche dichiarato che simili cifre possono essere «convalidate in modo relativamente semplice dal Pei e anche con breve preavviso, chiedendo ad altri tipi di assicurazione di valutare i dati a loro disposizione di chi ha chiesto assistenza post vaccino». Perché l’Aifa non lo fa? Sapete che cosa ha risposto il Paul Ehrlich Institut? Che dopo 14 mesi dall’inizio delle vaccinazioni di massa contro il Covid, dovrebbe «partire a breve» uno studio non interventistico sostenuto e promosso dal ministero della Salute nel quale «dovrebbero essere valutate le indicazioni di diagnosi», nelle richieste di rimborsi medici pervenute alle assicurazioni, mettendoli in relazione con i dati del monitoraggio digitale della quota vaccinati». In Italia, comunque, nemmeno lo stanno progettando uno studio analogo.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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