
L'ex presidente della tv di Stato, Monica Maggioni, a colloquio con il leader siriano. Il servizio doveva uscire a inizio dicembre ma è stato stoppato. Ira di Damasco, persino arabi e cinesi accusano: cattiva informazione. Un caso che al limite potrebbe essere sindacale, sta diventando un incidente diplomatico con la Siria. L'eco arriva fino ai Paesi arabi e in Cina e per evitare una figuraccia internazionale forse c'è tempo fino a stasera. Il giallo è quello dell'intervista realizzata da Monica Maggioni, amministratore delegato di Rai Com ed ex presidente Rai, al presidente siriano Bashar al Assad. Un'intervista slittata rispetto alla programmazione di Rai News 24 - prevista il 2 dicembre scorso - che ora i media siriani minacciano di trasmettere comunque senza la contemporaneità prevista dagli accordi. La reazione di Damasco è molto irritata: Marwa Osman, portavoce della presidenza, ha sottolineato in una nota che la data prevista per la messa in onda era il 2 dicembre, però la Maggioni ha chiesto un rinvio «per motivi incomprensibili». L'ufficio stampa di Assad sottolinea che la richiesta di rinvio è stata reiterata e nessuna data è fissata per la trasmissione: questo, secondo i siriani, «implica che l'intervista non sarà trasmessa». Lo staff della presidenza annuncia che «se l'intera intervista non sarà trasmessa dall'italiana Rai News 24 nei prossimi due giorni, la trasmetteremo noi sugli account presidenziali social e sui media nazionali siriani lunedì 9 dicembre alle 9, ora di Damasco».Ma il commento politico è ben più pesante: «Sarebbe stato meglio per un operatore europeo aderire ai principi proclamati dall'Occidente, specialmente alla luce del fatto che opera in un Paese che è parte dell'Unione europea, che dovrebbe tutelare la libertà di stampa e il rispetto della diversità di opinioni come parte essenziale dei propri valori». Ovvero, il regime siriano accusa la Rai di censura con «uno dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria».Allo schiaffo della presidenza siriana ieri mattina ha risposto con una nota l'amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, che ha addirittura preso le distanze dall'operazione, sottolineando che «l'intervista al presidente siriano Bashar al Assad, realizzata dall'ad di Rai Com, Monica Maggioni, non è stata effettuata su commissione di alcuna testata Rai. Pertanto non poteva venire concordata a priori una data di messa in onda». E qui cominciano le perplessità. La Maggioni, oltre ad essere amministratore delegato di Rai Com, è stata inviata di punta del Tg1, ex direttore di Rai News 24 ed ex presidente Rai, quindi non una giornalista sprovveduta che si mette a fare interviste ai capo di Stato senza averle prima concordate. Secondo quanto appurato dall'Agi, il caso è nato tra domenica 1 e lunedì 2 dicembre. La giornalista aveva proposto il servizio al direttore di Rai News 24, Antonio Di Bella, il quale l'avrebbe ritenuto interessante, tanto da attivare la redazione esteri del canale «all news» per uno speciale da mandare il lunedì sera nel corso di Checkpoint, prevedendo un collegamento con la corrispondente da Istanbul, Lucia Goracci, e con la presenza in studio a Roma di Francesco Strazzari, professore associato di relazioni internazionali alla Scuola superiore Sant'Anna di Pisa. Ma lunedì pomeriggio Strazzari viene bloccato mentre è in viaggio per Roma: la trasmissione è stata annullata e l'intervista non andrà in onda. Era appena sceso in campo l'Usigrai - unico e potente sindacato dei giornalisti Rai, mai tenero con l'ex presidentessa Maggioni durante la sua esperienza ai vertici di viale Mazzini - che avrebbe posto il veto in quanto l'amministratore delegato di Rai Com non avrebbe alcun ruolo all'interno delle redazioni dell'emittente di Stato. «Chiarito che né Rai News 24 né alcuna altra testata della Rai ha commissionato l'intervista al presidente della Siria Assad, né quindi ha preso impegni a trasmetterla, chi ha assunto accordi con la presidenza della Siria per conto della Rai? E perché?», s'interroga il sindacato guidato da Vittorio Di Trapani, «Fermo restando che non si può cedere ad alcun ultimatum da parte di nessuno, men che meno da parte del capo dello Stato di un Paese straniero, siamo di fronte a una vicenda imbarazzante. È necessario l'intervento dei vertici perché è in gioco l'autorevolezza della Rai, la credibilità internazionale sua e dell'Italia». Per l'Usigrai una giornalista di Rai Com non è più giornalista e la sua intervista va cestinata anche se in Siria, al di là delle accuse di scarsa democrazia, forse stanno ridendo della Rai e dell'Italia. E non solo lì.La versione araba del sito russo Sputnik è stata tra i primi a dare la notizia. Ripresa poi dai principali siti di altri Paesi, tra cui l'egiziano Youm7 e il libanese Lebanon 24, ma anche sul canale di news iraniano Al Alam e sulla tv irachena Al Sumaria. Ne ha parlato Al Jazeera, mentre l'anchorman di un canale qatarino, Faisal Al Qassem, ne ha scritto sulle proprie pagine Twitter (5,5 milioni di follower) e Facebook (13,5 milioni). L'Arabic Post titola: «Il regime di Assad è arrabbiato con un canale italiano e lo minaccia...». Nella ricostruzione, il fatto viene valutato così: «L'Italia teme che le persone interpretino l'intervista come un riavvicinamento della posizione italiana nei confronti della Siria, specie perché nei giorni scorsi qualcuno aveva dichiarato che Roma è intenzionata a riprendere i rapporti con Damasco». E ancora: «Non è escluso che ciò che ha dichiarato Assad nel colloquio non sia in linea con quanto si attendono i politici italiani». Sui social il dibattito è tra chi accusa il presidente siriano di non avere riconoscimento dall'Europa perché considerato a capo di un regime sanguinario e chi invece accusa l'Ue di non voler dare anche la versione di Damasco della guerra siriana. »La tv italiana rimanda la trasmissione dell'intervista ad Assad e Damasco accusa l'Occidente di nascondere la verità», titolano invece le agenzie stampa della Cina, Hangzou e Huanqiu, dove la libertà di stampa non è esattamente all'ordine del giorno.
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.