2018-08-23
La Procura sequestra i telefoni dei manager di Autostrade
Le Fiamme gialle acquisiscono dati nelle sedi di Aspi a Genova, Roma e Firenze. Gli inquirenti vogliono appurare quale fosse il grado di consapevolezza sulle condizioni del Morandi. La commissione ministeriale sui monconi del ponte: «Vanno demoliti».Bus giù dal viadotto, morirono 40 persone. I periti: «Poca manutenzione sul guard rail».Lo speciale contiene due articoliAlle 9 del mattino di ieri i finanzieri del Gruppo di Genova, agli ordini del colonnello Ivan Bixio, si sono presentati, non annunciati, nel quartier generale romano di Autostrade per l'Italia, nel quartiere Collatino, con un decreto di sequestro per i reati di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e attentato alla sicurezza dei trasporti. L'atto è stato notificato all'amministratore delegato Giovanni Castellucci. A lui, al presidente Fabio Cerchiai e a un'altra dozzina di dirigenti con incarichi in qualche modo collegabili alla sicurezza della rete autostradale sono stati «clonati» gli smartphone e i computer di lavoro. Ha consegnato i suoi dispositivi elettronici anche Paolo Berti, direttore centrale delle operazioni di Autostrade, l'uomo a cui fanno diretto riferimento i responsabili regionali. Su tutti questi nomi si sta concentrando l'attenzione degli inquirenti che stanno ricostruendo faticosamente la catena di comando legata alla sicurezza. Le Fiamme gialle hanno portato via telefonino e pc anche al responsabile genovese del tronco d'autostrada colpito dal crollo, Stefano Marigliani. I sequestri, piuttosto invasivi, sono avvenuti a Genova, Roma e Firenze, dove gli investigatori hanno acquisito 12 terabyte di dati di posta elettronica, contenuti nel server dell'ufficio toscano di Autostrade. Per capire meglio l'organizzazione della società, con ruoli e responsabilità, i finanzieri hanno sentito a sommarie informazioni un paio di dirigenti del gruppo della sede di Roma. La prima sensazione è che la sicurezza della rete sia delegata alle strutture periferiche ovvero ai responsabili dei singoli tronchi. Dopo aver esaminato la documentazione, i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile, che indagano sul crollo coordinati dall'aggiunto Paolo D'Ovidio, avverranno le prime iscrizioni sul registro degli indagati e inizieranno gli interrogatori veri e propri. La Procura in particolare si starebbe concentrando sul parere del provveditorato alle opere pubbliche di Genova dell'1 febbraio 2018, già acquisito dagli inquirenti, con cui il provveditorato stesso, un ufficio periferico del ministero delle Infrastrutture, che all'epoca era guidato da Graziano Delrio, diede l'ok al progetto di ristrutturazione di ponte Morandi presentato da Autostrade. A suscitare le maggiori perplessità da parte degli inquirenti sono le osservazioni finali contenute nel parere. Si legge nell'ultima pagina del documento: «Benché, come già notato, le indagini sperimentali e il sistema di monitoraggio appaiano completi e molto dettagliati, si rilevano alcuni aspetti discutibili per quanto riguarda la stima della resistenza del calcestruzzo». Quindi si elencano i punti deboli: il metodo utilizzato (Sonreb-Win) che «è scientificamente ormai ritenuto fallace»; si aggiunge che «non viene precisato quale tassello per pull-out sia stato impiegato». Per i tecnici del ministero questa notazione non sarebbe «marginale perché nella letteratura scientifica è documentato che determinati tasselli per pull-out, specie se la curva di taratura non tiene conto dello stato tensionale nell'elemento strutturale, potrebbero portare a sovrastime anche del 100% della resistenza del calcestruzzo». Il linguaggio è molto tecnico, ma si capisce che i calcoli potevano essere sbagliati persino del 100%. Ma se c'era il rischio di sovrastimare la resistenza del calcestruzzo, come è stato possibile accontentarsi di quelle indagini sperimentali?I pm di Genova, con ogni probabilità, rivolgeranno queste domande a chi ha firmato il parere, ovvero il provveditore di Genova, Roberto Ferrazza, che presiede il comitato tecnico amministrativo, e i quattro relatori: gli ingegneri Salvatore Buonaccorso, Giuseppe Sisca, Mario Servetto e Antonio Brencich. Ferrazza e Brencich sono anche, rispettivamente, presidente e componente della commissione ministeriale che sta indagando sul crollo. È chiaro che nel nuovo ruolo rischiano di avere un clamoroso conflitto d'interesse e per questo non è escluso che possano decidere di dimettersi o che vengano costretti a farlo. Un altro documento che i pm valuteranno è uno studio del 2011 presentato da Autostrade nell'ambito delle procedure per la costruzione della Gronda autostradale, in cui si legge che «il traffico provoca un intenso degrado della struttura del viadotto Morandi, in quanto sottoposta a ingenti sollecitazioni». Intanto, l'Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone ha chiesto ad Autostrade per l'Italia l'invio degli atti predisposti e necessari per la manutenzione del viadotto approvati dal Cda. Ieri a Genova è tornata la paura, a causa dei monconi di ponte rimasti in piedi e, ovviamente, a rischio. La commissione ministeriale ha infatti evidenziato per «la pila 10, sopravvissuta al crollo, uno stato di degrado dei materiali di grado più elevato, 4 su una scala di 5, rispetto a quello che era stato riscontrato nella pila 9 crollata, che risultava di livello 3». Secondo la commissione «non vi è alternativa all'abbattimento dei piloni, in particolare partendo dal 10, quello di Levante, che insiste sulle abitazioni evacuate». Il governatore della Liguria, Giovanni Toti, ha scritto ad Autostrade sollecitando un intervento: «Stante le rilevate condizioni di pericolo, si resta in attesa di conoscere le attività che Autostrade per l'Italia intende immediatamente porre in essere per la messa in sicurezza o demolizione dei tronconi del viadotto non collassati e instabili». La Verità ha sentito il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, il quale sul punto ha cercato di calmare gli animi: «Ho visto che la Prefettura ha comunicato che c'è un livello di corrosività 4 rispetto al livello 3 della parte collassata. Ma non significa di per sé che sia in pericolo di crollo».Carlo Tarallo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-procura-sequestra-i-telefoni-dei-manager-2598184772.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dalla-perizia-su-acqualonga-altra-grana-per-autostrade" data-post-id="2598184772" data-published-at="1757873132" data-use-pagination="False"> Dalla perizia su Acqualonga altra grana per Autostrade Quel tratto della A16 Napoli-Canosa era da declassare. Incuria e assenza di manutenzione hanno insanguinato uno dei suoi viadotti: 40 morti e una bimba costretta su una sedia a rotelle. Un'altra tragedia - aggravata dalla gestione di Autostrade per l'Italia - è raccontata in un processo in corso ad Avellino. «È un processo di cui non parla più nessuno», scrive Giuseppe Caporale su Tiscalinews, «e dove perfino le 109 parti civili si sono dileguate, dopo essere state liquidate dall'assicurazione di Autostrade per l'Italia con un assegno complessivo di 30 milioni di euro». È il processo nel quale sono imputati proprio i vertici della società, che in questo momento sono nella bufera per la tragedia del ponte Morandi. L'accusa: omicidio colposo plurimo e disastro colposo. Perché la colpa del volo di 50 metri del bus precipitato dal viadotto di Acqualonga a una velocità pazzesca, dopo aver travolto una barriera che non ne ha retto il peso la sera del 28 luglio 2013, stando alla ricostruzione della Procura non va attribuita soltanto al proprietario dell'agenzia che noleggiò il mezzo (Mondo travel). Sotto accusa ci sono anche i vertici di Autostrade: l'amministratore delegato Giovanni Castellucci e il direttore generale Riccardo Mollo. A giudizio insieme a tutti i componenti della direzione centrale: Giulio Massimo Fornaci, responsabile della pavimentazione e dell'articolazione delle barriere di sicurezza; Marco Perna, responsabile delle barriere di sicurezza sul tratto autostradale A16 Napoli-Canosa; i direttori degli ultimi anni del sesto tronco, Nicola Spadavecchia, Paolo Berti, Michele Renzi, Gianluca De Franceschi, Michele Maietta, Giovanni Marrone e Antonio Sorrentino. Il vero atto di accusa nei confronti di Autostrade per l'Italia è contenuto in una relazione tecnica richiesta dalla Procura avellinese ai periti Alessandro Lima, Andrea Demaggi, Lorenzo Caramma e Vittorio Gianotto: «La barriera non ha funzionato come avrebbe dovuto e come avrebbe potuto in condizioni di corretta manutenzione, a causa dell'elevato stato di corrosione dei tirafondi. E il degrado dei tirafondi è la causa fisica principale del fatto che la barriera non è stata in grado di contenere il veicolo». «All'epoca dell'installazione», ossia tra il 1988 e 1989, ha svelato Tiscalinews, «la barriera denominata New Jersey bordo ponte e posizionata dall'ente statale Società autostrade era sicuramente all'avanguardia e adeguata alle caratteristiche del traffico del periodo. Ma i tirafondi di ancoraggio della barriera hanno subìto, già nei primi anni dalla loro installazione, una estesa corrosione e in seguito non è intervenuto alcun controllo o intervento manutentivo specifico benché localmente siano stati eseguiti negli anni alcuni lavori che hanno richiesto la rimozione e successivo ricollocamento dei New Jersey. Di certo, la stessa barriera con tutti i tirafondi integri durante l'incidente avrebbe contenuto agevolmente l'autobus sul viadotto». Che, quindi, non sarebbe volato giù. In poche parole, delle 40 vittime, qualcuna (o forse tutte) avrebbe potuto non rimetterci la vita. E soprattutto, in uno dei passaggi della relazione, l'indice è puntato contro Autostrade: «La situazione di particolare pericolosità del tratto in esame avrebbe richiesto una maggiore attenzione nella gestione e manutenzione dello stesso, e un approccio di progressivo adeguamento negli anni di tale importante infrastruttura». La descrizione sembra sovrapponibile a moltissimi tratti autostradali italiani. E, stando alle scoperte investigative della Procura, a compromettere ancor più la posizione di Autostrade per l'Italia ci sono i risparmi sulla manutenzione: tra il 2008 e il 2009 ci furono alcuni interventi proprio per la revisione dei New Jersey, ma si decise di risistemare solo una parte di quelli posti lungo i 3.000 chilometri della rete autostradale. Rimasero fuori dal piano di intervento, per non far salire troppo i costi, proprio i New Jersey che erano presenti sul viadotto della A16. La difesa di Autostrade sta cercando di dimostrare che la colpa è tutta da affibbiare alla velocità del bus. Nella perizia di parte, affidata al professor Marco Boniardi del Politecnico di Milano, però, in un passaggio si ammette che gli ancorati (i cosiddetti tirafondi) erano arrugginiti. La loro efficienza, tuttavia, sostiene Autostrade, non era in discussione. E comunque «la possibilità che ciò potesse insorgere sulle strutture non era prevedibile, né in precedenza era mai stata osservata». Stando alle valutazioni del professor Boniardi, nessuna barriera sarebbe stata in grado di contenere quell'impatto. Ma il bus, prima di fare il salto nel vuoto, per qualche istante si fermò contro la barriera. E a confermarlo è stata una delle due donne sopravvissute. A settembre verrà depositata la super perizia che il Tribunale ha affidato al professore dell'Università di Parma Felice Giuliani. Toccherà a lui l'ultima parola sugli ancorati. Poi la sentenza. Fabio Amendolara
Jose Mourinho (Getty Images)