
Tutti i media si inginocchiano di fronte ai guru della Silicon Valley e celebrano lo store appena aperto. Non è un negozio, ma una chiesa. Anzi: una catacomba, perfetto approdo dello zombie iperconesso.Sessanta euro, il costo è sempre quello. Rompi il vetro? Sessanta euro. I liquidi del display vanno insieme? Sessanta euro. Il telefonino muore d'infarto da batteria consumata e vuoi recuperare i dati? Sessanta euro. Da Jonas, in una traversa di via Paolo Sarpi a Milano, l'Apple Store è un delizioso buco pieno di cover colorate e di accessori non del tutto certificati. L'unica certezza è il prezzo, che conferma il calvinismo cinese del titolare dietro il banco e che rende secondario l'evento di culto dell'estate milanese di scena oggi fra i gridolini ammirati delle sciure targate Vuitton: l'apertura del secondo Apple Store della città, quello ufficiale, quello esperienziale, quello che «vibra con il fremito del mondo». Quello che trasforma l'elettrodomestico aggiustato da Jonas (come un tostapane o un forno a microonde) in un oggetto di culto. Finalmente abbiamo capito il senso del parallelepipedo nero attorno al quale danzano le scimmie di Stanley Kubrick.Da quello che stanno scrivendo e mostrando in video un po' tutti i media italiani estasiati, oggi non si inaugura un negozio, ma una chiesa. L'approccio è messianico, lo slogan è metafisico: «Reinventare il futuro». E la posizione è quella che si deve mantenere entrando in un luogo di culto: in ginocchio. Piazza Liberty era bella anche prima, ma dalle recensioni del manufatto progettato dallo studio dell'archistar britannica Norman Foster (la cascata d'acqua, la pietra a beola, la scalinata verso la boutique nel sottosuolo) sembra che tutto questo sia stato inventato dalla genialità suprema di Apple per celebrare sé stessa. Per la verità il complesso somiglia a un ingresso della metropolitana di Stoccolma, ma è meglio tenercelo per noi, rischieremmo di passare per parvenu. Anche perché questo per la casa madre non è solo uno dei 17 negozi italiani, ma un flagship store, vale a dire un prestigioso luogo di rappresentanza. In fondo è un format, tutto ciò somiglia al primo Apple Store, quello di Manhattan con cubo di vetro a livello strada e spazi shopping sottoterra sulla Fifth Avenue. Con un vantaggio: chi non sentiva il bisogno di sfinirsi davanti a un display o allo schermo di un computer poteva sempre rifugiarsi fra i giocattoli di Fao Schwarz o attraversare la strada e andare a cercare le anatre scomparse da Central Park con una copia del Giovane Holden in tasca.Di fronte a una religione come quella della mela morsicata nulla è banale; solo i fedeli riescono a intuirne l'originalità. Per questo Giuseppe Caropreso, direttore marketing dell'Europa del Sud dell'azienda, fa bene a precisare che questo non sarà un negozio «ma un luogo di esperienze». Frase che aumenta il calore corporeo in una giornata d'afa perché di luoghi d'esperienza nei quali si vendono borse, scarpe, foulard e giacche da 10.000 euro a Milano negli ultimi 30 anni ne sono stati inaugurati tanti. Ma lui spiega: «Qui si terranno corsi dal disegno alla fotografia, anche con passeggiate per la città con i tutor, lezioni di montaggio video e sviluppo app, laboratori per bambini fino a quelli riservati agli insegnanti per avvicinarli ai possibili uso didattico della tecnologia».La strategia è chiara. Non si attira solo il cliente di oggi, ma si educa anche quello di domani, perché il rito laico dello smartphone e del computer più cool del mondo non abbia flessioni, secondo le indicazioni del guru fondatore Steve Jobs. Tutti in ginocchio da Apple; la faccenda è imbarazzante esattamente come quando - in pieno delirio digitale - un'eccentrica giuria decise di attribuire il premio È giornalismo a Google, che non ha mai prodotto una notizia di suo e si guarda bene dal pagare quelle che draga sul web agli altri. Qui i violini suonano celestiali sinfonie. La fontana non è come tutte le altre, ma «un gioco creato le mezzo di 4000 goccioline. Man mano che il giorno evolve lei risponde all'umore, lentamente illuminandosi man mano che il cielo notturno si oscura». C'è la cultura di Cupertino, alla quale va affiancata - secondo la stucchevole narrazione da messa cantata - l'umanità di Cupertino: 230 posti di lavoro giustificano ogni applauso, dimenticandosi che, pedalando sui suoi sandali, Foodora ne ha messi in campo di più. Peraltro è ancora impresso nella nostra memoria l'annuncio congiunto di Tim Cook e Matteo Renzi per la nascita di un centro di sviluppatori a Napoli con 600 opportunità lavorative mai viste. L'erede del fondatore fu anche omaggiato con una moka, tipico prodotto dell'imprenditoria locale, come si conviene per tenere buono un sacerdote in pellegrinaggio ufficiale. Il top del politicamente corretto è raggiunto dal Corriere della Sera quando sottolinea la sensibilità di Apple nel far costruire la sede con materiali del territorio: beole italiane, finiture italiane, artigiani dalle mani d'oro italiani. Morale: «Cupertino sceglie il made in Italy». Come a Madrid sceglierebbe il made in Spain e a Melbourne il made in Australia, perché senza trasporto tutto costa meno. Oggi la nuova chiesa viene inaugurata nel centro di Milano. Catacombale chic perché si va sottoterra. Perfetto approdo dello zombie digitale che vive con l'attenzione perennemente connessa alla realtà del momento, vale a dire il display dello smartphone più bello del mondo. Quello con la mela sbocconcellata sul dorso, che non è un brand ma un modo di vivere, di percepire il futuro, di allinearsi, di annusarsi e riconoscersi in una società dai valori liquidi, dominata dalla superficialità digitale. Come i bomber per i paninari e gli Swatch negli anni Novanta. È la legge dell'iPhone, che dà un senso finalmente a 2001 Odissea nello spazio e ne sviscera la schiavitù tecnologica barattata con una simbologia che tende al bello, al funzionale. Questo ci racconta l'evento di oggi, con tartine d'ordinanza e aria condizionata a palla. Siamo pronti per il rito, per gli applausi di un'umanità senza dissenso, per le beole lombarde e le gocce d'acqua che annunciano la sera. Tutto marketing. Lo chiamano un «luogo di incontro dinamico», ma è un negozio. Dove l'eternità promessa dal produttore ha la garanzia un anno. Così prima o poi avrai bisogno di Jonas, dove Milano diventa Chinatown. Ricordati di portare sessanta euro.
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)
Il maliano che a fine agosto ha abusato di una ragazza alla stazione di San Zenone al Lambro era stato fatto uscire dal Cpr da una toga di Magistratura democratica, nonostante le denunce di maltrattamenti in famiglia.
Il ministro degli Interni tedesco Alexander Dobrindt con il cancelliere Friedrich Merz (Ansa)
Chissà se c’è un giudice a Berlino. Se c’è, mi domando che tipo sarà. Avrà la faccia e le idee di Elisabetta Meyer, la toga che ha liberato Harouna Sangare, il maliano che poi ha stuprato una ragazza in attesa del treno a San Zenone al Lambro?
Massimo Cacciari (Getty Images)
Massimo Cacciari: «Purtroppo c’è sempre la moda di contrapporre morti di serie A e di serie B Se l’unica soluzione proposta per Kiev e Gaza è un altro conflitto, poi non stupiamoci».