2020-11-28
La priorità del governo è spalancare i porti
Iniziano i lavori d'aula per abolire i decreti sicurezza di Matteo Salvini: l'esecutivo pone la fiducia alla Camera e si prepara a ripristinare l'accoglienza indiscriminata, con i relativi business oscuri. Il leader leghista: «Con tutti i problemi che ci sono, è urgente questo?»Storia di Marzio Carrara: decenni di lavoro onesto messi in dubbio per qualche articolo.Lo speciale contiene due articoli. Con alcuni settori produttivi del Paese, come la ristorazione e il turismo, in ginocchio e in piena emergenza sanitaria, il governo mostra i muscoli esclusivamente su una questione: smantellare i decreti sicurezza di Matteo Salvini. Ieri, per voce del ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà, ha posto la fiducia nell'aula della Camera sul nuovo decreto immigrazione, qualificando, di fatto, le politiche sull'accoglienza come fondamentali rispetto alla propria azione politica. Dall'approvazione del decreto immigrazione, quindi, dipenderà la tenuta del Conte bis. L'esame del provvedimento che interviene in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modificando alcuni articoli del codice penale, e che riporta l'Italia al 2018, è cominciato ieri alla Camera. Prevede la cancellazione delle multe per le Ong, nessuna confisca di navi e - soprattutto - un grande ritorno: il meccanismo della protezione umanitaria con un allargamento delle maglie della protezione speciale. Con tempi più brevi pure per la concessione della cittadinanza. E costi più alti per l'accoglienza: tornano i 35 euro a cranio, con il nuovo Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), nel quale finiranno oltre ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati, anche i richiedenti asilo. Una sorta di Sprar 2.0. E approderà in aula senza nemmeno aver concluso l'esame degli emendamenti (dei 1.500 presentati inizialmente, la maggior parte del Carroccio, il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia del M5s, ne aveva bocciati 400, salvo poi riammetterne 250. Alla fine ne sono rimasti in piedi 1.076, ma non sono stati discussi). Altri emendamenti sono stati già approvati, come quello presentato dal Pd riguardante i flussi, con i dem che hanno chiesto l'abolizione delle quote massime di stranieri da ammettere sul territorio nazionale per lavoro subordinato. E poi ci sono quelli presentati da Laura Boldrini, per estendere il divieto di espulsione a coloro che potrebbero essere perseguitati non solo per questioni razziali, di sesso, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali o sociali, ma anche per orientamento sessuale e identità di genere. Ma pure per bloccare le espulsioni degli immigrati anche se il provvedimento di allontanamento emesso da un giudice è già esecutivo. Nonostante uno straniero sia stato formalmente espulso e la sua domanda di ingresso in Italia già bocciata una volta, potrà ripresentare una seconda domanda per tentare di rimanere. La maggioranza giallorossa, per far passare la riforma, punta anche su un semplice trucco: sul provvedimento presentato c'è una clausola di invarianza finanziaria, che si applica quando dalla norma non discendono nuovi oneri a carico della finanza pubblica. Quindi ufficialmente non sono previste ulteriori spese rispetto ai decreti Salvini. «È ovvio che i costi lieviteranno in corso d'opera», spiega alla Verità Nicola Molteni, responsabile del dipartimento sicurezza e immigrazione della Lega, che aggiunge: «Non riusciranno a far fronte all'ondata di ingressi, che è già tre volte superiore a quella dell'anno precedente, e dovranno trovare un modo per finanziare l'accoglienza con cifre esorbitanti. Con questo decreto si alimenta solamente il business dei permessi di soggiorno, la finta accoglienza e la finta solidarietà. Basti pensare che tornano i famosi 35 euro per migrante a fronte dei 19-26 euro dei decreti Salvini. In pratica, riprende la macchina mangiasoldi della finta integrazione che torna a macinare servizi e forniture per chiunque approdi in Italia. Coop e associazioni ringraziano. Mentre altri Paesi Ue chiudono e difendono le frontiere e rafforzano le normative interne a tutela degli interessi di sicurezza nazionale, la cancellazione dei decreti Salvini rende l'Italia il campo profughi d'Europa a cielo aperto». Il centrodestra ha chiesto il rinvio dell'atto in commissione, con una richiesta, avanzata da Igor Iezzi della Lega a nome di tutta l'opposizione e ribadita anche da Ylenia Lucarelli (Fdi) e Giusy Bartolozzi (Forza Italia), motivata dall'assenza di una relazione da parte del governo, oltre che del parere della commissione Bilancio di Montecitorio. «La Camera si occupa dei decreti sicurezza, ma è urgente? Mi domando perché si parli di clandestini e sbarchi con i problemi che ci sono», ha commentato Matteo Salvini. «Noi», ha aggiunto, «ci opporremo alla cancellazione di questi decreti, riaprire i porti non è prioritario. Staremo in aula finché non ritirano gli emendamenti». Al voto di lunedì alla Camera una frangia di dissidenti grillini cercherà, invece, di mitigare uno dei capisaldi della riforma voluta da Luciana Lamorgese: lo stop al sequestro delle navi delle Ong per il salvataggio dei migranti. Un passaggio diametralmente opposto rispetto a quello sostenuto dai pentastellati quando il ministro dell'Interno era Salvini. E che potrebbe creare più di qualche imbarazzo anche al premier Giuseppe Conte.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-priorita-del-governo-e-spalancare-i-porti-2649063866.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="stampo-dei-manifesti-per-lega-e-si-ritrova-in-croce-per-i-49-milioni" data-post-id="2649063866" data-published-at="1606508222" data-use-pagination="False"> Stampò dei manifesti per Lega e si ritrova in croce per i 49 milioni «Mai avuto una tessera politica, io lavoro per chi mi paga. In 40 anni di attività ho stampato manifesti, brochure e santini per tutti i partiti, non solo per la Lega. Del resto faccio lo stampatore. Non è ancora vietato». Marzio Carrara è un imprenditore bergamasco incappato suo malgrado in un singolare sport, la pesca a strascico a caccia dei presunti fondi della Lega. Che oggi sono come la pentola in fondo all'arcobaleno, eccitano gli animi mediatici come le inchieste che accompagnavano Silvio Berlusconi negli anni d'oro. Il problema dei castelli di carte è che, quando cadono, qualcuno ci rimane sotto. Magari senza colpa, solo perché passava di lì. È il caso di Carrara, entrato da qualche settimana negli articoli dei giornali di mezza Italia che ricostruiscono i rapporti tra la Lega e i famosi commercialisti Alberto Di Rubba, Michele Scillieri, Andrea Manzoni (agli arresti domiciliari) nell'indagine su Film Commission e sui 49 milioni di rimborsi elettorali. Dipinto come il responsabile di un giro di denaro da 29 milioni in entrata e in uscita «senza una reale provenienza né i beneficiari della somma», Carrara si è svegliato una mattina nel ruolo di uomo misterioso dai contorni opachi. Ma in quei panni non si riconosce. «Ma quali opachi, è tutto chiaro. Per la Lega ho stampato prodotti elettorali per 70.000 euro relativi alla campagna per le politiche del 2018: ci sono ordini, fatture e consegne fatte attraverso corrieri a livello nazionale, tutto tracciato al centesimo. Per quanto riguarda i 29 milioni, sono frutto di un'operazione di acquisizione e vendita assolutamente trasparente. Nel 2017 con la mia società Agh ho comprato per 5 milioni il gruppo Arti Grafiche dal colosso tedesco Bertelsmann che non lo riteneva più strategico e l'ho rivenduto nel 2018 a un altro colosso del settore, il gruppo Pozzoni, per 29. Una plusvalenza importante, frutto di una valorizzazione ritenuta interessante dal mercato. Anche qui è tutto tracciato, atti e flussi finanziari. Nella mia vita non mi sono mai nascosto davanti a niente». Il problema di Carrara è il rapporto con Di Rubba, da anni suo consulente ed entrato per un periodo in società con lui nella Agh. Una liaison che ha fatto scattare l'interesse della guardia di finanza e dei media. Poiché lo stampatore bergamasco non è propriamente un imprenditore che sta con le mani in mano, c'è un passaggio in più: con i 29 milioni ha comprato Lediberg e oggi dà lavoro a un migliaio di persone. Realizza prodotti cartacei di ogni genere, è leader nel settore agende, Smemoranda esce dalle sue rotative. «Di Rubba mi ha sempre seguito nell'attività. Negli articoli si chiede conto di pagamenti a lui per 214.000 euro: sono due anni di lavoro, ho semplicemente onorato il contratto. Se lui aveva rapporti con la Lega, questo non può essere un problema mio. Sono stato messo in croce anche per l'acquisizione di Lediberg da un fondo del Curaçao, come se lì si nascondesse l'inghippo. Ma quel fondo è arrivato in Italia nel 2013 con procedura ufficiale, passando attraverso il tribunale. Tutto in chiaro. Dal fondo Iris Capital ho comprato un'azienda, non era mio. E per fare le cose per bene, senza correre rischi di opacità, non ho mandato i soldi dell'acquisto a Curaçao come avrei potuto ma li ho fatti depositare su un conto corrente italiano appoggiato allo studio Dentons di Milano, l'advisor legale del venditore. Capisco la diffidenza, ma dopo una vita ad alzarmi alle 5 di mattina e a pensare solo a lavorare mi ritrovo la reputazione a zero. Controllare prima di sparare a una persona non sarebbe stato difficile». Carrara lo spiega con amarezza, teme che banche e clienti scappino perché «lavorando con clienti istituzionali, insinuazioni simili ti fanno diventare improvvisamente brutto anche se sei bello. Ho una famiglia, sono sempre andato a testa alta nella mia città, Bergamo. Adesso dovrei vergognarmi anche se non ho fatto niente di illegale. Oggi se qualcuno digita il mio nome in Google sembro Totò Riina. Chi mi risarcisce dei danni d'immagine?». Quelli che stanno condizionando pesantemente l'operatività dell'azienda, con mille famiglie preoccupate per il futuro. Marzio Carrara ha ricevuto numerosi accertamenti dalla guardia di finanza, svolti con minuziosa attenzione: nessuna contestazione. Non è indagato, non è stato convocato come persona informata dei fatti. Però è finito nel tritacarne. «Questa faccenda mi ha insegnato a non avere mai più a che fare con i partiti politici, neppure per lavoro. Impieghi mezzo secolo a costruirti una solida reputazione e ti viene demolita in un mese».