2019-06-15
La pesca, frutto sacro salvato dai conventi
Adorata dagli egizi, dopo la caduta dell'impero romano d'occidente la sua coltivazione venne abbandonata. I monaci ne piantarono più varietà negli orti e la tramandarono. Nel Medioevo era considerata una cura, per i cinesi era un simbolo di fertilità e immortalità.«La pesca vuole il vino». Lo comanda un vecchio proverbio al quale i nostri vecchi obbedivano volentieri: negli afosi pomeriggi estivi di un tempo nemmeno troppo lontano, la merenda consisteva in una pesca affettata in un bicchiere e annegata in un vinello fresco. La pesca nel vino, talvolta, sostituiva il pranzo. Lo snobistico melone e prosciutto era di là da venire. Proverbio e merenda, con varie sfumature dialettali, erano conosciuti in tutt'Italia, dalla Val d'Aosta alla Calabria, dal Friuli alla Sicilia. Sentenziavano i veneti: «El pèrsego col vin, el figo con l'acqua». Raccomandavano i calabresi: «Perzichi 'ntru vinu». Suggerivano i napoletani come conclusione di un pasto o come aperitivo prima d'iniziarlo: «'O vino cu 'a percoca». E l'estate in riva al Tevere si dissetava con un mangia e bevi allettante: la persica in un bicchiere di vino, freddo, dei Castelli Romani.Il matrimonio tra la drupa e il vino è uno dei più resistenti nel tempo. Ai tempi di Apicio, persica cum mulso (vino e miele), era un raffinato dessert. Secoli dopo, in pieno medioevo, la scuola medica salernitana lo caldeggia nel Regimen sanitatis: «Le persiche col mosto usar si deono». Nel Cinquecento la pesca è presente nei quadri di Arcimboldo e Caravaggio.Il bellini di CiprianiMerenda, aperitivo o dolce, la pesca nel vino è ancor oggi un fantastico mangiare. Non s'offendano gli amici veneziani, ma Giuseppe Cipriani dell'Harry's Bar, ideando nel 1948 il Bellini, non inventò nulla di nuovo. Da geniale barman qual era, esaltò il tradizionale persego col vin con le bollicine del Prosecco facendolo diventare uno dei più famosi cocktail del mondo. Cipriani ricreò nel calice da aperitivo il radioso color rosa del celebre pittore rinascimentale veneziano, battezzandolo Bellini in suo onore e codificandone gli ingredienti: 10 centilitri di Prosecco e 5 grammi di polpa di pesca bianca veronese.In Sicilia potete provare lo stesso cocktail con la dolcissima pesca tabacchiera dell'Etna, aggiungendo un bianco che nasce dalle stesse lave o zibibbo o moscato di Pantelleria. Freddi, naturalmente. Una goduria. Fino a qualche anno fa la tabacchiera la conoscevano soltanto i siciliani. Si chiama così per la forma schiacciata. Diffusa, un tempo, nelle vallate del Simeto e dell'Alcantara, ha varcato lo Stretto facendosi apprezzare nel continente e interessando le capacità imprenditoriali e i suoli fertili di Marche e Romagna sui quali sono state sperimentate nuove varietà di pesche, commercializzate con il nome di saturnine perché ricordano Saturno, il pianeta schiacciato ai poli.Giardini persianiIl pesco è originario dalla Cina. Conserva nel nome scientifico, Prunus persica, il richiamo alla Persia, perché noi europei per millenni abbiamo creduto che venisse dall'antica terra di Ciro il Grande. Fu Alessandro Magno a scoprire la pianta nei giardini del re persiano Dario III, al quale aveva tolto l'impero, e a importarla in Occidente. In quasi tutti i dialetti italiani è rimasto il riferimento al presunto luogo d'origine della pesca. È persek in Lombardia, persego in Veneto, persag in Emilia; perseca nel Lazio; persega in Liguria; persica in Calabria e Puglia. Perfino nel Canton Ticino e in Corsica chiamano così il frutto: persegh in Svizzera, parsica sull'isola un tempo genovese, ora francese. Nell'antico Egitto la pesca era conosciuta ancor prima di Alessandro. Era il frutto sacro di Harpechrat, l'Horus fanciullo, rappresentato come un bimbetto con un pennacchio di capelli sulla zucca e con l'indice della mano destra sulle labbra. Per questa raffigurazione era considerato il dio dell'infanzia e del silenzio. Che sia per questo che le guanciotte vellutate dei bambini in carne sono paragonate alla pesca che ha una buccia liscia e morbida? «O ragazza dalle guance di pesca/ o ragazza dalle guance d'aurora...», canta Italo Calvino in Oltre il ponte. La napoletana Ada Negri, giornalista e poetessa, dà un pizzicotto in versi: «I bei frutti del pesco./ Tondi come rosse sfere/ e vellutati come offerte/ guance di bimbo».Coltivato prima in Grecia e poi a Roma, il malum persicum, la mela persiana, conobbe tanta buona letteratura. Ne parlò, ovviamente, Plinio, secondo il quale le migliori erano le duracine, ma anche Columella, Marziale e Dioscoride dissero la loro sulla drupa. Dopo la caduta dell'impero romano d'occidente e la decadenza dell'agricoltura di pregio, la coltivazione del pesco venne abbandonata. Furono i monaci dei conventi a salvarlo, piantandone più varietà nei loro orti, e a traghettarlo dal medioevo all'età moderna.In Cina il pesco- albero, fiore e frutto- erano considerati in epoca remota, simboli di immortalità e, per la precoce fioritura, di fertilità e di fedeltà. Le spose si adornavano con i rosei boccioli. Anche in Giappone i fiori di pesco hanno profondi significati. Tra gli altri sono considerati talismani che proteggono contro le insidie del maligno. Nel linguaggio dei fiori, regalare un rametto di fiori di pesco equivale a una dichiarazione d'amore senza fine. Se intendete farne dono o tatuarlo su una spalla, accertatevi prima dei vostri reali sentimenti e di quelli del partner. Magari, prima, riascoltate Lucio Battisti: «Fiori di rosa fiori di pesco/ stasera esco... no, non sto sbagliando mi ami/ dimmi che è vero/ dimmi che è vero...».L'Italia vanterebbe diverse varietà di pesche. Il condizionale è d'obbligo perché, purtroppo, la biodiversità italiana, una delle più ricche al mondo, sta soffrendo da decenni l'impoverimento, o addirittura la scomparsa, di specie arboree (e non solo di quelle). Un rapporto della Fao, l'organizzazione mondiale che si occupa del cibo e dell'agricoltura, ha certificato che nell'ultimo secolo, in Italia, c'è stata una perdita di varietà di alberi da frutto- pesco, albicocco, ciliegio, pero...-, pari ai tre quarti di quelle che esistevano cent'anni fa. Un'apocalisse. Ci siamo impoveriti di bellezza e di sapori. Siamo alla frutta.Resistono, grazie a intelligenti coltivatori, alcune vecchie varietà di pesche che s'accompagnano alle nuove, risultato di modificazioni genetiche. C'è la pesca a pasta gialla, succosa e profumata, quella a pasta bianca, la nettarina con la buccia liscia come il culetto di un neonato: tutte ottime per preparare confetture, gelati, macedonie e favolosi dolci.La percoca campanaLa Campania è famosa per la percoca, pesca soda col nocciolo bel ancorato alla polpa. Alcune varietà, come quella di Siano, hanno ottenuto dal ministero la medaglia del Pat, Prodotto alimentare tradizionale. Della pesca tabacchiera abbiamo detto. Al di là dello Stretto troviamo la deliziosa merendella calabrese, pesca antica che rischia di essere dimenticata perché di taglia piccola e di colore bianco-verdognolo.Un ricordo va a una pesca indimenticabile e sempre più introvabile: la sanguinella. Capolavoro di bellezza e di bontà, ha la buccia di un bellissimo rosso antico e la polpa vermiglia come un affresco pompeiano. Sugosa, quando l'addentavamo, ci sbrodolava mento e petto. Pietro Andrea Mattioli, botanico senese del Cinquecento, la descrive così nei Discorsi: «Le persiche o pesche sono di più e diverse sorti, come delle rosse, delle gialle, delle verdi, delle bianche, delle vermiglie simili a sangue, dette pesche carote, col qual nome e con quello di pesche sanguigne si conoscono fra noi».Vinose e sanguinelleNel Casentino la chiamano pesca vinosa per il colore rosso rubino; pesca da vino o pesca del sangue nelle Marche. Ad Alfredo Panzini, scrittore marchigiano, ricordavano rotondità rinascimentali: «Pesche rotonde come natiche/ di putti quattrocenteschi,/ rosse come la voluttà». In pasticceria le sanguinelle sono state prese a modello per confezionare paste fantastiche: il rosso della «polpa» - pan di spagna e crema pasticciera- è dato dall'alkermes. Sono famose le pesche di Prato e i «pesconi» di Santa Lucia di Villafranca di Verona.