2019-09-09
La nuova vittima del Me too: Achille. Così si distrugge il maschio forte
L'ultimo romanzo di Pat Barker racconta l'eroe omerico dal punto di vista delle donne, dipingendolo come un macellaio stupratore. Un grottesco simbolo della cancellazione della virilità, in atto da tempo.Il movimento Me too, quello che ha creato la psicosi molestie, ha individuato un'altra vittima eccellente su cui accanirsi. No, non stiamo parlando di Placido Domingo, di Morgan Freeman o di qualche altro Vip dello spettacolo. In questo caso il bersaglio è molto più alto, e sul suo conto non ci possono essere dubbi, perché sicuramente non ha commesso ciò di cui viene accusato. La nuova vittima del Me too è Achille, nientemeno. Sì, esatto: l'eroe omerico. Il Pelide Achille, la cui ira funesta infiniti addusse lutti agli Achei. L'atto d'accusa nei suoi confronti è il celebratissimo romanzo di Pat Barker in uscita per Einaudi e intitolato Il silenzio delle ragazze. Il Financial Times lo ha presentato come «la versione femminista dell'Iliade di Omero, nella quale ben si vedono gli effetti della guerra degli uomini sulle donne». La prima riga del libro dà il via alla rampogna: «Grande Achille. Eccezionale Achille, splendente Achille, Achille simile a un dio. [...] Noi non l'abbiamo mai chiamato in nessuno di questi modi; noi lo chiamavamo “il macellaio"». La voce narrante è quella di Briseide, nota ai più per essere stata la schiava di Achille, quella che - nel racconto omerico - gli viene strappata da Agamennone (da cui l'ira funesta e i disastri che ne scaturiscono). In realtà, la ragazza si chiamava Ippodamia, ed era di nobili origini. Nata a Lirnesso, in Asia Minore, figlia di Briseo, sacerdotessa di Apollo. Fu data in sposa a un sovrano, Minete re di Cilicia, ma la sua vita cambiò quando arrivarono gli achei. Il romanzo della Barker inizia nel pieno dell'assedio di Lirnesso. Gli uomini sono fuori, sul campo, a farsi massacrare dai greci. Le donne si sono rifugiate nella cittadella. Mentre attende che il destino si compia, Briseide riflette e parla, alternando terrore e rabbia. Riferendosi agli uomini soffia: «Loro sono i guerrieri, con i loro elmi e armature, le loro spade e le loro lance, e sembra che non vedano le nostre battaglie - o preferiscano non vederle. Forse se si rendessero conto che non siamo le gentili creature che loro credono la loro pace mentale ne sarebbe disturbata?». Briseide odia Achille ancor prima di vederlo. Lui le ha ucciso il fratello, ha sgominato suo marito e ha preso la sua città. Poi l'ha presa prigioniera e l'ha condotta nella sua tenda. «Che posso dire? Non è stato crudele», dice la donna. «Scopa velocemente come uccide, e per me è stata la stessa cosa. Qualcosa dentro di me è morto quella notte. Resto distesa lì, odiandolo, pensando chiaramente che non ha fatto nulla che non fosse perfettamente suo diritto». Insomma, il succo del discorso ormai si è capito. Nel romanzo della Barker, Achille diventa il simbolo dell'oppressione maschile sulle donne. Un macellaio, un assassino, uno stupratore di schiave, un uomo che «possiede» le femmine in tutti i sensi. Un nemico. Eppure il testo omerico ci rimanda un'immagine dell'eroe molto diversa. Certo, da un guerriero greco - e che guerriero - non possiamo aspettarci che corteggi la sua prigioniera, le prepari un bagno caldo con i sali e le massaggi i piedi prima di giacere con lei. Ma è pur vero che Achille ama Briseide. Siamo abituati a ricordare il suo pianto per la morte dell'amico Patroclo, ma il Pelide scoppia in lacrime anche quando gli viene portata via la donna che ormai è nel suo cuore. Quando il sovrano atride gli strappa «Briseide dalle belle guance», Achille se ne va straziato: «Allora Achille scoppiò a piangere e subito si ritirava in disparte, lontano dai compagni, e si sedeva in riva al grigio mare. Guardava la distesa sconfinata delle acque. E prese ad invocare vivamente sua madre tendendo le braccia». Nell'epoca del Me too, però, i sentimenti dell'eroe non contano. Oggi si rivaluta ogni tipo di figura femminile: dalla Circe raccontata da Madeline Miller a Medea (riabilitata da Christa Wolf e altri). Ogni figura femminile ha diritto a comprensione e attenzione. Qualche esempio? Lorena Bobbitt è diventata recentemente l'eroina di un documentario che sembra quasi celebrarne le gesta. In Italia è da poco uscito il film Charlie Says, di Mary Harron, dedicato alle ragazze della «famiglia Manson». Hanno brutalmente massacrato persone innocenti, ma pure per loro c'è compassione e giustificazione. Vengono presentate come vittime di un mondo crudele e, soprattutto, come vittime della mascolinità tossica perfettamente incarnata da Charles Manson. Purtroppo, nell'era del Me too, tra un Achille e un Manson c'è poca differenza. Entrambi maschi violenti. Entrambi «macellai». Il primo è soltanto un poco meno spaventoso. Tuttavia, l'eroe omerico - proprio in quanto eroe e rappresentante di una civiltà tradizionale - diventa il grande nemico, l'istituzione da abbattere. Anzi, a dire il vero l'istituzione è stata già abbattuta, come certifica lo studioso francese Marcel Gauchet in un libro fondamentale ora pubblicato da Vita e pensiero. Si intitola La fine del dominio maschile, e parla di una «detronizzazione pacifica del maschio». In verità, di pacifico c'è stato bene poco. Forse non ci sono stati linciaggi e impiccagioni in piazza, ma la violenza non è mancata, così come gli stupri e i saccheggi. La figura del nostro Achille, per esempio, si può dire che negli ultimi tempi sia stata deturpata come il corpo morto di Ettore trascinato da un carro. Il Pelide, dicevamo, incarna la maschilità. È un esempio dei più importanti. Bello, biondo, forte, un semidio. Egli cresce potente nel corpo e nello spirito, viene educato al combattimento e all'arte. Per diventare un uomo - proprio come Parsifal - deve liberarsi dell'influenza materna. Per sottrarlo alla guerra, infatti, sua madre Teti lo conduce a Sciro, dal re Licomede, e lo fa nascondere vestito da donna. Per nove anni egli rimane celato al mondo, ma poi il suo destino si deve compiere: arriverà Ulisse a ricondurlo sulla via delle armi. Achille è il «paradigma del guerriero», per cui - come ha scritto Stefano Re - «due sono le forme assolute in cui il genere maschile trova risposta alla necessità di giustificare la propria esistenza: l'arte e la guerra». Oggi, tale paradigma deve essere cancellato. Achille diviene sopportabile soltanto se smitizzato, depotenziato, modificato. Se viene rappresentato come nel film Troy - dove a impersonarlo troviamo Brad Pitt: bello, biondo, muscoloso, eterosessuale - il Pelide risulta intollerabile. Diviene digeribile, invece, nella versione di Madeline Miller, che nel romanzo La canzone di Achille si concentra sul rapporto d'amore con Patroclo e sulla «naturalezza con cui i greci antichi riconobbero e accettarono l'omosessualità». Ecco, l'Achille Lgbt perde un connotato di durezza, è più difficile presentarlo come «il macellaio» descritto da Pat Barker, lo stupratore insensibile e feroce. Un'altra versione accettabile è quella vista nella serie Troy. La caduta di Troia realizzata nel 2018 dalla Bbc. In questo caso Achille è nero, dunque appartenente a una minoranza etnica, quindi sottratto al «potere» e alla «sopraffazione» che sono caratteristiche del «dominio maschile». Ancora una volta, la figura di Achille è l'emblema del maschio, che ora deve scegliere: o pericoloso macellaio e violentatore, o minoranza inoffensiva. Insomma, l'importante è che la potenza maschile sia tolta di mezzo. E purtroppo, la missione ormai è compiuta.
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