2020-07-03
La notte di Entebbe diede all’Europa una lezione che non ha mai imparato
entebbe 1976@ David Rubinger/CORBIS/Getty Images
Mentre in Occidente la sinistra scendeva in piazza con le bandiere palestinesi, 44 anni fa Israele liberò 102 ostaggi con un'operazione capolavoro in Uganda. Mostrando che il terrorismo si può battere sul suo terreno.Un puntino sui radar, poi un ronzio lontano. Nessuno si scompone alla torre di controllo, anche perché il pilota del Piper comunica qualcosa di banale: «Sono in avaria, giro qui sopra per capire la situazione. Scusate». È un agente del Mossad decollato da Nairobi e sta facendo fotografie del vecchio terminal dove sono prigioniere in condizioni da lager 257 persone guardate a vista dai terroristi del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e dall'esercito ugandese. Pochi minuti dopo, nuovo messaggio: «Non posso atterrare». Il piccolo aereo da turismo si allontana. Comincia con una beffa da film l'operazione più brillante nella storia dei raid militari; il 3 luglio di 44 anni fa (1976) scende la notte di Entebbe.Per l'Occidente minacciato dai dirottamenti di Settembre nero è il segno che il terrorismo si può sconfiggere senza scendere a patti, per l'estremismo islamico coccolato dalla meglio gioventù europea in keffiah è il colpo più duro. E per la Storia è la conferma che la doppia morale della sinistra globalista (fiancheggiatrice pelosa di ogni violenza a senso unico) sarà un fattore di debolezza per l'Europa. Con un gesto temerario Israele apre un varco, non cede ai ricatti di Yasser Arafat e fa capire che i terroristi di Al Fatah si possono battere su loro stesso terreno, quello del blitz. Il volo Air France 139 è ostaggio di un intero Paese, l'Uganda del sanguinario Idi Amin, diventato musulmano per interesse geopolitico. L'Airbus A300, partito da Tel Aviv il 27 giugno alla guida del comandante Michel Bacos, viene sequestrato subito dopo il decollo dallo scalo di Atene, un colabrodo dal punto di vista della sicurezza. Qui salgono i quattro terroristi armati, due arabi e due tedeschi con passaporto sudamericano: sono Wilfried Böse e la sua ex compagna, Brigitte Kuhlmann, amici di Carlos lo Sciacallo, cellule del gruppo Revolutionäre Zellen. Pochi minuti di volo e si impadroniscono dell'aereo con 246 passeggeri (la maggioranza israeliani) e 12 membri dell'equipaggio. L'A300 atterra a Bengasi in Libia con la copertura di Muhammar Gheddafi. Ma è solo uno scalo tecnico, la destinazione finale è in Uganda, Entebbe, nel cuore dell'Africa, aeroporto inespugnabile. E mentre l'Europa comincia a litigare sulle strategie da mettere in atto (con il contorno delle bandiere rosse in piazza a favore della causa palestinese), i terroristi presentano la lista della spesa: liberazione dalle carceri di Germania, Francia, Svizzera, Kenya e Israele di 53 complici. C'è anche un arcivescovo, Hilarion Capucci, primate della chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme, condannato per avere trasportato nella sua auto ufficiale armi per Al Fatah. Francia e Germania tergiversano, calare le braghe per placare la piazza è già una strategia contemplata. Ma a Tel Aviv la pensano diversamente, studiano il blitz impossibile e affidano il caso al colonnello Avigdor Ben Gal, un eroe, ex comandante della brigata corazzata che durante la guerra del Kippur difese il Golan in condizioni di netta inferiorità. Temono il peggio: nelle cinque ore di volo verso Entebbe, la Kuhlmann esibisce tutto il campionario degli insulti antisemiti. A dare ragione agli interventisti israeliani ci sono due particolari: una volta arrivati a destinazione, i passeggeri si trovano davanti altri tre aguzzini dell'Fplp di Haddad armati con kalashnikov e bombe a mano. La conta degli israeliani diventa scientifica. Dirà Sarah Davidson, un ostaggio, alla fine dell'incubo: «I terroristi si sentivano sicuri di sé. Eravamo intrappolati nelle loro mani come topi fra le zampe di un gatto».La prigionia è dura all'Entebbe Hilton. In realtà è un vecchio terminal con il tetto di lamiere, caldo soffocante e cimici. Chi osa muoversi viene tranquillizzato con il calcio del fucile. E quando i primi 47 ostaggi non ebrei vengono rilasciati, gli altri intuiscono che è in atto la più atroce delle pratiche, la «selektzia» dei nazisti al tempo dei lager. La prigionia si trasforma in segregazione. Dirà un prigioniero: «Quando sentii i due tedeschi urlare, gli ebrei a destra!, mi sembrò di essere tornato indietro di 32 anni». Per coprire lo scandalo, Idi Amin si presenta al vecchio terminal, mellifluo e doppio. Saluta tutti con «Shalom», ma quando un ostaggio gli si rivolge con l'espressione «Signor presidente, ci aiuti», si infuria. E come ricordato nel libro Il raid di Entebbe di Simon Dunstan (Bam editore) pretende di essere chiamato «sua eccellenza feldmaresciallo dottor Idi Amin Dada».Il primo luglio Israele decide il blitz e lo chiama operazione Thunderbolt. Il dubbio riguarda la strategia: mandare 1.000 uomini a fare la guerra in Uganda, a 3.500 chilometri di distanza da casa, è impossibile perché il Kenya non li farebbe mai decollare da Nairobi. Lanciare paracadutisti nel lago Vittoria con i gommoni Zodiac è una strategia suicida; la sorpresa sarebbe vincente tranne che per i coccodrilli che banchetterebbero come a Natale. Vada per il raid notturno. Quattro Hercules C-130 (i Rinoceronti) con 52 paracadutisti in appoggio e 29 incursori delle truppe speciali - addestrate alla loro nascita da uomini della decima Mas -, il 3 luglio partono per l'Africa. Li saluta una frase di Menachem Begin: «Dio onnipotente accompagni i nostri soldati». È all'opposizione (il premier è Yitzhak Rabin), ma nessuno intende strumentalizzare una faccenda così drammatica e unitaria. Il commando è guidato da un tenente colonnello destinato a diventare un eroe nazionale: Yonatan Netanyahu, fratello dell'attuale primo ministro, Benjamin. È l'unica vittima militare israeliana del raid. Alla fine di tutto, quando Rabin chiede al maggiore Moshe Betser come è morto, l'ufficiale risponde così: «Yoni è stato il primo ad attaccare, è stato il primo a cadere». In suo onore il blitz viene rinominato operazione Yonatan. Nella pancia di uno degli aerei c'è anche una Mercedes nera con le insegne dell'Uganda, identica a quella di Idi Amin. Scortata dalle jeep, serve per confondere le idee ai soldati ugandesi; quello che arriva davanti al vecchio terminal deve somigliare al corteo di sua eccellenza in visita. Il raid è rapido e devastante. Lo scontro a fuoco con i terroristi è violentissimo, mentre gli ugandesi che presidiano il nuovo terminal faticano a riprendersi dalla sorpresa: si stavano vestendo da parata per accogliere il loro ras. Il primo a entrare nella prigione è il sergente Amir Ofer, che uccide due terroristi e grida: «Tutti a terra, siamo qui per riportarvi a casa». Poi racconta una storia assurda: «Un'assistente di volo dell'Air France, colpita da una pallottola di striscio, era in preda al panico. E poiché faceva molto caldo, aveva addosso solo la biancheria intima. Me la caricai sulle spalle e la portai fuori. Penso di essere stato l'unico soldato della storia a correre fra le pallottole con sulle spalle una bella ragazza mezza nuda».Novantanove minuti. La notte di Entebbe è finita, i terroristi sono morti, 102 ostaggi sono salvi (quattro le vittime) e i Rinoceronti (rifornitisi nelle cisterne dell'aeroporto) volano verso Tel Aviv. Amin è furente, ma preferisce non pubblicizzare lo smacco. Il mattino successivo annuncia la fake news dell'anno: «L'aeroporto è stato liberato». Su quel pazzesco blitz vengono girati tre film, il più famoso è I leoni della guerra con Charles Bronson. I rivoluzionari in keffiah rinfoderano le bandiere rosse, ma la lezione serve poco a un'Europa già preda del politicamente corretto. Il comandante Bacos dell'A300 Air France, che aveva deciso di rimanere con gli ostaggi israeliani per solidarietà, verrà licenziato.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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