
I repubblicani rivelano i dialoghi tra Mike Flynn e i russi. Smontando la tesi del complotto tra il tycoon e il Cremlino. E ponendo dubbi sul precedessore e sul «renziano» John Phillips.L'Obamagate è a un punto di svolta? Venerdì, i senatori repubblicani Ron Johnson e Chuck Grassley hanno reso pubbliche le trascrizioni delle conversazioni telefoniche tra Mike Flynn e l'ambasciatore russo, Sergej Kislyak. Tra di esse, compare una controversa telefonata che i due ebbero il 29 dicembre 2016: il giorno dopo che l'allora presidente, Barack Obama, aveva comminato delle sanzioni alla Russia per le interferenze nelle ultime elezioni presidenziali americane. Pur avvolta in un alone di mistero, quella conversazione è stata spesso invocata come una prova della collusione tra il comitato di Trump e il Cremlino. La situazione è tuttavia diversa. E sono le stesse trascrizioni a dimostrarlo.È vero: nella conversazione Flynn parla con Kislyak delle sanzioni di Obama. Vanno però tenute presenti due considerazioni. In primis, la telefonata tra i due si collocava in un contesto ben preciso: l'amministrazione americana entrante voleva infatti cooperare con Mosca nella stabilizzazione del Medio Oriente. Lo spirito collaborativo tra Flynn e Kislyak deve quindi essere inserito in questo quadro. In secondo luogo, il generale americano si è limitato a chiedere a Kislyak che Mosca, in un'eventuale ritorsione alle sanzioni di Obama, evitasse un'escalation in grado di compromettere le relazioni tra Stati Uniti e Russia. Una richiesta che certo non costituiva un pericolo per la sicurezza nazionale americana.Certo: si può obiettare che Flynn, in quanto privato cittadino, non avesse il diritto di parlare di politica estera con un funzionario straniero. È) anche in tal senso che, in un incontro alla Casa Bianca con Obama e Joe Biden il 5 gennaio 2017, l'allora direttore dell'Fbi, James Comey, avanzò l'ipotesi di incriminare Flynn per violazione del Logan act: una legge del 1799, che vieta ai privati di trattare con governi stranieri della politica estera americana. Ciononostante Flynn stava per diventare consigliere per la sicurezza nazionale di Trump: ed è prassi che funzionari americani in pectore abbiano contatti con politici e diplomatici stranieri. Inoltre, il Logan act è una legge controversa: in tutta la sua storia ha visto solo due incriminazioni (nel 1802 e nel 1852), entrambe finite senza una condanna. Infine, va anche ricordato che il 4 gennaio 2017 l'Fbi avesse chiuso le indagini su Flynn per assenza di «informazioni dispregiative»: l'inchiesta venne tuttavia stranamente riaperta appena poche ore dopo e - come detto - Comey ipotizzò di usare il Logan act il giorno successivo. Per quale ragione il direttore del Bureau propose il ricorso a una legge tanto farraginosa e, per di più, in assenza di «informazioni dispregiative» sul conto del generale? A pensar male, si potrebbe ritenere che Comey stesse cercando un pretesto per colpire Flynn e conseguentemente lo stesso Trump. Anche perché la riunione del 5 gennaio era dedicata alla conversazione del 29 dicembre: una conversazione che - abbiamo visto - in sé stessa non conteneva elementi di problematicità. Su quali basi Flynn venne quindi lasciato sotto inchiesta, fino a essere interrogato dall'Fbi il 24 gennaio 2017? Un interrogatorio che, secondo documenti pubblicati ad aprile, sembrava finalizzato a far licenziare il generale, appena entrato in carica. È vero che, nel dicembre 2017, Flynn si fosse dichiarato colpevole di aver mentito all'Fbi sulle conversazioni. Ma è anche vero che il procuratore Mueller avesse minacciato all'epoca di coinvolgere suo figlio nell'inchiesta e che lo stesso generale abbia ritrattato a gennaio scorso.In tutto questo, ricordiamo che recentemente è stata pubblicata una lista di funzionari dell'amministrazione Obama che chiesero di svelare il nome di Flynn in alcune intercettazioni. In tal senso, il ministro della Giustizia americano, William Barr, ha nominato giovedì il procuratore John Bash per fare luce sulla questione. Nella lista erano infatti presenti richieste insolitamente numerose e nomi quantomeno bizzarri: dallo stesso Biden all'allora ambasciatore americano in Italia (e sostenitore di Matteo Renzi), John Phillips. Chissà che dunque, prima o poi, Bash non volga il suo sguardo anche verso Roma.
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