2021-06-24
La minaccia ora sono i mercenari. Ma l’Italia ritrova gli Usa sulla Libia
Antony Blinken (Getty images)
Parte il pressing internazionale su Erdogan e Putin per il ritiro delle truppe in vista delle elezioni di dicembre. La linea del segretario di Stato americano, Antony Blinken, è uno spiraglio per Roma su immigrazione e investimentiIl passaggio di un cacciatorpediniere di Sua Maestà nel Mar Nero innesca la tensione. La Russia annuncia di aver sganciato le bombe per far cambiare rotta alla nave nemicaLo speciale contiene due articoliÈ un quadro incerto quello di cui si è occupata ieri la seconda conferenza di Berlino dedicata alla situazione libica. Una conferenza che ha scelto di concentrarsi su due problemi interconnessi: la presenza sul territorio di forze militari straniere e la salvaguardia del processo elettorale, che dovrebbe tenersi il prossimo dicembre. È abbastanza chiaro che si tratti di due dossier collegati, dal momento che – fin quando la Libia non inizierà a registrare una maggiore stabilità politica e militare – sulle elezioni continuerà a restare inquietantemente sospesa una pericolosa spada di Damocle. Un primo segnale di cambiamento rispetto alla conferenza del gennaio 2020 è sembrato arrivare dall'approccio degli Stati Uniti: l'Amministrazione Biden pare intenzionata a giocare un ruolo di primaria importanza nella partita libica e questo è emerso ieri dalle dichiarazioni del segretario di Stato americano, Antony Blinken. Il capo di Foggy Bottom ha sottolineato la necessità che si tengano le elezioni di dicembre, per poi aggiungere: «Condividiamo l'obiettivo di una Libia sovrana, stabile, unificata e sicura, libera da interferenze straniere». L'iperattivismo statunitense, va detto, non è una cattiva notizia per l'Italia. È infatti noto che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, abbia optato per una strategia di forte allineamento a Washington (anche) per far sì che Roma possa tornare da protagonista nello scacchiere libico, giocando di sponda con gli americani. In questo senso, la posizione espressa da Blinken è di buon auspicio per Palazzo Chigi. L'incognita più rilevante resta tuttavia la situazione sul campo. Se le elezioni dovessero infatti fallire, ciò significherebbe il riesplodere della guerra civile, con un conseguente disastro per Roma, sia sotto il profilo economico che migratorio. Il problema è che, almeno per ora, l'incertezza resta alta. E, a testimoniarlo, è stato proprio ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Costui ha infatti messo in guardia sull'eventualità di un naufragio del processo elettorale, invocando – sulla scia di Blinken – un ritiro delle forze straniere dalla Libia. Posizione, questa, ribadita anche dal ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas. Un allarme è stato inoltre lanciato dal premier libico Abdul Hamid Dbeibeh, che ha citato «preoccupazioni di sicurezza» dovute alla presenza di «mercenari» e di «alcuni terroristi». È pur vero che ieri il ministro degli Esteri libico Najla El Mangoush abbia espresso un cauto ottimismo su un prossimo ritiro delle truppe straniere. Ciononostante la situazione, sotto questo profilo, continua a rivelarsi problematica. A Ovest, la presenza militare turca prosegue sulla base di accordi di assistenza stipulati tra Tripoli e Ankara ai tempi di Fayez al Serraj, mentre a Est i mercenari russi del Wagner Group seguitano a gravitare attorno al generale Khalifa Haftar. Un Haftar che, dal canto suo, nelle ultime settimane è tornato a farsi sentire. Le sue forze hanno recentemente dichiarato il confine con l'Algeria come zona di guerra e hanno inoltre temporaneamente bloccato la strada che collega Sirte a Misurata. Insomma, il Maresciallo della Cirenaica continua a dare segni di agitazione, Mosca si ostina ufficialmente a disconoscere il proprio sostegno al Wagner Group e la Turchia (che vuole tutelare la sua politica energetica e assicurarsi un posto in prima fila nella ricostruzione economica del Paese) non sembra intenzionata a ritirare le sue forze. L'Italia, dal canto suo, punta molto sulla moral suasion americana: è del resto anche in tal senso che, negli scorsi mesi, Roma ha dovuto affrontare delle turbolenze diplomatiche con Mosca e Ankara. Il punto è capire quanta leva negoziale abbia in definitiva Washington. Da una parte, la Casa Bianca – con la sponda britannica – sta cercando di ammorbidire le relazioni tra Italia e Turchia. Dall'altra, Joe Biden si è recentemente incontrato con Vladimir Putin a Ginevra. Il che teoricamente potrebbe preludere, è vero, a uno sblocco della situazione nella parte orientale della Libia. Ma è altrettanto vero che, tra Washington e Mosca, si registrino al momento dossier più urgenti (come Siria, Afghanistan e Iran). In tal senso, un ruolo interessante potrebbe giocarlo l'Egitto, presente alla conferenza di ieri con il suo ministro degli Esteri, Sameh Shoukry, che ha invocato anche lui un ritiro delle truppe straniere. Non dobbiamo infatti trascurare che – ultimamente – Egitto e Turchia abbiano avviato una fase di (relativa) distensione nei loro rapporti. Non è quindi escluso che Il Cairo possa ritagliarsi una funzione di mediazione tra Ankara e Mosca. Insomma, nonostante qualche spiraglio, la situazione resta per ora appesa a un filo. La fragile tregua in atto sembra basarsi molto sulla deterrenza legata proprio alla presenza delle forze militari sul territorio. Ragion per cui, come rilevato da Maas, un eventuale ritiro dovrà essere «graduale e uniforme». Ma convincere Turchia e Russia ad andarsene sembra per il momento un'impresa piuttosto ardua.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)