2020-12-29
La Merkel tifa Cina ma l’accordo con l’Ue rischia di saltare
Angela Merkel e Xi Jinping (Ansa)
Francia e Polonia (con lo zampino Usa) contrarie al patto sugli investimenti da siglare entro l'anno. Il caso diritti umani.Angela Merkel rischia di essere messa all'angolo in una partita decisiva: quella dell'accordo sugli investimenti tra Unione europea e Cina. Un accordo che la Germania auspica fortemente, ma le cui trattative – negli ultimi giorni – sembrano finite in una fase di stallo. Prospettiva preoccupante per la cancelliera tedesca, visto che la data di scadenza per arrivare a un'intesa sarebbe il 31 dicembre. Iniziati nel 2014, i negoziati si sono protratti a lungo, fin quando – l'anno scorso – il premier cinese, Li Keqiang, e l'allora presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, garantirono che l'accordo sarebbe stato concluso entro la fine del 2020. Come riportato da Politico, il cosiddetto Eu-China comprehensive agreement on investment, dovrebbe favorire l'accesso europeo al mercato cinese (soprattutto nel settore dei servizi finanziari) e «offrire garanzie alle società dell'Ue che delocalizzano la produzione in Cina». Pechino, dal canto suo, spera di investire maggiormente in Europa, soprattutto in alcuni settori (dalla tecnologia all'ambiente). Ebbene le trattative erano riprese in modo relativamente spedito nel corso degli ultimi mesi, soprattutto dopo che – guarda caso – lo scorso luglio la Germania aveva avviato il suo turno di presidenza europea. Eppure, nonostante questo sprint finale, gli ostacoli sono ancora molteplici. In primo luogo, molti stanno puntando il dito sulla questione dei diritti umani, evidenziando il problema del lavoro forzato in Cina e la situazione degli uiguri nello Xinjiang. È alla luce di ciò che, a metà dicembre, gli europarlamentari hanno adottato una risoluzione proprio contro i funzionari cinesi dello Xinjiang. In secondo luogo, l'altro aspetto problematico è di natura economica e geopolitica. I critici dell'accordo ritengono che una simile intesa renderà eccessivamente dipendente l'Unione europea dalla Cina, consentendo inoltre a quest'ultima di rafforzare la propria influenza sul Vecchio Continente. Un terzo problema è poi quello di una divisione tra gli stessi Paesi europei. Nonostante una versione ingenua dell'europeismo si ostini a sostenere che l'Unione agisca compattamente, quello a cui si assiste in questi giorni è a una lotta tra Stati che vogliono piegare la stessa Unione alle proprie esigenze nazionali. Non sarà un caso che le peggiori fibrillazioni si riscontrino proprio in seno all'asse franco-tedesco. La Germania, come detto, è una forte sostenitrice dell'intesa, con cui mira a tutelare il business delle proprie aziende in Cina. Parigi, un tempo favorevole all'accordo, sembra invece adesso più scettica (forse nel timore che Bruxelles possa finire in una posizione subalterna alla Repubblica popolare, intaccando così i sogni di leadership europea accarezzati da Emmanuel Macron). È quindi in tal senso che mercoledì il ministro del Commercio francese, Franck Riester, ha detto a Le Monde che l'intesa vada subordinata all'abolizione del lavoro forzato in Cina. Una posizione curiosa. Non solo Parigi sembra accorgersi un po' tardi di questo problema, ma abbiamo già avuto modo di constatare come l'Eliseo non esiti a sacrificare i diritti umani sull'altare degli interessi nazionali (si veda il recente «caso al Sisi»). Insomma, è in corso un duello sotterraneo tra Francia e Germania che – come già nelle trattative sulla Brexit – si ritrovano a portare avanti due linee contrastanti. Ma Parigi e Berlino non sono le uniche a non intendersi sull'accordo con la Cina. Se Pechino ha esercitato pressioni su Spagna e Paesi Bassi nella speranza di sveltire i negoziati, la Polonia ha ben poca intenzione di accettare l'intesa. Intervenendo il 22 dicembre sulla questione, il ministro degli Esteri polacco, Zbigniew Rau, ha dichiarato: «Abbiamo bisogno di maggiori consultazioni e trasparenza che coinvolgano i nostri alleati transatlantici». Insomma, Varsavia – già capofila europea nella lotta al 5G cinese – auspica che Bruxelles resti saldamente agganciata all'orbita atlantica, in funzione anti russa e sperando di fiaccare al contempo il potere della Merkel. Del resto, non è che Washington sembri guardare con particolare favore all'accordo tra Bruxelles e Pechino. Tanto che non è escludibile che Germania e Cina abbiano cercato di imprimere un'accelerazione alle trattative proprio per sfruttare l'«interregno» presidenziale oltreatlantico. Ciononostante l'amministrazione americana entrante ha già lasciato trapelare – tramite il consigliere per la sicurezza nazionale in pectore Jake Sullivan – qualche inquietudine sull'intesa.È chiaro che un eventuale naufragio dell'accordo rappresenterebbe un duro colpo politico per la Merkel: la cancelliera si gioca infatti moltissimo in questa partita. E intanto, ai vertici europei, è lo scontro tra gli interessi nazionali a farla da padrone: non l'europeismo astratto di chi tratta il concetto di sovranità come un'anticaglia da relegare in soffitta. Poi certo: a Bruxelles c'è chi conta e chi no. Ma questo è un altro discorso.